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Nel mondo ogni anno si producono circa 311 tonnellate di plastica, di cui un numero variabile tra 4,9 e 12,7 milioni finisce nei mari e negli oceani.
Queste cifre non lasciano sperare in nulla di positivo. Infatti, secondo alcune stime pubblicate lo scorso anno dalla rivista Science, effettuate dai ricercatori della Sea Education Association, questi numeri sono destinati a peggiorare se non interverremo quanto prima. La quantità di plastica nei nostri mari potrebbe aumentare di dieci volte entro il 2025.
Per evitare questo, bisognerà migliorare lo smaltimento dei rifiuti, soprattutto nelle zone costiere, e adottare sistemi di riciclo più efficienti.

Ma c’è una buona notizia: un’equipe di scienziati giapponesi, ha isolato un batterio in grado di ‘divorare‘ la plastica e utilizzarla come fonte di crescita. Il suo nome è Ideonella Sakaiensis, e i dettagli della scoperta sono stati pubblicati sulla rivista Science, dove gli autori della ricerca spiegano che: “Il batterio è particolarmente goloso di PET (polietilene tereftalato), una delle plastiche più diffuse al mondo. Se ne producono circa 50 milioni di tonnellate l’anno ed è utilizzata soprattutto per scopi alimentari (bottiglie, contenitori per cibi e bevande, pellicole). Dal punto di vita chimico, si tratta di una plastica molto resistente al processo di biodegradazione. Finora si conoscevano solo due funghi in grado di decomporre parzialmente il PET.“.

Il batterio è stato scoperto analizzando oltre 250 campioni prelevati da un sito di riciclaggio di bottiglie in PET, dai quali i ricercatori giapponesi hanno identificato i due enzimi responsabili della reazione di idrolisi (rottura, decomposizione) della plastica. Il primo enzima si chiama, PETase, ed è prodotto quando mil batterio aderisce alle superfici plastiche. Il secondo si chiama MHET idrolase, ed è quello responsabile della rottura delle catene di PET in molecole più piccole e innocue.
Il processo è abbastanza lento, ma nonostante questo, la scoperta potrebbe avere risultati molto importanti per il riciclo delle plastiche e per lo studio dei principi dell’evoluzione degli enzimi.

Il pericolo di inquinamento è molto concreto: la plastica che inquina gli oceani costituisce una grave minaccia per gli abitanti del mondo sottomarino, perché spezzettata dagli agenti atmosferici in particelle micrometriche, viene ingerita dal plancton, da dove si diffonde poi al resto dell’ecosistema.
Il problema è particolarmente sentito anche in Italia: come ha evidenziato il rapporto Marine litter 2015, pubblicato da Legambiente, il 95% dei 2597 rifiuti galleggianti in 120 chilometri quadrati di mare è fatto di plastica. Il mare più inquinato è l’Adriatico, seguito dal Tirreno e dallo Ionio.