Capita spesso che uno studente universitario alle prese con la terribile sessione invernale passi pene peggiori di quelle dell’inferno dantesco. Mi riferisco a tutti coloro fatti solo di occhiaie e preoccupazione che perdono vita sociale in parecchi mesi dell’anno perché “devo assolutamente studiare”. Mi riferisco all’ansia, allo stress, alla stanchezza di tutti quei ragazzi che escono di casa solo se strettamente necessario, perché loro non hanno tempo da perdere, loro devono ripetere almeno 150 pagine al giorno per riuscire a realizzare l’obiettivo della giornata. Mi riferisco alle interminabili ore passate a studiare disperatamente su libri, dispense, appunti, slide. Di tutto pur di riuscire, e riuscire bene.
Questo anche perché quasi ci sentiamo obbligati a superare i nostri limiti per raggiungere i migliori risultati. Siamo cresciuti in una società in cui se non primeggi allora non sei nessuno. Una società che ci impone di raggiungere una serie di traguardi a prescindere da ciò che desideriamo veramente.
Non che ci sia qualcosa di sbagliato a voler primeggiare, a voler fare sempre meglio per raggiungere obiettivi sempre più alti. Anzi, è rispettabilissimo e un esempio per tutti colui che cerca di migliorarsi sempre. Il problema è che spesso per migliorarsi, per prendere un 30 in quell’esame difficilissimo, per alzare la media finale, si finisce per perdere la testa.
E allora mi sento in dovere di riportare qui un messaggio bellissimo scritto da un utente sconosciuto alla pagina “Lo studente di Giurisprudenza di Merda”. Queste parole faranno riflettere tutti quanti.
“Ragazzi, ve lo dico con una serenità che arriva da chissà dove. Non prendete questa storia di laurearvi come se fosse lo scopo della vostra vita. Io mi sono laureata due anni fa e, ormai, sto per finire la SSPL, per gli amici scuola di magistratura …. Ma ad un certo punto della mia vita credo di essermi dimenticata di vivere, facendo della laurea lo scopo ultimo, ignorando fosse il primo. Invero ( per usare terminologie che tanto amiamo ) davanti a voi ci sono strade lunghe ma percorribili, e non sarà un 18 o un 30 che deciderà le vostre sorti. Ho visto asini lodati e capacissimi 18, perché voi non siete un numero, né tantomeno il giudizio di un vecchio avvocato stanco del foro, no. Voi siete persone. Non soggetti giuridici, ma persone che a un certo punto dovranno decidere da quale parte stare, cosa e chi difendere; persone che capiranno che la Patria non vale la candela o, magari, che una famiglia o un qualsiasi sogno vale un titolo in meno. Datevi la possibilità di sbagliare. Perché fra qualche anno, molto prima di quanto immaginiate, dovrete decidere chi siete, perché vi renderete conto che non siete ne Pagliaro, ne Marrone e dovrete scegliere chi essere. E se avete dimenticato di imparare a conoscere voi e il mondo che avete attorno, fuori dai libri e al di là dei nomen juris, capirete improvvisamente di avere preso davvero un 18, ma con voi stessi. Il principio del neminem laedere applicatelo alla vita, il nulla paena sine culpa regalatelo agli amici o al vostro amore. Non fatevi scappare l’amore, qualunque sia la sua forma o colore, uscite a mangiare un gelato. Leggete un libro, ridete, ballate, scrivete un appunto e appuntatelo allo spacchino: sognare. È adesso che in voi si formerà la rabbia o l’amore per questo studio infinito ( perché rassegnatevi: fanno leggi nuove ogni 32h, non sarete mai al passo con la follia di questo Paese!), scegliete, sì, ma ricordatevi di scegliere voi stessi. Ce la farete anche se stasera uscite bere una Tennen’s con i vostri amici, o se fate una telefonata lunga due ore. Imparate a fregarvene. Voi non siete il diritto ma siete in diritto di essere persone. Non soggetti, lo ripeto. Non voti, né numeri di matricola che necessitano di approvazione. Siete Italia, eravate Repubblica, sarete ciò che verrà. Siate pronti, siate saggi: siate felici.
In fede, una Sgm mai pentita”.