Credit: Disney

Dal piccolo C-3PO di Guerre Stellari fino ad arrivare al gigantesco (ma irresistibile) Baymax, la nostra ossessione per i robot potrebbe avere, in un futuro non troppo lontano, dei risvolti più che mai pragmatici. Stando al parere degli esperti, infatti, simili automi potrebbero essere all’ordine del giorno un domani, soprattutto per quanti andranno in pensione.

La psicologa e ingegnera Jenay Beer ha rivelato, di recente, quanto prossima sia l’industria a far sì che questo tipo di ipotesi diventi realtà: “Immaginatevi all’età di 75 anni. Cosa vi augurate di star facendo? Giocare a golf? Giocare coi vostri nipoti? O, magari, girare il mondo?”.

Sono numerosi gli aspetti positivi dell’invecchiamento, ma ce ne sono anche di negativi. E, per alcuni di noi, le rughe sono l’ultima delle preoccupazioni. Potremmo non essere più in grado di muoverci troppo agevolmente, così come potremmo non vederci e non sentirci troppo bene. Potremmo dimenticarci dove mettiamo il cellulare o le chiavi della macchina, anche”.

La Beer, a partire dalla sua esperienza personale coi suoi defunti nonni affetti da demenza senile, ha incentrato la sua riflessione su quanto le loro vite avrebbero potuto essere diverse se fossero vivi oggi: “Il loro invecchiamento sarebbe stato completamente diverso: sarei stata in grado di contattarli su Skype o su FaceTime. Tutti noi potremmo accettarci delle loro condizioni di benessere tramite rilevatori elettronici dei valori di salute, le cui informazioni sarebbero accessibili online. Tutto funzionerebbe in un altro modo grazie alla tecnologia esistente”.

Ma, come lei stessa ha fatto notare, questo potrebbe accadere solo se la tecnologia venisse progettata avendo in mente degli adulti più anziani: “Tra 40 anni ci saranno 1,8 miliardi di persone anziane… Gli ingegneri elettronici hanno, in questo senso, la chiave per migliorare la qualità della vita della gente in età avanzata. Talvolta, persino per salvargliela”.

Passi da gigante, del resto, sono stati fatti nel campo degli studi relativi alle interazioni tra esseri umani e robot: “Quando cominciai a inserirmi in questo campo, la prima domanda che avevo in mente fu: ‘Cosa dovrebbe fare un robot per un anziano?’. All’epoca, conducemmo dei focus group in cui discutemmo di un automa chiamato PR2 – Personal Robot 2”.

Il PR2 è un manipolatore mobile, un robot che può, cioè, muoversi in una stanza e spostare oggetti utilizzando le sue braccia e le pinze di cui dispone come mani. Conducendo una serie di interviste a persone di una certa età, la Beer e il suo team scoprirono che, dal loro punto di vista, un robot gli sarebbe potuto essere utile per pulire casa, sollevare mobili troppo pesanti, trovare o spedire oggetti.

Il PR2 non risultò, tuttavia, perfetto: gli intervistati chiesero informazioni circa le dimensioni del robot (un gorilla di più di 180 kili) e restarono perplessi in merito alle mansioni che ci si aspettava che avrebbero dovuto ricoprire. “Spedire un pacco di farmaci era visto come un compito accettabile da assegnargli, non altrettanto invece quello di prendere delle decisioni relative alla medicazione”.

Una circospezione riecheggiata, in seguito, in numerosi altri studi: anche in interviste compiute successivamente da altri gruppi di ricercatori, altri anziani dichiararono che sarebbero stati felici di lasciarsi dare una mano dai robot, ma senza lasciargli troppo il controllo delle proprie vite.

La gente di una certa età – dice S. Shyam Sundar, tra gli autori dello studio in questione – vorrebbero che i robot avessero un ruolo passivo. Non gli dispiacerebbe se fossero loro amici, ma restano comunque preoccupati della perdita di controllo a cui andrebbero incontro”.

Un atteggiamento, questo, dovuto in gran parte al modo in cui i media dipingono gli automi, come in ‘I, Robot’, pellicola in cui i robot cercano di distruggere la razza umana. “La più grande influenza è, in questo senso, proprio quella del loro immaginario circa i robot, modellato chiaramente su quello che i media mainstream mostrano in proposito”.

Eppure, pur tenendo conto di queste preoccupazioni, certi automi già vengono utilizzati in tutto il mondo in numerosi casi, come per esempio l’educazione di bambini con esigenze particolari. Secondo Justin Walden, co-autore di quest’ultimo studio, perciò, integrare i robot nella vita della gente anziana potrebbe essere un grosso passo in avanti.

La Beer, nello specifico, riferisce di un particolare tipo di robot chiamato ‘Telepresenza’, dotato di audio e video bi-direzionali e di una base mobile che gli consente di spostarsi agevolmente per tutta la casa. “Provate a concepirlo come una specie di Skype su ruote: Telepresenza può mettere in contatto le persone. Immaginate una nonna di casa ad Atlanta i cui parenti vivono da tutt’altra parte: con Telepresenza potrebbero tranquillamente chiamarla e proporle di farsi una passeggiata insieme. O anche un nonno che vive in una zona rurale non raggiungibile fisicamente da un medico: il dottore potrebbe, tramite Telepresenza, visitarlo in remoto”.

Chiaramente la Beer non ignora assolutamente il fatto che la presenza umana resta, ad ogni modo, insostituibile. Eppure, introdurre i robot nelle nostre vite è, stando alle sue parole, inevitabile: “I robot stanno per arrivare e voi finirete col trovarli utili, se non indispensabili. Grazie a loro anche la concezione della vecchiaia potrebbe cambiare e diventare un’esperienza del tutto nuova ed esaltante”.