Il 4 novembre 2025 si è spento a Milano Giorgio Forattini, uno dei più grandi maestri della satira italiana. Aveva 94 anni e fino all’ultimo ha mantenuto quello sguardo acuto e pungente che lo ha reso una voce unica nel panorama culturale del Paese. Con la sua matita ha raccontato oltre mezzo secolo di politica, costume e potere, lasciando un segno profondo nella memoria collettiva.
Dalle redazioni alle prime vignette
Nato a Roma il 14 marzo 1931, Forattini non iniziò subito come disegnatore. Dopo il liceo classico e un periodo di lavori saltuari, entrò nel mondo del giornalismo quasi per caso. Negli anni Sessanta pubblicò le sue prime vignette su testate come Paese Sera, scoprendo una vocazione: quella di osservare, sintetizzare e sferzare il potere attraverso l’ironia.
Il suo talento esplose con la collaborazione a La Repubblica, dove divenne una firma di punta fin dai primi anni del quotidiano. Le sue vignette non erano semplici disegni, ma brevi editoriali visivi: taglienti, politicamente scorretti, sempre lucidi nel cogliere le contraddizioni del momento.
Satira come specchio dell’Italia
Forattini non risparmiava nessuno: da Craxi a Berlusconi, da Prodi a D’Alema, ogni politico passava sotto il suo tratto inconfondibile. Le sue caricature, spesso accompagnate da giochi di parole fulminanti, facevano discutere e dividere l’opinione pubblica.
Amato o detestato, non cercava consenso: cercava verità. Credeva che la satira fosse un termometro della libertà e non esitava a sfidare il potere, qualunque volto avesse.
Durante la sua carriera non mancarono le polemiche e le querele, che affrontava con ironia e orgoglio. “Meglio una querela che un silenzio”, amava dire. Forattini considerava il disegno un atto politico, capace di rivelare in un tratto quello che interi discorsi nascondevano.
Un’eredità che resta viva
Oltre ai giornali, Forattini pubblicò numerosi libri di vignette che ripercorrevano la storia italiana dagli anni Settanta in poi. Il suo stile inconfondibile, tra sarcasmo, umorismo e intuizione psicologica, continua a ispirare nuove generazioni di disegnatori e comunicatori.
Con la sua scomparsa, l’Italia perde una delle sue voci più libere. Ma resta la sua lezione più importante: la satira non muore mai, finché qualcuno ha il coraggio di ridere del potere.



