Questa esistenza è dolorosa. Lo è dal principio e, sul finire, quando tutto di noi comincia a cedere, lo è ancora di più.
A dirlo Desmond Biddulph, presidente della comunità buddista, che ci tiene a ribadire anche che, nel mezzo, questa vita è fatta anche di cose buone.
Il fallimento è una prospettiva di vita costante. Ed è talmente normale che è quasi stupido pensarci o rimanerci male quando ce lo si ritrova davanti agli occhi.
Tutti sbagliamo, tutti cadiamo e angosciarsi rispetto a qualcosa che è inevitabile di certo non aiuta a farci vivere più sereni.
E poi, il fallimento è relativo.
Si pensi a Steve Jobs che non ha mai terminato gli studi, e cosa è scaturito da tutto questo.
A Michael Jordan, scartato dalla squadra di basket del suo liceo che corse a casa a piangere subito dopo il “no” dell’allenatore.
Ai Beatles fu detto che non avrebbero avuto futuro nel campo della discografia ed infine Walt Disney, fu scartato da un giornale a causa di mancanza di creatività e idee originali.
Cos’è veramente il fallimento?
Si può dire che Hitler abbia fallito? Assolutamente sì, dal punto di vista umano.
Ma se a un certo punto si fosse reso conto che sarebbe stato meglio tornare a dipingere, avrebbe fallito negli intenti. Rispetto a quelli che erano i suoi piani quindi non ha fallito fino alla sconfitta da parte degli Americani. Ma se il suo reale fallimento è stato quello di non riuscire ad entrare alla scuola d’arte?
È possibile che sia stato questo a portarlo al lato oscuro?
È l’educazione che ci inculca il culto della sconfitta, l’ansia e la paura che ne derivano e questo è sbagliato.
I genitori spingono talmente tanto i figli a non fare nulla per la quale temono si possa perdere solo tempo, che gli ultimi sono costretti ad arrendersi senza nemmeno provarci. Siamo cresciuti in gabbie dorate così ben sigillate da renderci incapaci di affrontare i rischi e le conseguenze di azioni non perfettamente studiate.
“La sconfitta si assapora solo quando si smette di respirare, tutto il resto è solo esperienza” dice Steven Sylvester, psicologo che collabora con atleti e big del business e continua “Se noi guardiamo alla vita solo da una prospettiva legata al vincere o perdere, sarebbe tutto un camminare sul bordo di un precipizio con la paura di cadere da un momento all’altro. Quello che dovremmo fare veramente, specialmente con i bambini, è abbracciarli nel momento in cui le cose non sono andate come si sperava e celebrare con loro l’opportunità di imparare dall’errore e provarci in un altro modo“.
Forse dovremmo tornare a leggere tutti le vignette di Charlie Brown e dei suoi amici Peanuts.
Nelle morali di adesso ci sono grandi lezioni sulla crescita e il successo personale. Ma Charlie Brown non ha mai tirato al pallone e i suoi amici non sono mai cresciuti. Esattamente come noi, si sono arrabbiati, hanno perso le staffe, si sono portati le sconfitte dietro e hanno imparato a conviverci. Shulz aveva capito tutto. Spesso non impari molto dalle sconfitte, ma è tanto riuscire a tenere il cuore aperto alle prossime esperienze. E quella è una bella vittoria.
Le prospettive di riuscita sono personali. Guardiamo anche al caso di Eddie the Eagle – il film a lui dedicato tra non molto uscirà nelle sale – e a cosa vuol dire raggiungere un obiettivo. Eddie Edwards voleva solo essere un atleta olimpionico, il suo unico desiderio era quello. E nonostante i ripetitivi insuccessi, anche molto buffi, nulla l’ha distolto da trovare una disciplina che lo conducesse dritto alle gare sportive più famose di sempre. Non arrivò mai primo ma questo non fece di lui un perdente, tutt’altro. Persino l’allora presidente degli Stati Uniti d’America, Ronald Reagan, volle assistere a una sua gara, interrompendo una riunione. Si può dire di lui che abbia fallito?
Sarebbe meglio vivere più rilassati, considerando le perdite e i mancati successi come quotidianità che un giorno cambierà.