giovedì, 9 Maggio 2024

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Proposte dal mondo del cibo: ristorazione, dieta, ricette e cucina

La brasiliana Helena Rizzo è la miglior chef donna del mondo

La miglior chef donna del mondo si chiama Helena Rizzo ed è brasiliana; da poco ha ricevuto il premio Veuve Clicquot World’s Best Female Chef 2014 (migliore chef donna del mondo) dalla rivista inglese “The Restaurant”. Lavora nel ristorante Manì di San Paolo.
L’anno scorso il tanto aspirato riconoscimento culinario era andato all’italiana Nadia Santini, alla guida del ristorante “Dal Pescatore” (votato con tre stelle Michelin) a Canneto sull’Oglio (Mantova).

Helena Rizzo, originaria di Porto Alegre, ma con un cognome di origini italiane, è un’ex modella ed ex studentessa di architettura. Attualmente lavora accanto al marito Daniel Redondo, anche lui chef. Il loro locale, Manì, aperto nell’ormai lontano 2006, è già da un anno scorso nella lista dei 50 migliori ristoranti del mondo, al 46° posto. Unisce i meravigliosi ingrediente e ricette della tradizione brasiliana ai piccoli segreti e tecniche di cottura puramente made in Europe.

Nel 2013 Helena venne eletta anche la migliore chef donna dell’America Latina, iniziando forse in maniera ufficiale la sua carriera sempre più in ascesa, che l’hanno portata ad ottenere, poi, il riconoscimento come miglior chef del mondo, titolo ufficializzato a Londra.

Il giornale “The Restaurant” ha così motivato la sua scelta: Helena è “un esempio di cibo fatto con innovazione e anima“. La cerimonia di consegna del premio avverrà il prossimo 28 aprile nella capitale britannica.

Non sono e non ho mai avuto l’intenzione di essere la ‘migliore chef donna del mondo’, questo è un giudizio difficile da esprimere“, ha affermato la Rizzo dopo aver ricevuto la bellissima notizia.

Food Reputation Map, ora si può misurare la reputazione degli alimenti

Credit Photo: bergamosostenibile.com

Cosa ti piace del cibo che mangi, o del tuo piatto preferito? Bella domanda.
Certo, i più golosi non rinuncerebbero mai a patatine fritte in quantità esagerate d’olio, mentre i patiti delle diete non si faranno mai mancare frutta e verdura, ma aldilà delle preferenze personali ci sono anche importanti fattori che sono trasmessi a livello culturale circa l’alimentazione.
“Alimentarsi – dice il professore di psicologia sociale Marino Bonaiutoè infatti certamente un fattore vitale, ma intorno al cibo ruotano da sempre anche aspetti connessi al piacere, alla socialità, alla convivialità”.

23 parametri. Questo il numero dei fattori che influenzano le scelte agroalimentari. Perché la scelta di un alimento e il suo successo – piuttosto che il suo insuccesso – sono anche una questione di reputazione, e a rivelarlo è uno studio accademico condotto dall’Università Sapienza di Roma grazie al finanziamento del Gruppo Nestlé nell’ambito del progetto Axìa.

Lo studio e il modello messo a punto, dopo ben tre anni di lavoro, dimostrano che anche i prodotti alimentari hanno una loro “reputazione” da guadagnare e da mantenere, e che essa è concretamente misurabile ed è frutto di una serie di fattori. A seguito di questa scoperta è, infatti, stata creata la Food Reputation Map, uno strumento che consente di misurare la reputazione di un qualsiasi alimento e produzione agricola.
Suona strano, no? Solitamente il concetto di reputazione si lega a persone e ad altri agenti sociali, poco ai prodotti, ma ancora meno al singolo alimento, sia esso inteso come singolo alimento o come prodotto finito di una lunga ricetta.

Eppure la reputazione alimentare esiste. Ed è la rappresentazione precisa di opinioni che ogni persona possiede delle caratteristiche attuali e presenti di un determinato cibo.
Il funzionamento è semplice: la Food Reputation Map basa la sua validità sull’analisi di dati raccolti su un totale di 4.770 italiani ed evidenzia tre macroaree di reputazione, 6 indicatori sintetici, per un totale di 23 parametri specifici che influenzano la nostra percezione nei confronti di un preciso alimento, evidenziando così quelli che possono essere considerati i punti chiave che ne stimolano – o scoraggiano – l’acquisto e quindi il relativo consumo.

Si tratta di aspetti connessi all’essenza del prodotto, agli effetti culturali, economici, ambientali, fisiologici e psicologici di un prodotto. “Si tratta del primo metodo scientifico – ha precisato il docente precedentemente citato – per delineare punti di forza di un prodotto alimentare in vista dell’approdo sui mercati esteri”.
Si accresce quindi la competitività dei prodotti “Made in Italy”, perché il nostro è lo Stato europeo con il maggior numero di prodotti agroalimentari di qualità (22%), seguito dalla Francia con il 17%, ma che – evidentemente – non sa sfruttare bene i suoi prodotti, perché esporta solo l’11% della propria produzione, contro il 19% dei cugini d’oltralpe.
Si punta sul “Made in Italy”, ancora.

[Credit: LaRepubblica]

La Gelateria Alpina di Milano fra qualità e successo(FOTO)

Il suo nome completo è “Làit Gelateria Alpina”. Aperta da circa 10 giorni nell’edificio che ospitava il Teatro Smeraldo ed ora adibito all’Eataly, questa nuova gelateria milanese si presenta come un luogo differente e particolare rispetto alle classiche gelaterie che si è abituati a vedere.

Innanzitutto per la mancanza delle solite vasche in cui vengono contenuti i differenti gusti, siano essi creme o frutta. Al loro posto si possono invece trovare 10 rubinetti – attaccati ad una parete e gestiti da giovani posti dietro ad un bancone – dai quali fuoriesce il gelato.

Gelato che all’apparenza può sembrare molto simile al tipico soft cream americano. Ma vi è una differenza sostanziale: il gelato alpino infatti viene mantecato al momento, grazie a delle apposite mantecatrici nascoste dietro ai rubinetti, e finisce sul cono o sulla cialda alla temperatura di -6°.

Il latte per produrre questo particolare gelato viene fornito da un consorzio che alleva mucche di razza Piemontese in modo tradizionale e gli stessi gusti non sono preparati con coloranti o prodotti industriali, bensì vengono realizzati a partire da materie prime quali il pistacchio siciliano di Bronte, il gianduiotto piemontese e vero succo di agrumi per i gusti alla frutta.

Tutti elementi che rendono questo gelato cremoso e invitante, in cui davvero si riesce a sentire il sapore del latte e dei prodotti di qualità con cui viene realizzato. L’unica sostanza “estranea” presente nel preparato è un addensante, che può essere farina di guar o di carrube.

Nonostante l’elevata qualità del gelato i prezzi si mantengono modici, in linea con il mercato: un cono o una cialda piccola vengono a costare sui 2 euro mentre per la vaschetta da 1 kg si arrivano a spendere 18 euro.

E quest’ultima caratteristica, insieme alla qualità dell’alimento fornito e alla sua particolarità, fanno si che questa nuova gelateria sia abbastanza frequentata ed apprezzata dai turisti e dagli amanti del gelato milanesi.

Le infinite sfumature dell’Happy Hour

Tradotto letteralmente, significa “ora felice” e non è difficile immaginarne il perché. Chiacchiere tra amici, nuovi incontri, degustazioni e profumi unici: i cinque sensi sono tutti e contemporaneamente invitati a partecipare all’Happy Hour.

Gli italiani in fatto di moda e gusto restano imbattibili e numerose sono state le idee e le loro concretizzazioni, lungo tutta la penisola, volte a dare una rinfrescata a questo momento ricreativo.

A Bologna ad esempio, l’happy hour si fa sul bus. A bordo del City Bus, utilizzato normalmente per le visite guidate, sarà possibile, a partire dal 15 aprile con due appuntamenti mensili, degustare i prodotti tipici emiliani on the road. L’idea è nata dalla creatività di Daniele Gaiani, titolare del Follia Caffè di via Strada Maggiore. Dalla mortadella bolognese al prosciutto di Parma, accompagnati dalla scelta tra le settanta etichette del locale e allietate da un gradito dj-set, le due ore sul bus voleranno in allegria. “L’obiettivo è quello di offrire un nuovo servizio in città, abbinando la bellezza di Bologna alla bontà dei suoi prodotti“, spiega l’ideatore, consapevole di esserci riuscito.

Savona prende invece spunto da un’impostazione riuscita e ancora in auge a Berlino e Barcellona, che vede il mercato come il posto ideale per incontrarsi e chiacchierare tra food e bollicine. Fulcro della vita commerciale della città, formicaio di esigenze differenti e di tempi troppo stretti per rilassarsi, questo ambiente ha acceso la lampadina del ligure Ezio, storico barista del mercato coperto di corso Mazzini, che si è inventato l’aperitivo tra i banconi della frutta. Un appuntamento fisso, a basso costo (non si spende più di cinque euro) e accattivante anche per gli abitanti dei paesi limitrofi, l’happy hour tra zucchine e cavolfiori sta riscuotendo un enorme successo, espandendosi anche agli altri locali, come la macelleria accanto al bar, che cucina spiedini caldi per soli ottanta centesimi. “E speriamo che altri colleghi ancora si uniscano. – racconta Ezio – Non credevo che l’iniziativa avesse questo successo, ma tra il passaparola e i social network le voci corrono“.

Sulla scia savonese, lascia la sua impronta, nella storia dell’aperitivo, la bella Genova, che già si era attrezzata con il mercato del Carmine, un consorzio che unisce i commercianti e un ristorante interno, con un palco centrale costruito allo scopo di accogliere eventi e creare integrazione tra mercato e città. Già da ottobre, data dell’apertura, ha ospitato laboratori per bambini e iniziative curiose per gli adulti, come la festa della birra artigianale, oltre che presentazioni di libri e incontri.

E ultima, ma non per genialità, l’idea tutta napoletana dell’APEritivo. Una Ape Classic tirata a lucido, che, una volta ferma, si trasforma in un locale presso cui sarà possibile apprezzare le gustose bontà partenopee. L’idea di questo rinfresco itinerante, ha la firma di Vincenzo Russo, giovane chef, che dichiara: “Il vero lusso secondo me sta nella semplicità. La cucina migliore è quella senza fronzoli, da cui è possibile riconoscere i sapori di quando eravamo bambini. Un po’ come nel finale del film Ratatouille“.

Vince, dunque, chi trova la formula giusta. E cosa vince? La comunicazione tra la gente, quella che negli ultimi tempi sembra essere a rischio estinzione, ma che si può apprezzare in questi originali momenti conviviali, tra cibi e bevande.