Expo Milano, l’evento di respiro internazionale su cui l’Italia aveva puntato per rifarsi una reputazione al livello mondiale, volge quasi al termine: il 31 ottobre, infatti, i capannoni di Rho chiuderanno i battenti lasciando in uno spiacevole limbo quei 15.000 lavoratori che, per questi sei mesi, sono riusciti ad adeguarsi alle condizioni e alle tempistiche lavorative richieste dai dirigenti della grande Esposizione Universale.
Già lo scorso anno, le associazioni sindacali e l’amministrazione regionale avevano avanzato la proposta di reinserire, una volta conclusosi il grande evento, le risorse di Expo in altre iniziative: a due settimane dalla fine, perciò, la problematica ritorna, e lo fa in una veste ancora più urgente. Del resto, molti di quanti hanno lavorato per Expo in questi sei mesi si sono praticamente trasferiti a Rho, a prescindere da quale fosse la loro provenienza.
In tutto, poi, tra voucher, contratti a tempo determinato e a chiamata, ad aver prestato servizio presso le strutture di Expo Milano sembrerebbero essere state 30.000 persone. Ma questo concetto di ‘lavoro’ è stato più che mai frainteso nell’arco di questi mesi, data la quantità di denunce per mancati pagamenti, per mobbing e per licenziamenti inaspettati che si è registrata. Come dimenticare, poi, lo scandalo sollevatosi non appena emersero le reali condizioni lavorative proposte ai giovani: turni assurdi e privi di logica, lunghi anche fino a 12 ore, posizioni non retribuite, comunicazioni di assunzione a 3-4 giorni dall’inizio, nessuna convenzione con i mezzi pubblici da utilizzare per raggiungere la sede di lavoro, nessuna agevolazione per l’affitto (che nel milanese, si sa, non è di certo regalato) né per il parcheggio.
Nel frattempo, la Manpower, la società che ha appaltato il reclutamento del personale per Expo Milano, annuncia di aver siglato con le organizzazioni sindacali un accordo per ricollocare oltre 3.000 lavoratori interinali: a partire da novembre, la Manpower se ne prenderà carico, pare, con corsi di formazione di almeno 40 ore di corsi per favorire la ricollocazione di quante più risorse possibile o, in ogni caso, renderle ‘più appetibili’ sul mercato del lavoro. Ma le agenzie del lavoro di questo millennio fanno davvero gli interessi dei lavoratori? O, piuttosto, li convincono della necessità di acquisire competenze sempre nuove pur di imbandire i propri corsi? L’esperienza, così tanto ricercata dai datori di lavoro, si fa dando alle persone la possibilità di mettersi alla prova lavorando, non rimettendole a sedere dietro a un banco.