giovedì, 25 Aprile 2024

Ma cosa mangi?

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Gli alimenti non hanno più segreti: nella rubrica Ma cosa mangi la dott.ssa Fernanda Scala vi aiuta a scoprire cosa mangiate realmente

Il gelato: il pasto dell’estate

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Durante la stagione estiva spesso si tende a sostituire un pasto con un gelato ma, a differenza di quanto si possa pensare, questa non rappresenta una corretta abitudine e scelta alimentare.

Il gelato infatti, sebbene possa presentare le stesse calorie di un pasto completo, presenta un apporto in nutrienti completamente differente. Il problema infatti non è nelle calorie in esso contenute, o se si preferiscono le varianti alla frutta rispetto alle creme, ma nella distribuzione e nella qualità dei nutrienti che lo compongono.

Valori nutrizionali

Latte, zucchero, uova, grassi ed aromi: questi gli ingredienti principali del gelato.

Il latte fornisce una buona fonte di calcio, fosforo, e vitamine. Tuttavia, soprattutto per quanto riguarda i gelati industriali, l’impiego di latte scemato determina una riduzione del suo contenuto vitaminico all’interno del prodotto.

Gli zuccheri, i principali carboidrati di cui è composto, sono rappresentati principalmente da sciroppo di glucosio o di fruttosio, che aiutano a prevenire la cristallizzazione del lattosio e, abbassando il punto di congelamento del prodotto, aiutano a mantenere il prodotto cremoso. Questi sciroppi presentano un elevato potere energetico ma una completa assenza di proteine, vitamine e fibre. Proprio a questi è additata un’importante responsabilità nella diffusione del sovrappeso e dell’obesità.

Attenzione all’etichetta Spesso infatti vengono aggiunti anche oli e grassi vegetali, impiegati dalle industrie alimentari per conferire cremosità e sapidità al prodotto, nonché per aumentare la resistenza del prodotto alle basse temperature, e che apportano un elevato contenuto in grassi saturi al prodotto. Un consumo eccessivo di oli e grassi vegetali può essere dannoso per la salute.

Per quanto riguarda le calorie 100 grammi di gelato possono fornire dalle 170 alle 300 calorie a seconda del gelato prescelto, fino a sfiorare le 400 calorie per le versioni arricchite da frutta secca, cioccolato e cialde.

Il gelato come sostituto di un pasto

Sostituire il pasto con un gelato può rappresentare una corretta scelta alimentare? La risposta è no.

Il gelato infatti è un alimento che fornisce poche proteine, nessuna fibra, poche vitamine, moltissimi zuccheri e molti grassi, principalmente saturi.
Inoltre dato il suo basso potere saziante, a differenza di un pasto completo e ben bilanciato, farà riapparire dopo poco la sensazione di fame.

Falsa anche la convinzione che un gelato allo yogurt sia più leggero rispetto ad un gelato alla crema, in quanto gli ingredienti base saranno più o meno gli stessi, a cui sarà stata aggiunta solo una quota di probiotici in grado di esercitare un effetto positivo a livello dell’organismo.

Dobbiamo quindi rinunciare alla tentazione di un gelato? Assolutamente no. L’ideale sarebbe consumarlo come spuntino o come merenda, non tutti i giorni, bilanciandolo all’interno di un’alimentazione completa e sana.

Una buona alimentazione è amica della salute.

Dieta e luoghi comuni: ecco i più diffusi

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“Per dimagrire è necessario saltare un pasto” oppure “Il caffè amaro accelera il metabolismo” ed ancora “Per perdere peso non bisogna mangiare la pasta”, questi e tanti altri ancora i luoghi comuni e le convinzioni più diffuse tra tutti coloro che vogliono perdere qualche chilo di troppo.

Non sempre però le informazioni che riceviamo e che leggiamo sono corrette, rischiando solo di non riuscire ad ottenere il risultato tanto atteso mettendo, in molti casi, a grave rischio la nostra salute e benessere.

Saltare un pasto fa dimagrire

Maggiormente utilizzata da chi lavora fuori casa, saltare un pasto, solitamente il pranzo, per riuscire a perdere qualche chilo di troppo è sicuramente il luogo comune maggiormente diffuso.
In realtà è un’abitudine completamente sbagliata in quanto il rischio non è solo quello di arrivare al pasto successivo estremamente affamati, con il rischio di introdurre un elevato quantitativo di cibo, ma soprattutto perché l’organismo và in ipoglicemia.

L’ipoglicemia è una condizione in cui il livello di zucchero nel sangue è estremamente basso. In queste condizioni il surrene inizia a rilasciare cortisolo, un ormone noto anche come ormone dello stress, la cui azione principale è quella di indurre un aumento di glicemia, e quindi di zucchero. Non trovando energia disponibile in circolo il cortisolo agirà a livello dei tessuti muscolari, attingendo alle sue fonti di glicogeno.
Il risultato? Una riduzione della massa e della tonicità muscolare. Attenzione quindi: la perdita di peso che potrete osservare non è dovuta ad una riduzione della massa grassa, ma bensì a quella magra, i muscoli appunto.

Il caffè amaro accelera il metabolismo

È ben noto come la caffeina, sostanza appartenente agli alcaloidi, sia in grado di influenzare numerose reazioni biologiche all’interno del nostro organismo. In particolare questa è in grado di interagire con recettori specifici che regolano la funzionalità del sistema nervoso, cardiovascolare ed endocrino.
Proprio per mezzo di queste interazioni, verranno innescate delle specifiche reazioni a catena, con produzione di specifiche sostanze, come ad esempio l’adrenalina, in grado di favorire un leggero innalzamento del metabolismo basale dell’organismo.

Che il caffè sia dolce o amaro è irrilevante in quanto questo non avrà alcun effetto addizionale sui meccanismi innescati dalla caffeina. È importante invece non assumere dosi eccessive di zuccheri se si vuole perdere peso, e prestare particolare attenzione se si è affetti da obesità e diabete.
Attenzione: la dose massima giornaliera raccomandata di caffeina corrisponde a tre caffè al giorno, per evitare spiacevoli conseguenze sulla nostra salute, quali tachicardia, nervosismo o reflusso gastro esofageo.

Per perdere peso non bisogna mangiare la pasta

I cereali rappresentano la base della dieta mediterranea, in quanto sono una preziosa fonte energetica.
Escluderli dalla dieta quotidiana pensando di perdere peso è sicuramente una scelta alimentare non corretta, in quanto l’organismo dovrà attingere da altre fonti, epatica e muscolare, per poter ricavare l’energia necessaria.
No quindi ad escluderli, si a scegliere quelli giusti, preferendo il prodotto integrale a quello raffinato, imparando a consumarli nelle giuste quantità, ed impiegando corrette metodologie di cottura.
Il consiglio: proviamo ad introdurre nella dieta anche altri cereali, quali il farro e l’orzo, entrambi ricchi di interessanti proprietà nutrizionali e con un ottimo contenuto in fibre.

Gli alimenti che fanno dimagrire sono quelli che contengono poche calorie

Quando si vuole perdere peso spesso si scelgono gli alimenti che contengono il minore quantitativo calorico.
Mai affermazione fu più scorretta. Le calorie non sono tutto.
Per poter perdere peso bisogna dare maggiore importanza ai componenti presenti all’interno del prodotto, al suo quantitativo in glucidi, grassi e proteine.
Spesso, ad esempio, si ritiene che le barrette a base di cereali, con mediamente 90 kcal a barretta, rappresentino la scelta ideale per uno snack leggero. In realtà, se si analizza il suo contenuto nutrizionale, si resterà abbastanza sorpresi nello scoprire che queste sono composte principalmente da zuccheri (più del 50%), e principalmente sciroppo di glucosio, che normalmente devono essere limitati se si vuole ridurre il girovita.
Uno snack che potrebbe andar bene per chi pratica un’intensa attività sportiva e non se la si consuma comodamente seduti alla propria scrivania.

Il pane integrale non fa ingrassare

Assolutamente falso. Il pane integrale presenta all’incirca lo stesso quantitativo calorico del pane comune.
L’unica differenza risiede nel maggiore quantitativo di fibre in esso contenuto, in grado di esercitare un effetto benefico a livello intestinale, favorendo inoltre l’assorbimento degli zuccheri e dei grassi.
Se si vuole perdere peso sarà comunque necessario valutare la corretta quota glucidica necessaria, sia essa rappresentata da un prodotto integrale o non.

Una buona alimentazione è amica della salute.

Metodologie di cottura: ecco quali preferire

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Quando cuciniamo i cibi è un’ottima abitudine scegliere quelle metodologie di cottura in grado di mantenere il più possibile inalterate le proprietà nutrizionali del prodotto.
Questo perché con la cottura il rischio che i nutrienti vengano alterati è elevato.

Bollitura

La bollitura determina una perdita ed un’alterazione dei nutrienti presenti all’interno degli alimenti.

Il classico esempio è rappresentato dalle verdure che quando vengono cotte in abbondante acqua perdono la maggior parte di vitamine e sali minerali.
Per questo motivo, laddove possibile, si consiglia di recuperare il liquido di cottura proprio perché ricco di sostanze importanti quali le vitamine, principalmente quelle del gruppo C e B, ed i folati.

Anche nel caso dei cereali, quali grano, riso, orzo, farro, avena, sebbene la cottura in acqua migliori la disponibilità dell’amido alla digestione enzimatica, migliorando quindi i processi digestivi e di assorbimento, la perdita delle principali vitamine, quali la tiamina o la niacina, è di circa il 60%.

Cottura a vapore

La cottura a vapore è una metodologia di cottura consigliata, a meno di condizioni cliniche o patologiche specifiche del soggetto, in quanto la trasmissione del calore avviene per convenzione senza che si verifichi un processo di osmosi, ovvero un passaggio di micronutrienti dal prodotto al liquido di cottura.

La cottura a vapore permette infatti di mantenere inalterati il colore, l’aroma ed i nutrienti dell’alimento.

Inoltre, da un punto di vista nutrizionale, è una metodologia di cottura estremamente indicata nelle diete ipocaloriche, volte quindi alla perdita del peso corporeo, in quanto non è necessario aggiungere grassi o condimenti per la cottura, e le preparazioni saranno quindi più leggere.

Cottura al forno

La cottura al forno è una metodologia che prevede l’aumento della temperatura partendo dalla superficie esterna dell’alimento per poi raggiungere le zone centrali.

In questo modo si determinano processi di carbonizzazione superficiale che possono comportare anche la formazione di composti tossici, dovuti alla decomposizione termica ed alla degradazione di proteine, zuccheri e lipidi, nonché la perdita di vitamine. Le vitamine che vengono maggiormente perse sono quelle del gruppo B.

Contrariamente la cottura in forno migliora la digeribilità proteica e glucidica.

Cottura alla griglia

Nella grigliatura la trasmissione del calore avviene principalmente per irraggiamento ed in parte per conduzione.

Rappresenta una metodologia ad alto rischio per diverse motivazioni e principalmente in quanto si ha una difficoltà nel controllare la temperatura di cottura, condizione che può provocare bruciature localizzate o diffuse dei cibi, con conseguente produzione di sostanze tossiche, principalmente idrocarburi policiclici aromatici.

Buona norma è quindi quella di impiegare strumenti che consentano di controllare semplicemente il livello di cottura, evitando quindi la formazioni di zone carbonizzate.

Frittura

Quando si utilizza la frittura come metodo di cottura, l’alimento che deve essere cotto viene immerso in una sostanza grassa, sia questa di origine vegetale o animale.

Alle alte temperature raggiunte pari a 150°/190° i grassi subiscono una degradazione perdendo gran parte dei micronutrienti benefici per la salute, nonché si osserva la formazione di sostanze tossiche ed indigeribili.

L’esempio più comune è rappresentato dalla produzione di acrilamide, sostanza neurotossica, in grado di causare danni al tessuto nervoso.
Inoltre se questa sostanza viene assunta in dosi elevate è in gradi di agire sulla riproduzione e di favorire i processi cancerogeni.

Questa sostanza si può produrre negli alimenti durante i processi di cottura in cui le temperature arrivano a 120°C o maggiori.

Qualsiasi sia la metodologia che scegliete di utilizzare bisogna ricordare che una cottura adeguata degli alimenti è comunque fondamentale, in quanto consente di distruggere microrganismi patogeni presenti all’interno dell’alimento, sostante indesiderate o tossine che possono causare anche delle tossinfezioni alimentari, a meno che queste non siano termoresistenti.

Una buona alimentazione è amica della salute.

Quando il sale c’è ma non si vede

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Aggiungere poco sale agli alimenti è sicuramente una buona abitudine alimentare.
Infatti un suo consumo eccessivo rappresenta un pericoloso fattore di rischio per l’insorgenza di gravi stati morbosi quali l’ipertensione, problemi cardiaci e ictus.

Ma prestare solo attenzione a quanto ne aggiungiamo agli alimenti che consumiamo non basta per evitare di introdurre attraverso la dieta quotidiana una dose superiore rispetto a quella raccomandata.

Infatti chi è convinto di mangiare “poco salato” o addirittura “senza sale”, probabilmente non ha mai controllato quanto sale può essere presente all’interno degli alimenti che ogni giorno acquistiamo.

Si stima infatti che più del 75% del sale che consumiamo ogni giorno non deriva dalla quota aggiunta durante le preparazioni culinarie, ma sia in realtà “invisibile” ovvero già presente in tanti alimenti che acquistiamo.

Ed è proprio al sale nascosto che, dal 29 febbraio al 6 marzo, è stata dedicata la settimana mondiale per la riduzione di sale promossa dal WASH (World Action on Salt & Health), associazione mondiale con partner in 95 Paesi dei diversi continenti.
L’obiettivo è quello di sensibilizzare i consumatori sulla diffusa presenza di sale nascosto, consumato in grandi quantità fin dall’infanzia, e sui danni causati dal suo abuso.

Ricordiamoci che l’OMS, Organizzazione Mondiale della Sanità, consiglia un consumo individuale non superiore ai 5 grammi al giorno, mentre si stima che attualmente il consumo medio giornaliero degli italiani, specialmente in alcune regioni del Sud, sia pari agli 11 grammi per gli uomini ed i 9 grammi per le donne, valori nettamente superiori rispetto a quelli raccomandati.

Riuscire a dimezzare la sua assunzione da 10 a 5 grammi al giorno, riduce del 23% il rischio di ictus e del 17% il rischio di malattie cardiache.

Cosa fare per ridurre il consumo di sale

I cibi che possono presentare un elevato contenuto di sale nascosto sono veramente tanti.

Tra questi ritroviamo il pane, i prodotti da forno, prodotti caseari e salumi, dolci preconfezionati, carni preconfezionate, zuppe pronte, o cereali utilizzati per la colazione.

Allora come dobbiamo comportarci?
Prima di tutto è fondamentale imparare a leggere attentamente l’etichetta nutrizionale dei prodotti preconfezionati che acquistiamo, scegliendo, per ciascuna categoria di prodotto, quelli a basso contenuto di sale, ovvero inferiore a 0.3 grammi per 100 g (corrispondenti a 0.12 g di sodio).

Riduciamo il suo utilizzo sia a tavola che in cucina, preferendo il sale iodato, imparando ad insaporire i nostri piatti utilizzando spezie, erbe aromatiche, succo di limone o aceto.

Attenzione anche all’utilizzo di altri condimenti contenenti che possono contenerlo come i dadi da brodo e, le salse da condimento.

Evitiamo di abusare del consumo di alimenti trasformati ricchi di sale quali snack salati, patatine in sacchetto, alcuni salumi e formaggi, cibi in scatola.

Ricordiamoci inoltre di evitare di aggiungerlo nelle pappe dei bambini, almeno per il primo anno di vita, e di educarli ad un consumo moderato di cibi salati.
Diversi studi scientifici hanno infatti dimostrato che il sale è in grado di creare una vera e propria dipendenza, stimolando le aree cerebrali del piacere situate accanto a quelle sensibili agli stupefacenti.

Una buona alimentazione è amica della salute.