La protesta dei malati di SLA in Italia risuona forte e chiaro in tutto il mondo: “Le secchiate? Solo ipocrisia”.
Loro sono i primi a riconoscere che l’iniziativa è partita bene, molto bene in America, ma che, strada facendo, si è dimenticato il reale obbiettivo dell’Ice Bucket Challenge.
Ormai le secchiate d’acqua non solo altro che l’ultima moda del momento: è sicuramente più comodo farsi riprendere con i capelli e gli indumenti bagnati piuttosto che tirare fuori il portafoglio e donare per una buona causa.

Personalmente ritengo che molti di quelli che hanno partecipato alla campagna #IceBucketChallange non sanno nemmeno di preciso cos’è la SLA.

Ecco una spiegazione.

La SLA, Sclerosi Laterale Amiotrofica – chiamata anche morbo di Lou Gehrig per via di un giocatore di baseball che attirò l’attenzione pubblica sulla malattia nel 1939 – è una malattia neurodegenerativa progressiva del motoneurone, che colpisce selettivamente i motoneuroni, cioè porta a una paralisi totale. La prima parte del corpo ad essere colpita da questa malattia è la corteccia celebrale, poi, in un secondo livello, il tronco encefalico e il midollo spinale.
La SLA è una patologia rara, colpisce 2 – 3 persone ogni 100 000 individui all’anno, principalmente uomini. È estremamente rara dopo gli 80 anni.

Attualmente non si conosce il numero esatto di malati di SLA in Italia, poiché non sono stati ancora completati i relativi registri, ma si stimano almeno 3.500 malati e 1.000 nuovi casi all’anno con una forte concentrazione il Lombardia, poi Campania, Lazio e Sicilia – anche se questo potrebbe dipendere in buona parte da una maggiore capacità di diagnosi delle strutture ospedaliere locali.

Esordio e decorso della malattia variano molto da individuo a individuo e dipendono dalla forma di SLA da cui si è colpiti. I sintomi iniziali sono: brevi contrazioni muscolari, detti anche fascicolazioni, crampi, rigidità e debolezza muscolare che influiscono sul funzionamento di un arto.
Questo tipo di esordio riguarda circa il 75% dei casi, mentre il restante 25% ha un esordio differente, detto bulbare, che si manifesta con difficoltà nella parola fino alla perdita della capacità di comunicare verbalmente e difficoltà di deglutizione. Le differenze di sintomi iniziali della malattia dipendono da quale dei motoneuroni viene colpito prima: se il primo è che si trova a livello della corteccia cerebrale si avrà un esordio bulbare, invece l’esordio sarà spinale se il motoneurone colpito si trova a livello del tronco encefalico e del midollo spinale.
E non si tratta della perdita progressiva della capacitò di muoversi, parlare, deglutire e spesso anche respirare autonomamente, la SLA colpisce anche il lobo fronte temporale, causando la demenza.

La diagnosi viene fatta per lo più in maniera sintomatica e avviene mediamente dopo un anno dall’insorgenza dei sintomi, anche se ci sono stati casi in cui la malattia viene diagnosticata in tempi molto più lunghi.

Ma quali sono le cause, i fattori che scatenano la malattia?

Attualmente si ritiene che la SLA sia una malattia con cause multifattoriali, cioè che il suo insorgere possa essere determinato da una serie di motivi di tipo sia genetico che ambientale.
Studi recenti hanno individuato tra le cause anche il mutamento di un gruppo di geni, che sarebbe un fattore predisponente.
Attualmente, però, maggior attenzione viene rivolta a cause ambientali e stili di vita che possono, nel soggetti predisposti, facilitare l’insorgenza della malattia. Tra questi fattori ambientali ci sono, ad esempio, il contatto con agenti inquinanti, o i traumi frequenti alla testa.

La maggior parte dei pazienti affetti da SLA alterna periodi di ricovero ospedaliero a periodi di assistenza domiciliare continua, sia di tipo medico che non. Non va sottovalutato l’altissimo impatto sociale della malattia che investe tutta la famiglia – ad esempio, capita spesso che il coniuge della persona malata lascia o riduce la propria attività lavorativa, per seguire costantemente il malato e adattare la casa alle esigenze di quest’ultimo. L’impatto psicologico non è da meno.

Ora come ora, non ci sono cure in grado di arrestare o prevenire la malattia. Per questo motivo era partita la raccolta fondi #IceBucketChallenge, per dare un contributo economico alla ricerca di una cura. Per dare la felicità a chi è, purtroppo, più sfortunato di noi.
La cosa però ci è sfuggita di mano, e le secchiate d’acqua ghiacciata non sono diventate altro che un modo per farsi vedere e mettersi in mostra sui social network. A voi, che fate i buffoni su in problema così grande, chiedo gentilmente di mettervi una mano sulla coscienza.

Risparmiatevi il ghiaccio e donate.

[Credit: osservatoriomalattierare.it]