Un’illustrazione di dubbio gusto è girata recentemente sui social media: sulla sinistra, un uomo – probabilmente un afroamericano – impiccato al ramo di un albero. Dall’altro lato, un maiale, legato nella stessa maniera. “Allora c’era il razzismo – hanno scritto nel post – adesso abbiamo lo specismo“.
In poco tempo, i vegani da sempre molto uniti, si sono divisi. Da un lato chi crede che immagini così forti siano necessarie per rendere l’idea di quel che succede agli animali e dall’altro chi, invece, crede che non sia il caso di fare questi paragoni.
Per quanto sia legittimo e giusto indignarsi e mobilitarsi contro l’abuso perpetrato ad opera delle industrie alimentari ai danni degli animali da allevamento, accostare l’epoca della schiavitù nera alla problematica della stabulazione intensiva potrebbe rischiare di far apparire i vegetariani e i vegani allo stesso livello di coloro contro cui manifestano.
Il trattamento subito dagli animali da allevamento è una forma di schiavitù, corredato da omicidio, tortura e abusi. Alla base della vita di una giovane mucca c’è soltanto la sua produttività: separata immediatamente da un suo neonato, questa sarà sfruttata fino a quando non sarà più in grado di produrre latte. A quel punto, gli allevatori non dovranno far altro che disfarsene. Alternativa obbligata anche per un vitello maschio, mentre le femmine cresceranno e vivranno la propria vita solo all’interno di quest‘orribile processo di produzione e lavorazione di prodotti e derivati del latte.
E lo stesso vale per i polli da batteria o per i test che l’industria cosmetica pratica sugli animali. Alla luce di questi crimini ormai risaputi, consumare carne significa partecipare in qualche maniera all’allevamento in cattività, al lavoro forzato e all’uccisione di milioni di esseri dotati di coscienza ed emotività. Perciò, vedere la loro come una forma di schiavitù non è del tutto erroneo. Ma usare immagini relative alla schiavitù subita da altre persone, con l’obiettivo di far giungere un messaggio, forse non è il modo migliore. E non perché sia offensivo paragonare un maiale a un essere umano, ma semplicemente perché è privo di tatto strumentalizzare l’oppressione e la sofferenza patita storicamente da un altro gruppo di persone per portare avanti la propria causa.
Il veganismo costituisce una strada lunga: chi è già vegetariano è avvantaggiato e non ha bisogno di queste immagini perché ha già fatto la sua scelta etica, ma di base la carne fa largamente parte della stragrande maggioranza delle culture e delle religioni umane. E anche in questo caso non sarà un’immagine a far cambiare le abitudini alimentari.
Non possiamo certo continuare a ignorare il fatto che la crudeltà sugli animali è parte (disgustosa) della vita moderna. Ma, visti e considerati i già fin troppo validi argomenti, dovremmo riuscire a combatterla senza sfruttare una ferita ancora aperta come quella dell’infame schiavismo inflitto alla popolazione nera.