giovedì, 18 Dicembre 2025

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Dopo 60 anni di matrimonio vogliono morire insieme

Credit: cultura.biografieonline.it

Morire fianco a fianco, mano nella mano, occhi negli occhi. Questo è l’ultimo desiderio di Francois e Anne, una coppia ottuagenaria belga che ha scelto il suicidio assistito per concludere un percorso di vita di coppia.
Dopo 60 anni di matrimonio, infatti, i due hanno paura di rimanere vedovi; per questo hanno deciso di morire insieme, rivolgendosi all’eutanasia.

Fa discutere in Belgio questo, ma loro dicono – al quotidiano Moustique – “Siamo soddisfatti del tempo vissuto, siamo stati sempre insieme. Se uno dei due morisse sarebbe impossibile per l’altro andare avanti: non vogliamo affrontare la sofferenza della solitudine”.
Niente di più semplice. Niente di più ammirevole. Niente di più che un vero atto d’amore.

Originari di Bruxelles, 89 anni lui, 86 anni lei, entrambi hanno problemi legati all’età avanzata: come ad esempio assistenza nell’alimentazione e nelle uscite. Per di più, lui si sta curando da vent’anni per un cancro alla prostata, e non può fare a meno di una dose quotidiana di morfina, lei invece è parzialmente cieca e quasi totalmente sorda. Però sono autosufficienti, e riescono a vivere la loro vita e la loro quotidianità regolarmente, uscendo anche tutti i giorni a fare la spesa – ovviamente insieme “per il timore che l’altro possa non tornare”.

Anche i figli di Francois e Anne sono d’accordo a porre fine così al loro matrimonio, alla loro vita.
Jean-Paul, 55 anni, il maggiore dei tre figli, ha detto: “Non avremmo la possibilità di prenderci cura di nostro padre o nostra madre, una volta vedovi. È giusto che possano morire insieme, se è quello che vogliono. È la soluzione migliore”
È stato lui, inoltre, ad occuparsi degli aspetti pratici di tutta la vicenda, trovando, dopo vari tentativi, una clinica delle Fiandre – regione dove viene praticato l’82% dei casi di suicidio assistito nel Paese – disposta a procedere all’eutanasia anche in mancanza di condizioni mediche valide.

Per ottenere il via libera la coppia in questione dovrà ricorrere al concetto di “sofferenza psichica”, in questo caso dovuta alla paura di rimanere soli.
Si tratta di una possibilità ammessa dalla legge e che viene utilizzata sempre più di frequente. L’anno scorso, infatti, la transessuale Nancy Verhelst, 44 anni, aveva ricorso all’eutanasia dopo che i dottori avevano bocciato la sua richiesta di un’operazione per cambiare sesso. L’introduzione di di questo genere di motivazione ha però aumentato le polemiche su questa pratica di suicidio assistito.

Francois e Anne sono incuranti delle polemiche e si preparano, insieme, alla “dolce fine”, parlando della loro morte come se stessero fissando una vacanza. L’appuntamento è fissato al tre febbraio del prossimo anno, giorno del loro 62esimo anniversario di matrimonio; l’ultimo di un’intera vita affrontata insieme, anche nella morte.

[Credit: laStampa]

Quello che ho scoperto sulla felicità

Tutti ne parlano, nessuno sembra sapere esattamente cosa sia, come trovarla e dove. Una leggenda metropolitana, fino a quando non arriva l’amore, una proposta di lavoro, una bella notizia: allora sì, lo vogliamo urlare al mondo che la felicità esiste.

E basta poco a ritrovarla, magari anche per caso, come è capitato a me . Può bastare anche un laboratorio di cui lei è protagonista. “Un’idea di felicità-Laboratorio per il futuro“, questo è il nome della tre giorni, tenuta in seno ai Dialoghi di Trani e organizzata dall’associazione Faber. Così l’ho scoperta e riscoperta, la felicità. Così l’ho idealizzata, identificata, immaginata, toccata. Così l’ho condivisa.

Cosa saresti se fossi la felicità?“- mi è stato chiesto. Ho chiuso gli occhi e ho risposto, sicura: “Sarei una penna che scrive storie“. E in fin dei conti mi ritrovo qui, a raccontarvela questa storia. La storia di come ho capito che la felicità più che un obiettivo, un risultato, un premio, è un modo d’essere. È una scelta quotidiana.

Così andrò, felice, a elencare quello che ho scoperto su di me prima e sulla felicità poi. Perché a me è servito qualcuno che dicesse “chiediti come stai in questo momento” tanto quanto io spero serva a voi che state leggendo.

Ridi

Presentati al gruppo con nome e cognome e dopo prova a ridere“. Una richiesta spiazzante, insolita e a dir poco imbarazzante. Insomma, come si può ridere senza motivo o senza almeno un disturbo psichico degno di nota?

Provaci e basta“. E così il primo tentativo: una risata forzata, inibita, finta, imbarazzata. E poi l’imbarazzo che diventa contagioso e buffo, che genera altre risate, vere. E la tua, quella finta che si trasforma in lacrime di gioia.

Il nostro corpo non riesce a distinguere la risata vera dalla risata finta, è stata questa la scoperta. Così la sensazione di benessere, che sia spontanea o forzata, quella risata ce la libera dentro. Lascia che esploda in ogni cellula e il risultato straordinario è una persona che sta bene, per qualche minuto o per tutta la giornata.

La risata ha un potere enorme e non costa nulla. Ed è il primo passo verso la felicità.

Liberati del superfluo

La vita va affrontata a mani vuote. In caso di tempesta, come fai a reggere il timone con due valigie? E se fa bel tempo, sei più leggero a testa sgombra” – scrive Emmanuel Gallot-Lavallée in Clown Celeste.

Siamo partiti da questa riflessione, per il secondo esercizio. Presentarsi agli altri, solo con nome e cognome. “Il mio nome è Anita Casalino” – in apnea e con i pugni chiusi. Ma ero in dolce compagnia. Le valigie degli altri erano mani sudate, spalle basse, deglutizione, tic, iperventilazione.

Cose normali, a cui non facciamo neanche caso. Cose che in realtà sono le mille maschere che poniamo tra noi e gli altri, per apparire al meglio, strafighissimi nel nostro alone di mistero. Questo è il superfluo che aggiungiamo al “noi stessi” di base. Riconoscerlo è il primo passo per mollarlo via.

Un respiro profondo, prima di parlare, prima di agire e poi, in scena.

Senti te stesso, senti gli altri

Ci siamo presentati ad un gruppo di persone. Ma cosa succede quando l’interlocutore è uno? Come rifuggiamo il contatto? Neghiamo parti del corpo, tendiamo la mano evitando uno sguardo diretto, non ricordiamo il nome dell’altro perché siamo troppo occupati a costruire la nostra immagine, facciamo un passo indietro. Siamo assenti, in parole povere.

Toccare fisicamente chi abbiamo di fronte, sentire la sua energia, parlare con gli occhi: così si è presenti, così si crea una storia, anche se brevissima, con l’altro. Perché la comunicazione vera non ha parole. Quelle usiamole dopo.

E poi chiediamoci, “cosa mi ha lasciato questo incontro? Quale sensazione? Come mi sento adesso? Cosa trasmetto?“. Domande piccole, che ci concederanno risposte inestimabili.

Agita il sedere

Provate a cantare col culo” – ci è stato detto. Sarebbe stato più facile chiedermi di arrivare puntuale ad un appuntamento o rinunciare al dessert dopo pranzo. Ma non sempre quello che si crede complicato lo è.

Sulla base di Micheal Jackson – riposi in pace – abbiamo agitato, a gruppi di cinque, il sedere. Eravamo buffi e ridicoli. Abbiamo esposto insieme la nostra goffaggine e la vulnerabilità che ne deriva. Ne abbiamo riso. Abbiamo riso di quel poliziotto, Flick, che si trova nella mente di ognuno e che interviene automaticamente a giudicarci e a giudicare gli altri. Abbiamo condiviso la gioia e sentito il nostro corpo.

Secondo le culture tribali, il centro delle emozioni si trova proprio nella zona del sedere. Confluiscono tutte lì: gioia, rabbia, delusione, tristezza, nervosismo, serenità. Dominare quell’area anatomica, lasciare che si scarichi, trasformare le emozioni in movimento: sarà incredibile, ma fa stare bene. E fa ridere a crepapelle.

Idealizza la felicità, costruiscila, comprendi cosa le manca

Spesso la identifichiamo in qualcuno o qualcosa, la felicità. Ma la più grande scoperta che ho fatto è che la felicità siamo noi. Così: “Immagina la felicità. Cosa saresti?” – Una nuvola, un sole, il mare, una stella, è venuto fuori da tutti. “Bene, ora disegnala la tua felicità“.

Così è nato il mio disegno, un libro con una penna e su una facciata, scritte in rosso, le cose che vorrei nella mia vita, quelle che compongono i miei sogni: amore, passione, gentilezza, famiglia.

La mia idea di felicità era lì, di fronte a me. E una volta costruita, la domanda che mi ha dato a sua volta LA risposta è stata: “cosa manca al tuo disegno?“. Mancava una mano che reggesse la penna. Mancava qualcuno che leggesse. Mancava una pagina bianca.

Il coraggio di guidare il mio percorso, qualcuno che mi ascolti, un nuovo inizio. Questo ostacola la mia felicità. Ed è bastato un disegno o forse solo un po’ di tempo, quello che non ritaglio mai, per rifletterci su.

La consapevolezza rende felici.

La perfezione non esiste

Ultimo step per provare a essere felici? Non farsi promesse. La promessa è l’anti qui e ora. Non prometterti di non rifare un errore. Prova a farne uno diverso.

Quante persone perfette conosci?” – è stato chiesto a una combattiva e stacanovista signora.
Nessuna” – ha risposto lei.
E vorresti davvero essere l’unica?

Siamo tutti imperfetti, viviamo nei tentativi di felicità. Il massimo che possiamo fare è augurarci un tentativo diverso, se il precedente non ci ha resi felici. E poi alla fine arriva, il benessere.

Scottarsi fa parte del gioco e la missione di questo videogioco è vivere gli anni che abbiamo a disposizione, nella maniera più serena possibile. “Siamo quello che siamo e non possiamo cambiarlo. Possiamo cambiare quello che facciamo“.

È stato augurato a me, io lo auguro a voi. Vi auguro di fare errori diversi.

Ti amo, ma non te lo dico (LETTERA APERTA)

Credit Photo: static.pourfemme.it

Care Voi,

donne, tutte. È da un po’ che pensavo di scrivervi.

“A quante cavolate crediamo pur di assaporare un attimo di felicità?”

Ok. Però, poi, quanto lo facciamo pagare caro? Mi spiego meglio: non amiamo tutti allo stesso modo.
Questa dovrebbe diventare l’unica regola di un sentimento talmente nobile e libero che regole non ne ha. Dovremmo smetterla di pretendere. Il vero amore non conosce pretese. Sarebbe più educato e rispettoso quando una storia non la sentiamo più nostra, tirarcene fuori. Invece l’unica cosa che siamo in grado di tirare fuori è il peggio di noi: l’ostinazione. Che li fa ammalare i sentimenti. Iniziamo a puntare il dito contro verso il nostro uomo per ogni cosa detta e non. Iniziamo a stridulare per ogni cosa che fa e – poverino – non ha molta via di scampo, tutto quello che fa è sbagliato. Tremendamente sbagliato. Non ne fa una giusta. Beh, è quello il momento in cui dovreste chiedervi se quelle sbagliate, almeno per questa storia, non siete voi. Perché lui magari vi ama come il primo giorno, solo che non ve lo dice. Ma ve lo dimostra.

Non mi dice mai che mi ama. Capisci?

Io capisco, sì. Capisco loro (anche io ho dimenticato come si fa a dire ti amo).
Eppure..
– Scommetto che ti ha domandato com’è finita tra Derek e Meredith ieri sera. E pure a lui di Grey’s Anatomy (dai, vi pare?) non gliene frega un niente.
– Conosce tutti i tuoi gusti. E ordina sempre prima per te quando siete fuori.
– Si ricorda di ogni tuo avvenimento importante e ti chiede come è andato.
– Se tu dimentichi un suo avvenimento importante te lo racconta lo stesso. E senza fartelo notare (incredibile!).
– Fa di tutto per piacere alle tue amiche. E fa di tutto per non portarti in mezzo ai suoi amici con i quali non ti senti a tuo agio.
– Ma ricorda: lui è orgoglioso di presentarti ai suoi amici.
– Ti osserva senza un motivo apparente. Anche se spesso come unica risposta riceve un “Perché mi fissi? Ho per caso qualcosa che non va? Smettila”.
– Fa di tutto per farti sorridere. Soprattutto se la giornata è andata storta.
– Quando è fuori con gli amici mangia a sbafo. A te lascia pure l’ultimo boccone del dessert (tienitelo stretto).

E no. Credetemi no, non lo fa per farvi ingrassare ancora di più così nessuno vi guarda.
Che tanto a lui piacereste ugualmente – ma solo perché tanto gli uomini non ne capiscono – bensì perché chi ama, anche quando non lo dice, ha un’unica priorità. E porta il nome della persona che ha al suo fianco.
Alle volte troppo vicino. Altre troppo lontano.

Tecnologia: come hanno fatto i nostri nonni senza?

Credits photo ilsecoloXIX

Quante volte vi sarà capitato di chiedervi: “ma come facevano i nostri nonni senza gli smartphone, senza i computer, i social network?
Inevitabilmente ci sovviene alla mente l’immagine di un troglodita con la clava che cerca di comunicare con i segnali di fumo.
Tecnologia come si viveva senza

E invece, anche prima dell’avvento della tecnologia, i nostri nonni se la cavavano benissimo, anche se noi non sapremmo andare a buttare la spazzatura senza lo smartphone, sia mia dovessimo dimenticarci come si fa, almeno potremmo chiedere aiuto al nostro cellulare.
Scherzi a parte, ormai la nostra vita gira attorno a questi strumenti digitali che ci hanno reso un pò idioti, ammettiamolo. Non sappiamo più fare niente senza l’aiuto del nostro smartphone.
Lo usiamo per mettere la sveglia la mattina, per organizzare il nostro lavoro e i nostri impegni, per sviluppare la nostra vita sociale, per sentirci con gli amici, per cercare il supermercato più vicino, per ogni cosa. Ed effettivamente ci riesce difficile anche solo immaginare come facessero i nostri nonni senza.

Noi di Blog di Lifestyle siamo lieti di illuminarvi a riguardo mettendo a confronto i modi in cui un ragazzo 22enne affronta le attività quotidiane e come le affrontava sua nonna 80enne ai suoi tempi.

Come si fa ad organizzare un incontro con un gruppo di amici?

Ragazzo: Ho diversi gruppi di WhatsApp con diversi amici (amici uni, amici d’infanzia, comitiva del sabato), così si tende a parlare lì. Se si tratta di un grande evento, diciamo per un compleanno, creerò un evento Facebook o almeno un messaggio di gruppo per invitare tutti in una volta.
Nonna: Ora, io tendo a chiamare gli amici al telefono casa, ma non ho avuto un telefono di casa fino a quando mi sono sposata nel 1961.
Prima di allora avremmo organizziamo un incontro in anticipo, in modo che l’ultima volta che siamo stati tutti insieme, diremmo ‘ci vediamo di nuovo il prossimo Giovedi’ o qualcosa di simile.
Noi non abbiamo avuto i telefoni in casa come tutti gli adolescenti di oggi, quindi dopo la scuola saremmo andati in una cabina telefonica.

Come si sanno le notizie, come si svolgono le ricerche?

Ragazzo: una sola parola: GOOGLE. Sempre
Nonna: Si andava in biblioteca oppure alcuni di noi avevano dei libri, come le enciclopedie dove poter cercare quel che serviva. Io ho ricevuto il mio primo libro a 12 anni.

Come si prenota una vacanza?

Ragazzo: Io ho appena prenotato una vacanza dalla comodità del mio divano, usando il mio tablet mentre si guarda Downton Abbey in TV. Ho usato Trivago per confrontare i prezzi di hotel, Trip Advisor per leggere recensioni e Skyscanner per cercare le migliori opzioni di volo prima di acquistare tutto online.
Nonna: Vado da un agente di viaggio. Non necessariamente sai se quello che ti sta proponendo è il prezzo più conveniente, ma devi sperare che sia onesto e fidarti.

Sei sull’autobus, stai per andare ad un appuntamento con un amico, ti rendi conto di essere in ritardo, cosa fai?

Ragazzo: Gli scrivo subito un sms. Se non ottengo risposta in cinque minuti gli faccio anche uno squillo per essere sicuro che l’abbia ricevuto.
Nonna: Dovevi sperare che ti aspettasse. Probabilmente avresti potuto scendere dal bus per cercare una cabina, ma l’amico non avrebbe comunque avuto il telefono quindi non sarebbe stato d’aiuto.
Se invece fosse il mio amico in ritardo, io avrei aspettato una mezz’ora per poi rinunciare e tornare a casa.

Ascolti una canzone alla radio, ti piace, come fai ad acquistarla?

Ragazzo: Non ricordo l’ultima volta che ho comprato un CD. Scarico tutto, la mia musica va direttamente da iTunes al mio cellulare pronta per essere ascoltata in ogni momento
Nonna: Quando ero più giovane mi piaceva ascoltare il presentatore che annunciava la canzone, in modo da potermi scrivere il titolo e scendere al negozio di dischi più vicino per acquistarlo. Se non era disponibile chiedevo se avrebbero potuto recuperarlo per me.

Come si fa ad essere sempre aggiornato sulle novità?

Ragazzo: Controllo i siti dal mio cell mentre vado al lavoro, oppure vado su Twitter.
Nonna:Ho sempre sentito le notizie alla radio, di tanto in tanto guardavo un telegiornale o acquistavo un giornale.

Ti sei perso, come fai?

Ragazzo: Se devo andare in un posto nuovo mi assicuro di avere lo smartphone carico in modo da poter contare su Google Maps.
Nonna: Chiedo indicazioni a persone che mi sembrano del posto, magari di età avanzata.

Come contatti un amico in un altro Paese?

Ragazzo: Cerchiamo di sentirci e vederci tramite Skype, quando questo non è possibile per il fuso orario allora tramite e-mail o tramite Facebook.
Nonna:Io mandavo delle lettere, i francobolli costavano poco e sapevi che sarebbero arrivati in un paio di giorni.

Certamente la vita ci è stata agevolata dalla tecnologia, però magari ricordarsi che alcune cose sono fattibili anche senza potrà aiutarci per evitare la crisi di panico che ci prende quando dimentichiamo il cellulare a casa.