martedì, 30 Aprile 2024

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Anche in fabbrica Fiat a Melfi si balla Happy (VIDEO)

Si moltiplicano sul web i video contagiati dalle note di “Happy”, la canzone di Pharrell Williams. L’ultimo della serie è quello girato dagli operai dello stabilimento Fiat di Melfi, che sta spopolando sul web.

Ballano tra le linee di montaggio operai e amministrativi, direttore compreso. Il video realizzato dai dipendenti della casa automobilistica sulle note della famosa canzone, sembra quasi un inno alla felicità, con i dipendenti scatenati lungo la catena di montaggio.

In due giorni, il filmato ha avuto già 25 mila visualizzazioni, diventando immediatamente virale e scatenando critiche ed elogi. C’è chi apprezza l’iniziativa e lo spirito di squadra e di rinascita, commentando: “È stato un giorno di allegria che ha coinvolto tutti. Insieme dobbiamo rilanciare questa fabbrica. Basta con questa cappa di negatività. L’unico obiettivo del video è l’aggregazione“, e chi lo critica parlando di “pagliacciata“. Ecco alcuni dei post negativi: “Ma come mio marito si alza alle 4.30, in linea gli è vietato ascoltare musica e poi tutti ballano? Lì il lavoro è duro“. “Nel video solo capi, capetti e leccapiedi“, scrive un altro.

A Melfi si produce la Punto, e a partire dalla prossima estate produrrà la nuova Jeep Renegade e in autunno anche la 500X. Tutte ragioni per essere “happy” e per sperare nel completo riassorbimento della forza lavoro.

Cento secondi di simpatia e felicità pura, con decine di facce spesso imbarazzate, ma sempre sorridenti. Per Fiat, dopo anni di rotture e sconfitte con gli equilibrismi italiani, “Happy Melfi” rappresenta una novità rilevante. Un messaggio destinato a segnalare l’esistenza di una realtà “positiva” e coinvolgente, un segnale di sfida lungo il cammino della rinascita delle fabbriche italiane.

Chissà cosa ne penserà Marchionne. Per il momento è la rete ad esprimersi.

Chapeau, Madame!: cappellini dal 1920 al 1970 in mostra a Torino

credit: marieclaire.it

Cinquant’anni di cappellini, di storia della moda e dello stile di vita delle signore, dal 1920 al 1970, saranno in mostra a Torino, nella Sala Tessuti di Palazzo Madama. La mostra di chiama “Chapeau, Madame!” e sarà aperta al pubblico dal 26 marzo 2014 al 1 marzo 2015.

L’inaugurazione è prevista per il 25 marzo proprio a Palazzo Madama, alle ore 18 e tutte le signore partecipanti sono invitate ad indossare copricapi particolari ed estrosi.

La mostra non poteva che essere allestita nella città dove la moda è nata e dove sartine e modiste hanno mosso i loro primi passi con ago e filo. A scrivere i primi capitoli delle moda torinese fu Giuditta Brasseur, ragazzina orfana che apprese l’arte del taglio e cucito nel Collegio Figlie dei Militari o dei coniugi Angela e Filippo Gallia.

L’esposizione propone un percorso interessante dalle cloches negli anni Venti ai baschi alla Greta Garbo, i volumi alla Schiaparelli degli anni Trenta, fino ad arrivare a modelli semplici realizzati con materiali poveri del tempo di guerra alle calotte fiorite. Come dimenticare le piume e le velette, ornamenti dei cappellini anni Cinquanta e i ballon di pelliccia e i cappelli a larga tesa della fine degli anni Sessanta.

Ottanta cappellini per raccontare il gusto e lo stile della moda femminile dagli anni Venti agli anni Sessanta del Novecento. La varietà delle forme e delle fantasie dei cappellini nell’arco di cinquant’anni segnano l’importanza di questo accessorio, che era un complemento abituale per le signore del XIX secolo. Il cappello diventa nel Novecento un accessorio indispensabile per le donne di ogni classe sociale, un vero must-have, che riflette l’immagine e il mutamento della figura femminile in quegli anni, specchio dell’emancipazione femminile.

I cappelli provengono dalla collezione del Liceo Artistico Musicale “A. Passoni” di Torino, formatasi grazie alle donazioni cittadine da parte delle madame torinesi. Accanto alle famose firme parigine, dal respiro internazionale, come Dior, Jean Barthet e Pierre Balmain, ci sono i modelli delle torinesi Vassallo e David, Chiusano e Rigo, Cerrato, Maria Volpi, Gina Faloppa, che hanno mantenuto un rapporto privilegiato con la capitale francese proponendo, accanto alle proprie creazioni, modelli originali o copie su licenza delle maison francesi di successo.

Insieme alla mostra Chapeau Madame!, Palazzo Madama lancia il progetto Storie di moda, che vuole raccontare i mestieri della moda a Torino 1860-1960, indagando sulle sartorie, le modisterie e le calzolerie torinesi. Il museo chiederà l’aiuto e la collaborazione del suo pubblico per raccogliere documentazione e testimonianze su attività che hanno rappresentato un’eccellenza della creatività e dell’industria torinese. L’obiettivo è creare un nuovo archivio per tutti, che sarà disponibile sulle piattaforme web di Palazzo Madama.

Tanto di cappello.

La vita da single costa il 66% in più di quella di coppia

Sembra costare cara, secondo uno studio della Coldiretti, la piacevolissima libertà data dalla vita da single.

L’indipendenza nel nido che si è scelto, sembra essere diventata, di questi tempi, un vero e proprio lusso. Un’indipendenza però agognata e sostenuta dal fatto che il numero di persone che decidono di vivere da sole, è cresciuto del 40%.

Un italiano su tre, sceglie questa soluzione, consapevole dell’onere economico di questa scelta. 332 euro al mese spesi da un single, contro i 204 euro spesi dal singolo componente di una coppia: queste le spese medie stimate, a confronto.

Beni alimentari e non, condivisibili dalla coppia e non da un single, incidono pesantemente sul bilancio mensile degli individui. Quale la soluzione? Concretizzare alcuni piccoli accorgimenti in grado di far diminuire, a lungo termine ed in parte, la differenza tra le due scelte di vita.

SosTariffe ha analizzato costi e consumi, ponendo l’accento su alcune pratiche e abitudini, che potrebbero far risparmiare annualmente un ben accetto gruzzoletto.

La prima citata riguarda l’utilizzo del condizionatore. Al costo di acquisto degli apparecchi, bisogna infatti sommare i notevoli costi di esercizio: se un’unità di piccole dimensioni ha un consumo medio di 900W e comporta un consumo di circa 160 euro l’anno, se usato 6 ore al giorno, un’unità centralizzata comporterebbe un consumo di, addirittura, 640 euro annuali. Collocare gli apparecchi nella zona notte, preferire la modalità “deumidificatore”, evitare l’utilizzo nelle fasce orarie serali e alternane l’uso con quello di ventilatori: questi i consigli degli esperti.

Secondo punto su cui porre l’attenzione è quello della mobilità. Gli spostamenti in auto restano più comodi e meno vincolati, ma la scelta dei mezzi pubblici o, se il tempo lo permette, della bicicletta, consente un importante risparmio.

E come non citare poi, i capri espiatori per eccellenza, gli incubi di tutte le casalinghe e non solo: lavatrice e frigorifero.

Per quanto riguarda la prima, è necessario sfatare il mito dell’anti-igienicità delle temperature basse. L’azione battericida si attua, infatti anche nel momento dell’asciugatura, al sole o in asciugatrice. Attendere di avere un carico abbondante e contenersi con i lavaggi e le temperature, saranno la curva sud della parsimonia.

Il frigorifero d’altro canto, resta l’elettrodomestico con la più alta percentuale di consumi: valutare attentamente la classe energetica e il consumo annuo del modello all’atto d’acquisto, orientandosi su apparecchi in classe energetica ‘A++’ o ‘A+++, è la corretta soluzione per tenere a bada la bolletta.

Consigli utili, questi, che costano poco anche in termini di sacrificio. Dopo la coraggiosa scelta di crearsi un nido in solitaria, tocca a quella di risparmiare.

Il parkour, la sfida delle donne di Teheran

Per conquistare la libertà bisogna combattere. Combattere con forza e con tutti i mezzi a disposizione contro un sistema che impone sempre più restrizioni e freni alla libera espressione. Lo sanno bene le donne di Teheran che nonostante i pregiudizi di una società che guarda alle donne come un anello debole, trovano il coraggio di lasciarsi travolgere da ventate nuove e positive, che le spingono giorno dopo giorno a superare gli ostacoli.

Eccole quindi combattere per la propria libertà, correndo e saltando fino a quando il fiato lo permette. È una nuova passione, quella per il parkour, che supera qualsiasi tipo di pregiudizio o prescrizione sull’abbigliamento, lasciando dietro di sé solo il sentimento profondo di dimostrare la propria determinazione e superare le barriere sociali. A differenza degli uomini che praticano questa disciplina, che associano al parkour anche la cultura del rap, il movimento delle ragazze si presenta come più atletico e propositivo, eliminando qualsiasi tipo di rivalità, creando un clima di complicità per affrontare le difficoltà in cui incorrono.

Non è certo semplice praticare questo sport metropolitano, un mix di ginnastica, acrobazie e salti a ostacoli, per chi come loro è costretto a indossare vestiti che coprono sia la testa che il resto del corpo. Ma è forse questo impedimento a rendere la sfida ancora più coinvolgente, una sfida con la società e con se stesse.

Ho sempre un po’ d’ansia quando mi alleno, temo che i vestiti si spostino e che scoprano il mio corpo, temo anche di perdere il foulard, spiega una ragazza. Molti ci criticano dicendo che non è uno sport per donne ma noi non ci facciamo caso, dice Mariam, allenatrice di parkour a Teheran.

Nonostante questi ostacoli supplementari le atlete non si lasciano scoraggiare facilmente e si allenano tre volte a settimana, studiando ogni passaggio alla perfezione. In Iran la popolarità del parkour tra le giovani donne è in continua ascesa e le iscrizioni ai corsi, che crescono di giorno in giorno lo dimostrano. Saltano dai tetti, scalando le pareti di edifici ricchi di graffiti, catapultandosi sulle strade della città sotto gli occhi increduli dei passanti, mentre le più appassionate sognano di praticarlo un domani a livello professionale.

Le donne in Iran sentono la necessità di imparare a conoscere i propri diritti e la volontà di combattere di nuovo senza scendere in piazza, compromettendo la propria vita, ma ribellandosi attraverso lo sport, esternando allo stesso tempo tutta l’energia repressa. Repressa dalla realtà esterna e dalla società che le circonda.