Rivendere pacchetti di sigarette privi di marchio non cambia le abitudini dei fumatori che di consueto li acquistano: questo l’esito finale di una ricerca, apparsa sul British Medical Journal, che è stata condotta su 2000 fumatori abituali in Australia. Lo studio, cominciato nel 2012 e conclusosi nel 2013, ha visto il Nuovissimo Continente introdurre, per primo al mondo, il pacchetto no-logo: eppure, né i giornalai né i rivenditori autorizzati hanno registrato un calo nei guadagni, così come non è stato riscontrato nessun aumento nel consumo di tabacco illegale né alcun incremento delle vendite di marchi meno costosi.

Il sondaggio si era proposto di analizzare le modalità d’acquisto dei fumatori australiani negli anni 2011, 2012 e 2013 mediante colloqui telefonici: attraverso queste interviste, è emerso che il 4-5% dei fumatori, nel corso dell’anno precedente, aveva comprato tabacco illegale privo di marchio, un’abitudine rimasta pressoché invariata tra il 2011 e il 2013. Nel corso dello stesso 2013, il 2,6% dei fumatori ha inoltre ammesso di avere acquistato perlomeno un pacchetto di sigarette non a norma rispetto alle nuove disposizioni adottate ufficialmente nei tre mesi precedenti. Peraltro, il consumo di pacchetti di sigarette sottocosto prodotti da compagnie asiatiche, che è sempre figurato al di sotto del 2% tra i fumatori abituali, non ha registrato aumenti considerevoli nell’arco dei tre anni durante i quali la ricerca è stata portata avanti. Ma, nonostante la conclusione possa apparire un buco nell’acqua, gli studiosi australiani hanno precisato che “i casi presi in esame sono in numero troppo esiguo per poter calcolare con precisione le percentuali di chi compra sigarette di contrabbando in un lasso di tempo di tre mesi“.