venerdì, 19 Aprile 2024

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Viaggiare può modificare la tua personalità

Lonely girl with suitcase at country road.

Viaggiare è una delle cose che la maggior parte della gente ama fare: visitare posti sconosciuti, ammirare l’arte e la cultura dei paesi lontani, assaggiare ogni tipo di cibo e imparare nuove realtà. Adesso, inoltre, viaggiare avrà un’altra caratteristica in più.

Secondo gli studiosi, infatti, viaggiare molto modificherebbe la nostra personalità: la dottoressa Julia Zimmermann e il ricercatore Franz Neyer l’hanno dimostrato in un articolo pubblicato sul Journal of Personality and Social Psychology. La coppia ha studiato due gruppi di studenti universitari tedeschi – un gruppo che viaggiava all’estero per 1-2 semestri, mentre il gruppo di controllo rimase fermo. Gli obiettivi specifici di questo studio erano di determinare “come e quanto questo periodo in viaggio potesse influenzare la personalità”.

Prima di partire per il viaggio, ad ogni partecipante è stato richiesto di fare un test per calcolare gli aspetti della personalità “Big Five”: apertura, amabilità, estroversione, stabilità emotiva e coscienziosità. Quando questi studenti sono tornati dai loro viaggi, hanno dovuto compiere di nuovo lo stesso test, ed i risultati sono stati confrontati. Gli studenti che si sono recati all’estero hanno ottenuto un punteggio superiore in estroversione e alto livello quando si trattava di interazioni sociali, al contrario di quelli che sono rimasti a casa, nella loro “sede base”. Inoltre, in confronto a quelli che non viaggiano, hanno ottenuto un punteggio superiore in coscienza, apertura all’esperienza, stabilità emotiva e piacevolezza.

Viaggiare – hanno dimostrato questi esperimenti – permette di ampliare le proprie vedute, migliorare di gran lunga la propria tolleranza nei confronti del diverso e la propria cultura, grazie al continuo confronto con popoli, religioni, usi e costumi così tanto lontani.

I momenti più fashion nei film Disney (FOTO)

Principesse Disney e non solo: chi ha detto che solo la principessa Anna di Frozen può essere elegante nei suoi vestiti? Anche Malefica ha il suo fascino, e perfino “La Carica dei 101” ci ha dimostrato come cane e padrone possono dimostrare il loro affetto reciproco comprando uno stesso outfit.

Abbiamo selezionato con molta cura e divertimento quei momenti più fashion nei film Disney, che ci hanno fatto, e continuano a farci sognare, restando estasiati. E poi ammettiamolo, forse questi vestiti indossati da principesse e cattive sono anche i più imitati durante i festival del fumetto.

La magica trasformazione di Cenerentola

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Un classico d’animazione. Cenerentola ne è rimasta estasiata quando il suo vestito in stracci si è trasformato in un abito bianco scintillante, con tanto di chiffon sulla testa. Merito della Fata Madrina che ha buon gusto.

Anna imita “The Swing”

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In gergo cinematografico si chiamano “easter Egg” tutte quelle sorprese e chicche che la produzione decide di inserire nel film e che solo i più attenti sono in grado di scovare. La Disney ne utilizza tantissimi, e anche “Frozen” non è da meno quando Anna imita la ragazza ritratta del dipinto “The Swing”. Ci piace questo momento perché non solo riesce a saltare così in alto, ma è in grado di ‘prende il suo posto’ alla perfezione grazie alla sua gonna che copre quella della ragazza.

Le maniche cool di Malefica

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Anche le cattive Disney hanno il loro fascino. Ce lo aveva mostrato di recente Angelina Jolie con la rivisitazione di Malefica al cinema, ma prima di lei, la vera Malefica aveva indossato un abito di classe in “La Bella Addormentata.” Le sue maniche cool ne sono una dimostrazione.

Ariel emerge dall’acqua con questo vestito

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Un abito scintillante per “La Sirenetta” Ariel, che uscendo dall’acqua e diventando umana, corona il suo sogno d’amore abbracciando il principe Eric.

Tale cane, tale padrone

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In “La Carica dei 101”, il cane Pongo cerca di trovare l’anima gemella al suo padrone osservando le donne dalla sua finestra. La passerella canina è esilarante: cane e padrone sono vestiti allo stesso modo, e il tutto si svolge tra le strade di una romantica Londra.

La Bella in giallo

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Imitatissimo il vestito da ballo che Belle indossa per incontrare la Bestia nel film Disney. Un evergreen che non stanca mai di essere osservato.

Azzurro o rosa?

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Le due fatine non riescono proprio a mettersi d’accordo sul colore del vestito di Aurora, così “La Bella Addormentata” si ritrova a ballare mentre il suo abito cambia continuamente dalla tonalità rosa a quella azzurra.

Il diavolo veste Crudelia

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Tutti abbiamo odiato Crudelia DeMon quando si era presentata a casa di Anita e Rudy perché voleva i cuccioli di dalmata al fine di ricavarne una pelliccia. Eppure, guardandola oggi, non si può negare che la cattiva Disney non avesse stile nel vestire. A parte i capelli un po’ discutibili.

Il vestito ghiacciato di Elsa

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L’abito migliore resta quello che Elsa decide di avere in “Frozen”: sulle note di “Let ig Go”, si lascia andare abbandonando i vecchi abiti e optando per uno ghiaccio. Avremmo tutti voluto rubarglielo, vero?

L’abbigliamento super-cute di Honey Lemon

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Ultimo vestito super fashion è quella di Honey Lemon in “Big Hero 6”. Un must have per chi ama il rosa, un completo da supereroina con tanto di borsa super-cute abbinata.

Voi quale preferite? Avete altri momenti fashion o abiti Disney che vi sono piaciuti?

La disoccupazione? È anche un problema di sovrappeso

Le persone in sovrappeso sono considerate poco desiderabili dai loro potenziali datori di lavoro, agli occhi dei quali esse appaiono meno produttive e operose: a rivelarlo è un sondaggio condotto nell’ambito dell’assunzione di professionisti nel settore delle risorse umane, in cui più della metà degli intervistati ha ammesso di trovare l’obesità una caratteristica poco piacevole, indice tanto della personalità quanto dell’etica lavorativa del candidato. Il sondaggio è scaturito da una precedente ricerca statunitense da cui è emerso che le persone obese sarebbero meno capaci sul posto di lavoro e più inclini a incidenti.

I ricercatori della Virginia Tech e dell’Università di Buffalo hanno calcolato quanto tempo impiegassero persone di varia stazza nello svolgere un dato incarico e i soggetti obesi sono risultati avere in media il 40% di resistenza in meno: uno studio messo a punto subito dopo il caso di Karsten Kaltoft v Billund Kommune in Danimarca, una baby-sitter obesa che è stata licenziata perché incapace di abbassarsi per allacciare i lacci delle scarpe ai bambini a cui badava, in cui si è ritenuto che l’obesità andasse considerata come un handicap.

Attraverso questo nuovo sondaggio, l’avvocato Thomas Mansfield ha voluto misurare il livello di demonizzazione che si raggiunge nei confronti delle persone obese durante i colloqui di assunzione: i risultati hanno mostrato che in presenza di due candidati con requisiti identici, l’uno obeso e l’altro no, più della metà dei datori di lavoro ha preferito assumere quello “normale”. Più di un terzo dei responsabili all’assunzione ha inoltre confessato di avere difficoltà a giudicare in maniera imparziale candidati in sovrappeso, mentre il 56% dei partecipanti al sondaggio ha affermato di vedere nell’obesità un indice della personalità e della potenziale prestazione del candidato.

Considerato che il numero di adulti obesi al livello mondiale nel 2013 ha superato i 2 miliardi, i risultati del sondaggio sembrano suggerire che i datori di lavoro tendano a privarsi di persone in sovrappeso seppure talentuose a causa di un vero e proprio pregiudizio discriminatorio: i dati, difatti, mostrano chiaramente che durante il colloquio d’assunzione lo stereotipo dell’obesità influisce negativamente nella scelta del candidato, portando il datore di lavoro a scartare quello effettivamente più qualificato solo perché in sovrappeso. Un esito sconcertante che mette in luce quanto la discriminazione in base al peso continui a penalizzare delle persone che soffrono di problemi non di certo auto-inflitti, ma di vere e proprie disfunzioni patologiche.

Il punto G non esiste, ecco il risultato di una ricerca italiana

Durante un rapporto sessuale l’obiettivo primario di ogni uomo è quello di far arrivare al piacere la propria donna imbattendosi, così, nella ricerca più misteriosa di tutti i tempi, ovvero quella del ritrovamento del celeberrimo punto G.

Per molti, il ritrovamento del punto G. è come trovare un ago in un pagliaio; altri, invece, credendo di averlo trovato avranno festeggiato con gli amici l’ardua impresa riuscita; altri ancora avranno fatto delle ricerche su internet per riuscire, una volta per tutte, nell’impresa. Ma la verità è che il punto G, ovvero l’epicentro del piacere femminile che provoca l’orgasmo, non esiste.

Di dubbia esistenza già da parte di altri studiosi, la conferma della ricerca è made in Italy; difatti degli studiosi dell’università dell’Aquila e di Tor Vergata hanno di recente pubblicato sulla rivista Nature Urology l’esito della loro ricerca confermando che il punto G (che prende il nome da Ernst Gräfenberg il ginecologo ritenuto lo scopritore del punto più sensibile della parete anteriore della vagina che determina il piacere femminile) non esiste, ma il vero responsabile dell’orgasmo e del piacere che le donne provano durante un rapporto sessuale è in realtà un’area molto più vasta e complessa a cui è stato dato il nome di CUV (clitouretrovaginale) che si trova tra il clitoride, l’utero e la vagina.

Da questo studio, inoltre, si informa che, al contrario di ciò che si pensava, le aree intime femminili non sono delle strutture statiche ma bensì delle strutture altamente dinamiche e sensibili le cui terminazioni nervose sono interconnesse. Di conseguenza si raccomanda ai medici di fare attenzione durante gli interventi chirurgici ginecologici o urologici onde evitare di compromettere e maltrattare queste strutture così sensibili.