Israele e Palestina.
Un conflitto che dura ormai da 67 anni.
Un conflitto dall’aspro sapore di tragedia senza fine. Morti, feriti, disperazione, terrore, distruzione e odio.
Questo è Gaza.
La stessa storia che si ripete negli anni: l’attacco “Piombo Fuso” nel 2008, quello nel 2012, e poi l’operazione militare in corso. E le vittime sempre loro: gli innocenti, soprattutto i bambini.
Si tratta di una tragedia racchiusa nei volti, negli occhi, che ormai hanno perso la speranza verso il mondo, nelle storie che hanno da raccontarci.
La quasi totalità dei 950.000 bambini gazawi soffre di sintomi psicologici e comportamentali propri del disturbo da stress post-traumatico (PTSD), nei quali compare l’aggressività, la depressione, l’enuresi, i flashback e un attaccamento psicotico alla madre o ad un familiare. Questi sono i dati agghiaccianti delle ricerche che svolse sul campo Eyad Sarraj, esperto di salute mentale e attivista per i diritti umani.
Un anno dopo dall’operazione “Piombo Fuso”, Amal, 10 anni, porta con sé, ovunque vada, due foto di suo padre e di suo fratello morti durante l’attacco. “Voglio guardarli sempre. La mia casa non è bella senza di loro”, dice Amal, ferita gravemente alla testa e all’occhio destro. Ma il danno fisico non è nulla in confronto a quello psicologico. Fu trovata quattro gironi dopo l’attacco, semisepolta sotto le macerie, disidratata e in stato di shock; era una dei 15 sopravvissuti.
A scuola le materie preferite di Amal sono l’arabo e l’inglese, lei da grande sogna di diventare una dottoressa.
Kannan, 13 anni, zoppica per il colpo di pistola ricevuto sulla gamba sinistra. Anche per lui il danno non è solo fisico: prima della guerra, era un appassionato centrocampista ma ora non gioca più a calcio. Nei mesi successivi alla sparatoria ha avuto ripetutamente degli incubi, si è svegliato spesso piangendo, si spaventa molto facilmente, e “non va al bagno da solo” dice Zahawa, sua madre.
Fatima Qortoum nel 2008 aveva 9 anni, e ha vissuto momenti terribili che non si augurano neanche al peggiore dei nemici. Ha visto frantumarsi il cranio di suo fratello, a causa delle schegge di una bomba, e, nel bombardamento del 2012, l’altro fratello di sei anni è rimasto ferito ai polmoni e alla spina dorsale.
Mohamed Shokri, di soli 12 anni, ha raccontato all’ONU: “Non avevamo paura. Siamo abituati a tutto questo. Mio padre ci disse in casa: Gli israeliani stanno cercando di terrorizzarci, ma noi abbiamo la nostra resistenza che li spaventa”.
E non è tutto.
Dopo un bombardamento, nessun sopravvissuto per la famiglia Ghannam, l’unico superstite era il gatto, che vagava sulle macerie della casa.
Anche gli ospedali hanno subito gravi danni in seguito all’offensiva militare e al blocco. Quotidiano ritrovo per morti e feriti più o meno gravi; i pazienti con difficili patologie non hanno neanche la possibilità di essere curati sul posto, e si vedono continuano negare o posticipare il permesso di lasciare la Striscia per andare a curarsi. Ne sa qualcosa la famiglia di Samir al-Nadim, padre di tre figli, deceduto dopo che il permesso di lasciare Gaza per subire un’operazione al cuore era stato rimandato per ben 22 giorni.
Cresce la disoccupazione, e inesorabilmente aumenta la povertà. La tragedia di questa guerra non ha fine e coinvolge tutta la vita quotidiana – se vita si può chiamare.
Da eventi simili non possono che scaturire emozioni forti come la paura, il dolore, il senso di impotenza, e a volte anche il senso di colpa per essere sopravvissuti. Non importa se giovani o vecchi – anche se la guerra in sé è più drammatica per i bambini – l’intero sistema sensoriale è allertato e colpito profondamente: essere testimoni di massacri, bombardamenti, invasioni militari; vedere soldati, armi, spari, persone uccise; l’idea di essere costantemente in pericolo, sentire le urla dei feriti, sono tutte sensazioni sensoriali che si imprimono in maniera indelebile nella memoria. E lasciano un segno indelebile per tutta la vita.
“Historia magistra vitae”, aveva detto Cicerone, ma sembra che più il tempo passi più l’uomo si dimentichi della sua essenza di essere umano. Sembra non esista più una morale. In meno di un secolo e mezzo si sono consumate guerre logoranti in tutto il mondo, sono state uccise vittime innocenti e popoli interi.
Il crescente isolamento e la sofferenza degli abitanti di Gaza non possono continuare.
[Credit: news.it; cerca.unita.it]