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Mancano poche ore al Natale e l’aria di generosità e bontà (a Natale puoi fare quello che non puoi fare mai) dovrebbe aver già pervaso i nostri cuori. Sull’onda di altruismo che il Natale dovrebbe portare, ecco rivelato un interessante confronto sul “Pay it forward” e cioè sul pagare in anticipo, per qualcun’altro che magari nemmeno conosciamo.

Perché? – vi starete chiedendo – Perché dovrei pagare qualcosa per qualcun’altro che nemmeno conosco?
A rivelarci i motivi di tali azioni ci pensa la psicologa Sandi Mann, che una volta entrata nel solito bar con i suoi bambini, si è resa conto che anche offrire un caffè a uno sconosciuto può diventare un’impresa titanica in una società così cinica e fredda come quella che è diventata la nostra.

La psicologa, che non si è fatta abbattere dalle reazioni avute dal resto dei clienti del bar di fronte alla sua offerta, che hanno rifiutato la tazza di espresso pensando che fosse avvelenata o che avesse qualcosa che non andasse, ha deciso di provare per due settimane a coinvolgere i suoi pazienti e il resto dei conoscenti in questa catena di generosi gesti che dovrebbero essere presi come abitudine per arrivare a cambiare il mondo.
Sulla scia delle reazioni di imbarazzo o di piacere che i destinatari del gesto gratuito hanno avuto, la Mann ha scritto un libro dal titolo “Come una tazza di caffè può cambiare il mondo“, donando (coerentemente con quanto proposto) il ricavato delle vendite ai pazienti affetti da distrofia muscolare.

Il concetto di base è che un gesto di altruismo disinteressato, e cioè senza il desiderio di aver nulla in cambio, può essere di esempio per altri che a loro volta lo rifaranno al prossimo, creando una catena che potrebbe avere poi il famoso effetto farfalla.

Andando a fondo nella questione del “paying it forward”, la psicologa ha scoperto che il gesto era già presente nella cultura italiana (per una volta, possiamo essere più avanti degli americani, godiamo) dove a Napoli, come nel resto del sud soprattutto, era già da tempo radicato l’uso del “caffè in sospeso“,e cioè del saldo di un caffè per uno sconosciuto che non se lo sarebbe potuto permettere.
Ma anche Benjamin Franklin fu uno dei precursori della generosità disinteressata. Infatti, prestando dei soldi ad un amico gli chiese di non ridarli a lui quando li avesse riavuti, ma di saldare il “debito” donandoli ad un’altra persona che ne avrebbe avuto bisogno quanto lui.

Il “paying it forward” è diventato un movimento così popolare da essere stato trasformato prima in un romanzo e poi in un film. Vi renderete conto che non esistono solo brutte notizie in questo mondo, ma googlando il termine, troverete diverse storie confortanti di persone che anonimamente hanno contribuito al benessere altrui in qualche modo, arrivando anche a pagare le operazioni ospedaliere.
Una tra tutte, la storia di un ragazzino dodicenne che, avendo ritrovato un telefono smarrito sul treno, rispose così all’offerta del proprietario di lasciargli una mancia per il disturbo: “Non ti preoccupare dei soldi, basta che fai un gesto gentile nei confronti di qualcun’altro”.

Le ricerche hanno generato risultati evidenti e innegabili: essere gentili verso il prossimo fa bene all’anima e al corpo, riducendo lo stress e abbassando le possibilità di ammalarsi. La soddisfazione che si prova dando una mano a qualcuno, inoltre, contribuisce al senso di appartenenza alla vita e alla terra, rendendoci più consapevoli, felici ed entisiasti.

Credit: www.nonsprecare.it
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Testando personalmente diversi piccoli gesti altruisti quotidiani, la dottoressa Mann ha testimoniato di aver fatto amicizia e di essere rimasta in contatto con alcune delle persone che avevano accettato i suoi “piccoli doni”, allargando il suo cerchio di conoscenze e di affetti.
Ovviamente non è sempre necessario pagare o attivarsi attraverso il mero denaro, anche sorridere a uno sconosciuto o essere carini verso una commessa può fare la differenza.

La Mann ha poi così concluso: “Essere gentili verso il prossimo ha sicuramente qualcosa a che fare con il benessere e il guadagno personale, ma non c’è sempre bisogno di pensare ai motivi per i quali fare gesti carini, a volte bisogna essere gentili solo per il gusto di esserlo”.