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Il 25 novembre è la Giornata mondiale per l’eliminazione della violenza contro le donne. Ma quali sono i loro diritti?

Sempre più spesso umiliate, distrutte, oppresse, taciute, violentate, (ab)usate. Siamo nel 2015 e ci sembra di essere tornati all’epoca in cui le donne non potevano neanche votare, o portare la gonna sopra il ginocchio. Ci sembra di essere tornati indietro nel tempo, in una sorta di flashback moderno in perenne bilico tra ciò che era e ciò che ne sarà. Perché, a volte, oppure molto spesso, oppure sempre, non servono le belle parole per apparire, agli occhi degli altri, migliore. E i finti buonisti non mi sono mai stati tanto simpatici. Ora, più che mai, serve qualcosa di concreto, qualcosa di più, qualcosa di vero.

Le tappe dell’emancipazione femminile si sono susseguite una dietro l’altra con un ritmo incalzante. Il ruolo della donna, oggi, è arrivato ad un obiettivo storico: il pieno riconoscimento in tutte le società occidentali (tranne qualche eccezione). Il problema rimangono le culture altre. Quello che ci rimane è lottare anche per loro. Affinché le donne, domani, possano essere le stesse, uguali a loro e uguali a tutti gli altri.

Tra le tante donne che ce l’hanno fatta dobbiamo assolutamente ricordare Hausa Ibrahim, vincitrice del premio Sakharov 2005 e prima donna avvocato in Nigeria. Oggi Hausa difende i diritti delle persone che non potrebbero in nessun modo avere alla giustizia a causa dell’analfabetismo.

Malala Yousafzai, vincitrice del premio Sakharov 2013, è il simbolo della lotta a favore del diritto delle donne/ragazze all’istruzione. Ha scritto un blog anonimo e tantissimi discorsi pubblici quando il regime dei talebani ha vietato il diritto all’istruzione delle ragazze nel suo paese, il Pakistan. Sopravvissuta a un attentato compiuto da uomini armati del regime talebano mentre tornava a casa da scuola nel 2012, Malala si è dimostrata più determinata che mai nella sua lotta a favore dei diritti di istruzione, libertà e autodeterminazione delle donne. “Con le armi si possono uccidere i terroristi, con l’educazione si può uccidere il terrorismo”, ha detto.

Emma Watson, nuova ambasciatrice del settore UN Women delle Nazioni Unite. Lei promuove la campagna “He for She” (“lui per lei”) che si rivolge soprattutto agli uomini, invitandoli a fare qualcosa per ridurre le disuguaglianze di genere. Nel suo famoso discorso ha dichiarato: “I miei genitori non mi hanno voluto meno bene perché sono nata femmina; la mia scuola non mi ha limitata perché ero una ragazza; i miei maestri non hanno pensato che sarei andata meno lontano nella vita perché un giorno avrei potuto avere un figlio. Queste persone erano i miei ambasciatori della parità tra i sessi e mi hanno resa la persona che sono oggi. Uomini, vorrei cogliere questa opportunità per farvi un invito formale. La parità di genere è anche un problema vostro. Se smettiamo di definirci l’un l’altro in base a cosa non siamo, e cominciamo a definire noi stessi in base a chi siamo, possiamo essere tutti più liberi.

Michelle Hunziker è un’altra delle tantissime testimonial che, più di tutte, hanno voluto urlare un secco e forte “NO” alla violenza sulle donne: tutto grazie alla sua fondazione Doppia Difesa che assiste molte donne e mamme vittime di violenza. “Il percorso al termine del quale le vittime decidono di presentare denuncia per le violenze e gli abusi subiti è spesso lungo e faticoso: hanno paura di dire la verità sulle percosse e sui lividi del corpo, molte subiscono da talmente tanto tempo che non sono più consapevoli di essere vittime, pensano addirittura di esserselo meritato. Oppure le donne che subiscono in silenzio, che non hanno il coraggio di denunciare. Ecco, dobbiamo farlo per loro”, ha commentato la showgirl.

E se non ci sono loro, ce ne sono e ce ne saranno tante altre. Perché qui non si tratta di femminismo urlato a voce grossa. Qui si parla di diritti, e del diritto di essere donna. Una persona, un’esistenza, un soggetto. Non un oggetto.

[Fonti: europa.eu; ilpost.it]