Noi siamo quel che mangiamo. E troppo spesso non ci si rende conto del peso e di tutta la verità nascosta in questa frase. Negli ultimi tempi si sta sempre più diffondendo una cultura, una fame di informazione che non può che farci bene, ma anche in questo caso ci sono fazioni contrapposte a riguardo.
Uno dei prodotti di cui si sta parlando negli ultimi anni è il latte, compreso di tutti i suoi derivati chiaramente. Da una parte vi è una ricca letteratura scientifica che esalta le proprietà nutrizionali e salutistiche di questi prodotti, ma è sempre più consistente anche quella che ne mette in risalto tutta una serie di controindicazioni.
Ma andiamo con ordine e cerchiamo di conoscere meglio quest’ingrediente così diffuso e amato dagli italiani.
Il lattosio
Uno dei punti di forza di chi ritiene che il latte non debba essere bevuto dopo l’infanzia è il fatto che sia un prodotto specifico per la prima nutrizione, e che la composizione nutrizionale di ciascun latte è propria della specie animale: quello della donna per il bimbo, quello della mucca per il vitello, quello della pecora per l’agnello. Già dopo i 2 anni la lattasi, ossia l’enzima che scinde lo zucchero presente nel latte, il lattosio, progressivamente perde la sua funzionalità. Se continuiamo a essere in grado di digerire il latte è solo perché non smettiamo di berlo, o ne consumiamo in modeste quantità.
Popolazioni come quelle asiatiche, che non bevono latte di mucca, sono completamente incapaci di digerire il latte, tuttavia sempre di più anche nel mondo occidentale si evidenziano intolleranze al latte in età adulta.
La caseina
Il lattosio e la lattasi non sono però gli unici due imputati per quanto riguarda l’insalubrità dei latticini; i problemi maggiori e le conseguenze più negative per la salute sono legati ad una proteina, la caseina.
Le proteine del latte vaccino sono costituite da caseina per l’80%, mentre nel latte materno la percentuale cala al 35%: una bella differenza, che non dovrebbe essere sottovalutata dal momento che nei preparati di latte in polvere sostitutivi di quello materno si usano miscele di latte di mucca.
La caseina contenuta nel latte che troviamo nel banco frigo è un potente narcotico, correlato a patologie pediatriche come autismo e dislessia. In numerosi studi si associa inoltre a nervosismo, ansia, malattie cognitive e mentali; addirittura è stato dimostrato che eliminando latte e latticini dalla dieta di pazienti affetti da schizofrenia se ne miglioravano i sintomi comportamentali.
Sulla caseina si è largamente e diffusamente espresso uno dei più grandi studiosi mondiali, Colin Campbell, famoso per essere il medico di Bill Clinton. Campbell ha portato avanti uno studio durato ben 40 anni, chiamato The China Project, in cui ha evidenziato e testato l’incidenza della caseina sul cancro.
Un esperimento condotto su topi ha rivelato che la caseina ha una relazione così stretta con il cancro da poter essere usata come interruttore per la crescita dei tumori. Campbell ha imposto un regime alimentare costituito al 20% di caseina nel primo gruppo di topi, e del 5% in un altro. L’esito di questi esperimenti è stato sorprendente: i topi che assumevano caseina al 5% mostravano tumori significativamente più piccoli di quelli appartenenti al primo gruppo. Successivi esperimenti hanno mostrato come, sostituendo la caseina con le proteine della soia e del frumento, non si evidenziasse più la stessa differenza in termini di crescita fra i due gruppi.
A sostegno della sua tesi egli riporta anche che c’è una diretta relazione tra il consumo di latticini, più alto in Paesi come l’Italia o la Francia, e il tumore al seno, molto più raro nei paesi che consumano meno latticini, come la Cina.
Sebbene altri medici e studiosi abbiano smentito questi studi, Campbell concluse che la caseina potesse essere “l’agente cancerogeno più potente mai scoperto”.
La caseina degradata
Quando si sottopone la caseina alla temperatura di pastorizzazione (circa 70°C), questa proteina coagula e decade, diventando una sostanza colloidale insolubile. In questa forma la caseina è utilizzata come collante a livello industriale: è quella sostanza che permette alle etichette di rimanere incollate alle bottiglie di vetro, ad esempio.
E nel nostro organismo la caseina degradata provoca una più o meno marcata alterazione della permeabilità intestinale: più il processo termico del latte è spinto, più la caseina sarà compromessa.
Per questo motivo è categorico evitare il latte a lunga conservazione: le condizioni termiche a cui è stato sottoposto sono davvero molto più violente rispetto al latte fresco da banco frigo.
L’alterata permeabilità intestinale predispone a molte patologie atopiche, infiammatorie e autoimmuni; l’elenco di malattie di cui la caseina degradata aumenterebbe il rischio è lungo, soprattutto per quelle pediatriche: dermatite, eczema, raffreddore da fieno, asma, otite, tonsillite, orticaria. Ovviamente esistono persone molto sensibili alla caseina e persone poco sensibili, quindi i sintomi a medio-lungo termine derivanti dal consumo di latte e latticini non sono uguali per tutti; quello che è curioso notare è che molto raramente si riesce a ricondurre con test medici affidabili malattie oro-laringo-faringee o dermiche all’intolleranza al latte.
Dal punto di vista etico
Dal punto di vista etico ci sarebbe molto da dire, e anche qui ci sono varie fazioni, ma la realtà è una ed è chiara. Ci sono tantissime persone che pensano che le mucche producano il latte sempre, come fosse una caratteristica della specie. Ovviamente, come tutti gli altri mammiferi, le mucche producono latte solo dopo il parto. Quindi, c’è solo un modo per rendere continua la produzione di latte: rendere continuamente gravide le mucche. Il vitello viene quasi subito tolto dalla madre, causando quindi un trauma a entrambi.
Questo ciclo infinito di gravidanze e parti, inoltre, non è per nulla salutare per la mucca, che viene munta per mesi dopo ogni parto, ovvero per molto più tempo di quanto ne richiederebbe l’allattamento di un vitello. A causa di questo sfruttamento, spesso le mammelle si infiammano per le mastiti.
Se la mucca “da latte” partorisce una vitella, questa viene avviata alla “carriera” della madre. Viene ingravidata artificialmente e, dopo 4-5 anni di gravidanze e parti, quando sarà del tutto esausta e non più abbastanza produttiva, sarà mandata al macello. Una mucca potrebbe vivere fino a 20 anni.
E i vitelli maschi? Inutili, non produttivi, vengono uccisi quasi subito dall’allevatore stesso o venduti a un macello.
Ma allora il latte fa male?
Sicuramente fa male alle povere mucche. Ma come è stato già sottolineato ci sono vari studi contro il latte ma altrettanti a favore che invece invitano ad un apporto notevole di questo alimento e di tutti i suoi derivati. Un’ottima alternativa, comunque è costituita da tutti i tipi di latte vegetale in circolazione, latte di soia, di avena, di riso, di mandorla che apportano grandi benefici al nostro organismo e non causano dolore e morte. Gli studi, confusi e contrapposti che siano, servono per tenerci informati e renderci coscienti e consapevoli di ciò che ingeriamo e diamo ai nostri bambini.
La scelta è nostra, informiamoci sempre.