sabato, 20 Dicembre 2025

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Riciclare il legno, le idee originali (FOTO)

riciclare il legno

Lavorare in città può essere veramente stressante: orari impossibili, sempre di corsa, smog e rumori. Allora sarebbe utile cercarsi nel tempo libero degli hobby che possano non solo ricordarci la natura ma anche salvare l’ambiente. L’idea è quella di riciclare il legno, un materiale che storicamente ha avuto diversi usi, ma che non è sempre disponibile ed abbattere alberi per ottenere legno può causare enormi disastri al nostro ecosistema.

Questo è quello che ha pensato anche Kimera Wachna, una ragazza americana che dopo anni trascorsi a lavorare in ufficio a New York ha deciso di non annoiarsi più, lasciando quella vita e tornando alle sue origini, i boschi dove è nata e cresciuta. Così è nata anche l’idea di riciclare il legno.

riciclare il legno

Oggi trascorse il proprio tempo realizzando vere e proprie opere d’arte con il legno, piccoli dipinti o sculture realizzando intagliando il legno. Quest’attività crea un rapporto molto intimo tra lei e la natura circostante che finalmente l’ha resa felice. Kimera poi vende le sue opere attraverso il sito etsy.com.

riciclare il legno

HappyToBleed, la campagna che rivendica la bellezza dell’essere donna (FOTO)

Credit: www.vortl.com

Nella giornata mondiale contro la violenza sulle donne, giunge forte la voce della campagna che alcune ragazze indiane hanno lanciato, chiamata #HappyToBleed.

Nel tempio di Sabarimala, nel sud del Kerala, una delle mete di pellegrinaggio più famoso per gli Induisti, è stato deciso, infatti, di vietare l’accesso alle donne nell’età fertile, finché non sarà inventata una macchina in grado di capire se abbiano le mestruazioni o meno. Questo perché per gli uomini indù le donne in quel periodo sono da considerare impure.

Da ciò la decisione di Nikita Azad, una ragazza di vent’anni, di lanciare su Facebook l’hashtag #HappyToBleed, accolto con favore da molte donne, indiane e non, che le invita a postare sui social una loro foto mostrando tamponi e assorbenti: per mostrare la naturalezza della cosa e rivendicare il proprio diritto alla preghiera, per combattere il sessismo, la discriminazione e i pregiudizi degli uomini, ribadendo che le donne non sono proprietà di nessuno, siano mariti, padri o la società stessa.

Questa notizia apre un dibattito da molto tempo discusso in tutto il mondo e soprattutto in India dove, secondo i recenti dati, avviene uno stupro ogni 22 minuti e dove le donne, come in molti posti del mondo, sono ben lontane dall’essere considerate altro oltre a mezzi per perpetrare la specie.

In India, nonostante la legislazione vieti ecografie a donne incinte sotto i 35 anni, il 99% degli aborti vede la morte di soli feti di sesso femminile. Le bambine sono considerate un peso, un investimento senza nessun ritorno, soprattutto per le caste più basse. Le vedove rimaste senza marito il più delle volte vengono cacciate dalla famiglia del coniuge perché ormai inutili e vanno ad affollare i templi dedicati o, ancora, sono molto numerosi i casi di omicidio rivolti a donne date in spose e le cui famiglie non soddisfino la dote richiesta.

In una società così vincolata a regole antiche e così piena di pregiudizi sessisti risulta ancora più evidente quanto la campagna lanciata da queste ragazze coraggiose sia importante. “Felici di sanguinare” in quanto donne, in quanto portatrici di vita e, come ricorda una delle sostenitrici della campagna, gli uomini dovrebbero tenere ben presente questo: come è possibile considerare impuro ciò che ti ha permesso di essere al mondo e ti ha custodito dentro sé per 9 mesi? Una domanda lanciata come provocazione a tutti gli uomini indiani ma anche a tutti gli uomini del mondo, che troppo spesso dimenticano che senza le donne, l’umanità difficilmente sarebbe arrivata fin qui.

Battersi per le donne, con le donne

Credit: vogue.co.uk

Il 25 novembre è la Giornata mondiale per l’eliminazione della violenza contro le donne. Ma quali sono i loro diritti?

Sempre più spesso umiliate, distrutte, oppresse, taciute, violentate, (ab)usate. Siamo nel 2015 e ci sembra di essere tornati all’epoca in cui le donne non potevano neanche votare, o portare la gonna sopra il ginocchio. Ci sembra di essere tornati indietro nel tempo, in una sorta di flashback moderno in perenne bilico tra ciò che era e ciò che ne sarà. Perché, a volte, oppure molto spesso, oppure sempre, non servono le belle parole per apparire, agli occhi degli altri, migliore. E i finti buonisti non mi sono mai stati tanto simpatici. Ora, più che mai, serve qualcosa di concreto, qualcosa di più, qualcosa di vero.

Le tappe dell’emancipazione femminile si sono susseguite una dietro l’altra con un ritmo incalzante. Il ruolo della donna, oggi, è arrivato ad un obiettivo storico: il pieno riconoscimento in tutte le società occidentali (tranne qualche eccezione). Il problema rimangono le culture altre. Quello che ci rimane è lottare anche per loro. Affinché le donne, domani, possano essere le stesse, uguali a loro e uguali a tutti gli altri.

Tra le tante donne che ce l’hanno fatta dobbiamo assolutamente ricordare Hausa Ibrahim, vincitrice del premio Sakharov 2005 e prima donna avvocato in Nigeria. Oggi Hausa difende i diritti delle persone che non potrebbero in nessun modo avere alla giustizia a causa dell’analfabetismo.

Malala Yousafzai, vincitrice del premio Sakharov 2013, è il simbolo della lotta a favore del diritto delle donne/ragazze all’istruzione. Ha scritto un blog anonimo e tantissimi discorsi pubblici quando il regime dei talebani ha vietato il diritto all’istruzione delle ragazze nel suo paese, il Pakistan. Sopravvissuta a un attentato compiuto da uomini armati del regime talebano mentre tornava a casa da scuola nel 2012, Malala si è dimostrata più determinata che mai nella sua lotta a favore dei diritti di istruzione, libertà e autodeterminazione delle donne. “Con le armi si possono uccidere i terroristi, con l’educazione si può uccidere il terrorismo”, ha detto.

Emma Watson, nuova ambasciatrice del settore UN Women delle Nazioni Unite. Lei promuove la campagna “He for She” (“lui per lei”) che si rivolge soprattutto agli uomini, invitandoli a fare qualcosa per ridurre le disuguaglianze di genere. Nel suo famoso discorso ha dichiarato: “I miei genitori non mi hanno voluto meno bene perché sono nata femmina; la mia scuola non mi ha limitata perché ero una ragazza; i miei maestri non hanno pensato che sarei andata meno lontano nella vita perché un giorno avrei potuto avere un figlio. Queste persone erano i miei ambasciatori della parità tra i sessi e mi hanno resa la persona che sono oggi. Uomini, vorrei cogliere questa opportunità per farvi un invito formale. La parità di genere è anche un problema vostro. Se smettiamo di definirci l’un l’altro in base a cosa non siamo, e cominciamo a definire noi stessi in base a chi siamo, possiamo essere tutti più liberi.

Michelle Hunziker è un’altra delle tantissime testimonial che, più di tutte, hanno voluto urlare un secco e forte “NO” alla violenza sulle donne: tutto grazie alla sua fondazione Doppia Difesa che assiste molte donne e mamme vittime di violenza. “Il percorso al termine del quale le vittime decidono di presentare denuncia per le violenze e gli abusi subiti è spesso lungo e faticoso: hanno paura di dire la verità sulle percosse e sui lividi del corpo, molte subiscono da talmente tanto tempo che non sono più consapevoli di essere vittime, pensano addirittura di esserselo meritato. Oppure le donne che subiscono in silenzio, che non hanno il coraggio di denunciare. Ecco, dobbiamo farlo per loro”, ha commentato la showgirl.

E se non ci sono loro, ce ne sono e ce ne saranno tante altre. Perché qui non si tratta di femminismo urlato a voce grossa. Qui si parla di diritti, e del diritto di essere donna. Una persona, un’esistenza, un soggetto. Non un oggetto.

[Fonti: europa.eu; ilpost.it]

Per non dimenticare le donne (FOTO)

Credits photo: vitadadonna.com

Un motivo c’è, e non potrebbe essere più valido. Il 25 novembre del 1960, tre delle quattro sorelle Mirabal, rivoluzionarie dominicane impegnate nel contrastare la dittatura sanguinosa di R. L. Trujillo -presidente della Rep. Dominicana e dittatore dal 1930 al 1961- mentre si recavano accompagnate dal loro autista a far visita ai rispettivi mariti in carcere, furono intercettate dagli uomini del dittatore, costrette a scendere dall’auto e condotte in un luogo isolato. Qui furono brutalmente bastonate e strangolate e, riposti nuovamente nel veicolo i corpi, furono poi gettati in un dirupo per simulare un incidente.
Questa carneficina creò molto scalpore e malcontento nella già tesa situazione dominicana, fino a concludersi con l’uccisione dello stesso mandante del delitto, Tujillo.

L’atroce delitto delle sorelle Mirabal è poi divenuto il simbolo della brutalità degli ‘uomini’ che utilizzano la violenza contro le donne che osano ribellarsi.
Tanto che vent’anni dopo, nel 1980, al primo Incontro Internazionale Femminista tenutosi in Colombia, fu proposto di commemorare quella stessa data, in onore delle tre sorelle, e contro i maltrattamenti fisici e psicologici verso donne e bambine.
Successivamente, nel 1999, l’ONU (Organizzazione delle Nazioni Unite) approvò l’internazionalizzazione di questa data, stabilendo che da quel giorno l’anniversario della loro morte sarebbe diventato “La Giornata Internazionale per l’Eliminazione della Violenza contro le Donne“.

In Italia è solo dal 2005 che alcuni Centri anti-violenza hanno iniziato a celebrare questa giornata e fu a Roma che nel 2007 ben centomila donne manifestarono contro la violenza sulle donne.

Ma, purtroppo, queste violenze sono una piaga sociale presente a livello mondiale, che non accenna a diminuire, anche perché ancora poco denunciate; molte donne vengono minacciate e non denunciano per paura, altre invece non denunciano perché umiliate dal fatto di essere picchiate e abusate dall’uomo che amano o che un tempo hanno amato.

Allora ‘sfruttiamolo‘ questo 25 novembre, per ricordare che ogni giorno ci sono migliaia di donne in tutto il mondo che continuano a subire violenze ed hanno bisogno di aiuto, il nostro aiuto.
Potrebbe essere un’amica, una vicina di casa, una parente o una semplice conoscente, non ha importanza, quello che importa è che dobbiamo lottare, lottare perchè vengano presi dei provvedimenti affinché tutta questa mattanza diventi solo un ricordo; e per farlo tutte le donne vittime di violenza devono trovare il coraggio di reagire e denunciare i loro aguzzini.