Ci siamo sempre preoccupati di mantenere il nostro corpo sano e in forma ma al proprio cervello qualcuno ci ha mai veramente pensato? A quanto pare no e neanche i nostri datori di lavoro ci hanno prestato attenzione, continuando a costringerci a turni lavorativi talvolta irregolari.
Le conseguenze? Un invecchiamento delle nostre facoltà mentali sino ai 6,5 anni se questo ritmo si mantiene almeno per 10 anni consecutivi.
È questo il risultato di uno studio effettuato su un campione di lavoratori e pensionati dalle Università di Toulose (Francia) e Swansea (Galles).
Le ricerche sono iniziate nel 1996 quando i ricercatori hanno valutato per la prima volta le capacità di apprendimento di oltre 3 mila persone che lavoravano in diversi settori e in differenti regioni della Francia. Al momento del primo test, gli studiosi avevano dunque considerato le seguenti fasce di età: 32 anni, 42 anni, 52 anni e 62 anni.
Secondo questo primo studio, 1484 persone avevano lavorato su turni almeno 50 giorni all’anno e almeno uno su 5 tra questi si era adeguato ad un ritmo che variava tra turni di giorno, pomeriggio e notte.
Gli scienziati hanno allora sottoposto questo primo gruppo ad un test composto di compiti di memorizzazione e velocità di ragionamento.
I risultati hanno dimostrato una effettiva diminuzione del rendimento di chi lavorava fuori dagli orari standard ma questa rimane da considerarsi come una semplice associazione tra irregolarità dei turni lavorativi e difficoltà nel processo mnemonico e non come fattore causale.
Il secondo set di test, effettuato nel 2001 e 2006, ha invece tentato di comprendere se effettivamente dopo un lungo periodo di turni a rotazione gli stessi lavoratori avrebbero ottenuto punteggi uguali o più bassi. Secondo questo studio, la memoria e la facilità di ragionamento dei candidati era in quel momento uguale a quella di una persona più vecchia di 6 anni e mezzo e il recupero delle normali funzioni di memoria avveniva solo quando il lavoratore aveva ripreso turni regolari da almeno 5 anni.
Altro elemento sul quale si è tentato di investigare è stato la mancanza di riposo e, a quanto pare, non dormire porta all’interruzione dei ritmi circadiani, i cicli di 24 ore che regolano le nostre fondamentali attività biologiche e quindi ad un problema nel processo di consolidamento della memoria.
Ricerche precedenti avevano inoltre già appurato come conseguenze a lungo termine, il diabete, eventi cardiovascolari, malattie metaboliche e alcuni tipi di cancro.
Tali effetti sarebbero comunque meno probabili su chi lavora di notte poiché nel più dei casi sembra che in qualche modo questi individui riescano ad abituarsi a questo ritmo e quindi a contrastare problemi di sonno arretrato.
Per chi invece avesse ancora questo problema gli scienziati consigliano pisolini diurni, non più lunghi di 45 minuti.
In conclusione è evidente che la nostra mente non funzioni come un computer. Abbiamo bisogno di riposo per permetterci di lavorare al meglio e immagazzinare tutti i dati che il mondo ci offre nel corso della giornata, altrimenti il rischio è di diventare automi e passivi anche nelle attività più semplici e abituali.
Il nostro cervello è chiaramente un enorme risorsa, ma certamente non è infinita e tanto meno infaticabile.