alvolante.it

Il modo in cui guidiamo l’auto è legato ad un comportamento innato, questa è la scoperta realizzata dai ricercatori della Chalmers University of Technology di Göteborg. Secondo questa nuova indagine, infatti, si tratta di un comportamento collegato all’attimo in cui, comunemente, cerchiamo di afferrare qualcosa con le mani.

Il ricercatore della Chalmers, Ola Benderius, è partito dalla studio del modo in cui le persone muovono la mano da un punto A a un punto B, per cogliere qualcosa: la rapidità del movimento ha un rapporto diretto con la distanza, maggiore è la distanza, più rapido è il movimento, ma il fenomeno più rilevante è che il tempo per portare a termine il movimento è lo stesso indipendentemente dalla distanza.

Abbiamo subito pensato: è possibile che questo comportamento sia anche alla base di come si guida una macchina?“. Partendo da questo concetto, Ola Benderius ed il suo gruppo hanno esaminato oltre 1.000 ore di guida di auto e camion (1,3 milioni di “sterzate”), nel 95% dei casi il principio è applicabile anche alla guida. Il volante non ricopre movimenti lineari quando segue la strada, ma nel momento in cui il conducente sterza, gira il volante secondo lo stesso metodo rilevato per prendere un oggetto.

Questa scoperta potrebbe portare alla progettazione di accessori di sicurezza per auto, in grado di prevenire ciò che il conducente farà, anticipando, quindi, gli incidenti. “Con il modello che abbiamo sviluppato è possibile prevedere che cosa faranno le persone al volante, prima che lo facciano. È infatti possibile dire fino a che punto il conducente girerà lo sterzo, non appena intraprende il movimento di girare il volante“, garantisce l’esperto come riportato dall’Adn Kronos.

Grazie a questa nuova rivelazione, gli scienziati sono riusciti a sviluppare un modello matematico che potrebbe pronosticare la risposta del conducente in diverse situazioni prima che si verifichino. “Potrebbe cambiare completamente il modo in cui consideriamo il controllo umano di veicoli, navi e imbarcazioni. Spero e credo che altri scienziati utilizzeranno i nostri risultati“, afferma Benderius.

[Fonte: adnkronos]