Viviamo in attesa di cose belle, buone notizie, amore, lavoro, fortuna. Forse nell’attesa sopravviviamo. E quando finalmente arrivano, sentiamo la vita esploderci dentro, incontenibile. E parlarne, parlarne e ancora parlarne, è la cosa più istintiva. Con gli amici, i colleghi, la famiglia.
Perché si crede di riuscire a coinvolgere tutti in quel tornado di gioia che ci sta travolgendo. Ci sentiamo noi quel tornado. E scorrazziamo dappertutto condividendo l’evento che l’ha creata quella felicità.
Ma secondo una ricerca dell’Harvard University, pubblicata sulla rivista Psychological Science, parlare agli altri della nostra serenità non li avvicina a noi, ma li fa sentire fuori da quel piccolo paradiso.
“Quando otteniamo ciò che vogliamo, la prima cosa che sentiamo di fare è dirlo ai nostri amici – spiega l’autore Gus Cooney – ma ho notato che la conversazione in cui ci ‘vantiamo’ di qualcosa alla fine viene ricondotta, in un modo o nell’altro, ai soliti argomenti. Mi sono chiesto se queste esperienze straordinarie che raccontiamo possano avere più lati negativi che positivi per chi ci ascolta e se le persone si siano accorte di questo ‘fenomeno’“.
In cosa consisteva il test? 68 volontari sono andati dallo staff dello studio in gruppi di quattro. Ad un solo partecipante per ogni gruppo è stato chiesto di guardare un video interessante, recensito con quattro stelline, mentre agli altri tre è stato fatto vedere un video più scadente, con due stelle. Dopo aver visto i filmati, il gruppo si è riunito intorno ad un tavolo e ha parlato per cinque minuti. Coloro che avevano visto il video più bello, che, insomma, avevano vissuto l'”esperienza straordinaria”, hanno ammesso di essersi sentiti esclusi nella conversazione.
“I partecipanti al nostro esperimento – spiegano gli autori dello studio – credevano erroneamente che l’esperienza straordinaria vissuta da loro li potesse rendere le ‘star’ della conversazione. Ma si sbagliavano, perché l’interazione si basa sulle somiglianze e aver avuto un’esperienza diversa li ha resi semplicemente ‘distanti’“.
Cerchiamo negli altri punti di contatto, qualcosa di realmente condivisibile. Un avvenimento che coinvolge solo un interlocutore tende a far provare all’altro sentimenti di esclusione e in certi casi invidia. Così consiglia Cooney: “Quando decidiamo di condividere una determinata cosa con qualcuno, pensiamo all’impatto che potrebbe avere sulla nostra interazione sociale. Se proprio aver vissuto quell’esperienza ti fa diventare una persona che non ha nulla in comune con gli altri, beh, non importa quanto bella sia, non ti renderà felice a lungo”.
Credo che la felicità sia un sentimento troppo forte per restare tutto dentro. E penso anche che ci siano persone giuste e persone un po’ meno, con cui condividerla. Quelle giuste sono quelle tanto unite a noi da sentirsi parte della nostra gioia.