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Per le dolci voglie notturne arriva il bancomat di cupcake

Dopo Beverly Hills, Atlanta, Chicago e Dallas, la Sprinkles’ Cupcake Bakery sbarca anche a New York: ecco allora, accanto alla pasticceria vera e propria – aperta dalle 9 di mattina alle 9 di sera – un bancomat che dispensa dolci ventiquattr’ore su ventiquattro, il primo Sprinkles’ Cupcake ATM (Automated Tastiness Machine) di Manhattan.

L’allettante distributore rosa shocking può contenere fino a 760 cupcakes, ma ben presto saranno disponibili anche cookie e altre leccornie. Per il momento, ci si dovrà “accontentare” di scegliere tra 7 diverse varietà della specialità della Sprinkles’ al prezzo di 4,25 dollari al pezzo: cioccolato bianco e nero, cocco e cioccolato, caffè cubano, meringa e limone, red velvet, fragola e vaniglia o cioccolato e vaniglia – con la possibilità di saziare anche l’appetito del proprio amico a quattro zampe con due tipi di mini-cupcake senza zucchero pensati appositamente per i cani.

Ma non è tutto: all’inaugurazione, i più fortunati hanno trovato, all’interno del proprio cupcake, un bigliettino dorato che gli ha guadagnato un notevole extra: alcuni golosi hanno, infatti, vinto una card regalo dell’American Express da 500 dollari, altri una card cumulativa da utilizzare in qualsiasi punto vendita della Sprinkles’ e altri ancora la possibilità di accedere a un “cupcake party” privato nella sala feste della pasticceria.

Quando nel 2002 Candace Nelson, titolare dell’azienda, lasciò la Borsa per la pasticceria, non avrebbe mai potuto immaginare un simile successo: soltanto la prima settimana d’apertura furono ben 2.000 i cupcake venduti. Da allora, lei e il marito Charles sono riusciti a dislocare in tutti gli Stati Uniti ben 12 sedi della loro Sprinkles’ Cupcake, e prevedono di aprirne almeno un’altra quindicina all’estero.

Proprio questo successo ha fatto sì che i due intraprendessero strategie innovative come quella dei Cupcake ATM: il lampo di genio si deve proprio a Candace, che, incinta del secondo figlio pensò fosse ridicolo, da proprietaria di una catena di pasticcerie, non poter procurarsi un cupcake appena sfornato all’ora più assurda che desiderava. La Sprinkles’ Cupcake Bakery, così, ha finito col diventare una catena dal valore di circa 9 milioni di dollari: a dimostrazione che le voglie di una donna possono essere davvero interessanti.

I motivi per cui amiamo Gabriel Garko (FOTO)

credits: http://www.panorama.it

Sul palco dell’Aniston, Gabriel Garko, uno dei co- conduttori di questa edizione, non sta ricevendo critiche particolarmente positive da parte degli spettatori. L’attore infatti, considerato uno dei più bei volti della fiction italiana, non sta affatto convincendo il pubblico di Sanremo, che lo ritiene troppo impostato, poco naturale e un “pessimo lettore”.

Alcuni però, sono stati un po’ troppo severi nei giudizi e non hanno tenuto conto che, dopo tutto, fare il conduttore televisivo non è la sua professione. Garko, infatti, è sempre abituato a vestire i panni di qualcun’altro e non dev’essere stato facile per lui apparire semplicemente come se stesso davanti ad un pubblico così vasto.

Noi di Blog di Lifestyle abbiamo voluto ricordare ciò che, nonostante le critiche, ci piace e ci piacerà sempre di lui:

1. La sua bellezza

Si può dire di tutto, ma non si può negare che Gabriel Garko sia un bellissimo uomo. Occhi di ghiaccio, capelli scuri e fisico statuario, Gabriel ha ottenuto nel 1991 il titolo de “Il più bello d’Italia“. A distanza di anni conserva ancora tutto il suo fascino da bello e impossibile ed è amato da moltissime donne italiane.

2. I suoi ruoli nelle fiction

Gabriel Garko ha esordito nel 1996 nella miniserie tv “La signora della città” ma ha raggiunto la notorietà nel 2006, con la fiction “L’onore e il rispetto“, seguitissima in Italia. L’attore torinese ha conquistato il pubblico nei panni del boss mafioso Tonio Fortebracci, un personaggio passionale e tormentato.
Gabriel si è cimentato in moltissimi ruoli, tutti diversi tra loro, e le sue fiction hanno sempre ricevuto un notevole numero di ascolti.

3. Autoironia

Gabriel Garko ha dimostrato di avere anche una buona dose di autoironia e senso dell’umorismo perchè, invece di fare finta di nulla o di arrabbiarsi, ha risposto in modo positivo alle critiche che gli sono state mosse. L’attore ha ammesso di essere consapevole di non essere perfetto e di non avere spiccate doti come presentatore.

credits: http://www.blogdicultura.it
credits: http://www.blogdicultura.it

Ora mi apprezzerete di più come attore” ha detto Garko, sostenendo che Sanremo è stata solamente una bella esperienza, una parentesi nella sua carriera di attore.
Gabriel, durante la serata di giovedì, ha scherzato sulla sua difficoltà anche leggendo uno dei tanti commenti all’hashtag #Sanremo2016: “Gabriel Garko è molto sciolto. Mi ricorda il pioppo che ho in giardino“, che ha commentato con una bella risata.

4. Riservatezza

Non sappiamo molto rispetto alla sua vita sentimentale e raramente circolano gossip che lo riguardano. Questo perchè Gabriel Garko si è sempre mostrato molto riservato rispetto alla sua vita privata e non ama rilasciare interviste. Recentemente però ha dichiarato di avere una relazione con l’attrice Adua del Vesco.
Decisamente un atteggiamento molto professionale.

credits: http://www.ilgossip.com
credits: http://www.ilgossip.com

Ci auguriamo che Gabriel Garko riuscirà a convincere il pubblico di Sanremo in queste due ultime serate e che potremo rivederlo presto nelle vesti di attore, dove sicuramente riceverà più apprezzamenti.

Una risata vi accoppierà

La risata: forse, dopo la parola, è il vero tratto distintivo degli esseri umani, soprattutto di quelli felicemente in coppia. Ad affermarlo è la psicologa americana Laura Kurtz, che proprio di recente ha condotto uno studio per l’Università del North Carolina, da sempre affascinata dal fenomeno del ‘ridere insieme’: “Tutti noi ricordiamo perfettamente il momento imbarazzante in cui siamo scoppiati a ridere accanto a un’altra persona che però se n’è rimasta muta come un pesceha spiegato la dottoressa al Time – ed è là che scatta il collasso. Cominciamo a domandarci perché l’altro non sta ridendo, cosa abbia che non va, o cosa abbiamo noi di strano, e che cosa significhi ciò per la nostra relazione“.

Durante lo studio, la Kurtz ha monitorato 77 coppie eterosessuali che stavano insieme da almeno 4 anni: a ciascuna di esse è stato chiesto di descrivere il proprio primo appuntamento. Nel registrare le loro dichiarazioni, la Kurtz e il suo team cercavano di individuare le risate spontanee degli intervistati, prendendo nota su quante volte ridessero insieme.

In seguito, ciascuna coppia ha compilato un sondaggio sulla propria soddisfazione e complicità di coppia: “In generale, le coppie che ridevano di più insieme tendevano ad avere rapporti più stretti. Possiamo asserire con certezza che la risata condivisa è indice di un rapporto di gran qualità”.

Eppure – continua la psicologa – per quanto scontato possa apparire questo dato, c’è davvero poca letteratura scientifica dedicata all’influenza della risata al livello sociale. Nella maggior parte degli studi esistenti ridere è considerato come un atteggiamento esclusivamente individuale, slegato tutto l’ambiente sociale circostante“. I momenti di divertimento condiviso in una coppia, invece, rafforzano il legame tra quelle due persone in maniera inimmaginabile: persino in culture dove non ci si scompiscia, come possono essere quelle orientali ad esempio, il riso è la chiave di tutto.

E non si tratta neanche della prima ricerca effettuata in questo campo: nel 2009, uno studio condotto dall’Università del Maryland dimostrò che ridere può ridurre il rischio di patologie cardiache. Mentre nel 2008, l’American Physiological Society Press Release scoprì che ridere porta a un significativo abbassamento dei livelli di stress. Perciò, è proprio il caso di prendersi più in giro e meno sul serio.

#Viajosola, quando anche viaggiare deve diventare un diritto

Credits: viajesycocina.com

Questa è la storia di José María Coni e Marina Menegazzo. Ma, in fondo, è la storia di ognuna di noi. Due ragazze di 21 e 22 anni che, zaino in spalla e mano nella mano, erano arrivate fino a Montanita, in Ecuador, per trascorrere una bellissima vacanza. Alla ricerca di qualcosa, di quella felicità che si prova solo quando si viaggia, da sola con le amiche, dimenticandosi di tutto quello che abbiamo lasciato una volta partite. Alla ricerca di un sogno a cui questa volta, però, sono state tagliate le ali. Un sogno che mai potrà realizzarsi perché qualcuno ha pensato di scriverci la parola fine al posto delle dirette interessate.

I corpi delle due ragazze sono stati ritrovati chiusi in un sacco. I due uomini che avevano offerto un posto dove dormire alle ragazze, rimaste senza soldi, hanno poi confessato l’omicidio. Ma, ancora una volta, due innocenti hanno perso la vita. E una ragione per perdere sogni, speranze, desideri, famiglia, amori ed amicizie non ci dovrebbe mai essere, quando si viaggia da sole. Ma nemmeno quando si va in giro con gli shorts, quando si torna a casa in macchina da sole dopo una serata in discoteca e quando si fanno uscite sole donne.

Quello di viaggiare per noi donne è un diritto. Non farlo più significherebbe dare ascolto a chi fa domande come “Ma torni a quest’ora da sola? Non ti viene a prendere nessuno? Guidi tu? Ci sono ragazzi nel gruppo? Davvero fai un viaggio da sola?“. Ma soprattutto significherebbe rinunciare a vivere. Perché viaggiare è sinonimo di scoperta, bellezza, indipendenza, vita. Una di quelle che vale la pena di essere vissuta.

Con la vicenda di José María e Marina si torna a parlare di femminicidio: il 35% delle donne nel mondo, solo lo scorso anno, ha subito una violenza fisica o sessuale, dal proprio partner o da un’altra persona. Sempre dai dati Istat, poi, emerge che nel nostro paese sono 6 milioni 788 mila le donne che sono state violate nel corso della loro vita. E, nel 2014, 152 sono state uccise.

Quando questi numeri saranno pari allo zero? Solo quando si smetterà di dare la colpa a noi donne per come ci vestiamo, per voler viaggiare da sole. Insomma, per avere gli stessi diritti e la stessa indipendenza degli uomini. Perché noi non siamo certamente il sesso debole. E lo dimostriamo ogni giorno, con esempi di donne straordinarie che si battono per i nostri diritti, quelli che dovremmo avere a prescindere da tutto. Ma anche esempi di donne qualsiasi che si svegliano presto tutte le mattine, per mantenersi e per mantenere i figli. Per non dover mai chiedere niente a nessuno, per far vedere che anche noi riusciamo a fare tutto. E lo facciamo anche bene.

E l’esempio di Guadalupe Acosta, una studentessa paraguaiana che, dopo la tragica vicenda, decide di dar voce alle due ragazze scomparse, rivendicando il diritto di noi donne a viaggiare da sole, in sicurezza, tranquillità e serenità. Guadalupe ha scritto un post su Facebook diventato virale, con più di 557 mila like ed oltre 730 mila condivisioni.

Ayer me mataron.Me negué a que me tocaran y con un palo me reventaron el cráneo. Me metieron una cuchillada y dejaron…

Pubblicato da Guadalupe Acosta su Martedì 1 marzo 2016

La ragazza sudamericana parla di umiliazione, di sogni infranti, di diritti che dovremmo avere, del fatto che se la vicenda fosse capitata ad un uomo avrebbe avuto più seguito. Per questo invita tutti, donne soprattutto, a farsi sentire, a non stare in silenzio, ad urlare al mondo quello che succede, a combattere per noi stesse.
E il suo appello è stato ascoltato: l’hashtag #Viajosola è diventato uno dei trend topic di questi giorni.


Chissà se questa potrà essere la svolta, chissà se la violenza sulle donne diventerà solo un brutto ricordo. Ma fino a quel momento non ci sarà nessuna vittoria per noi, nessuna festa della donna. Festa della donna sarà solo quando non ci saranno abbastanza sacchi per metterci tutte a tacere.