giovedì, 19 Settembre 2024

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Proposte dal mondo del cibo: ristorazione, dieta, ricette e cucina

Per le dolci voglie notturne arriva il bancomat di cupcake

Dopo Beverly Hills, Atlanta, Chicago e Dallas, la Sprinkles’ Cupcake Bakery sbarca anche a New York: ecco allora, accanto alla pasticceria vera e propria – aperta dalle 9 di mattina alle 9 di sera – un bancomat che dispensa dolci ventiquattr’ore su ventiquattro, il primo Sprinkles’ Cupcake ATM (Automated Tastiness Machine) di Manhattan.

L’allettante distributore rosa shocking può contenere fino a 760 cupcakes, ma ben presto saranno disponibili anche cookie e altre leccornie. Per il momento, ci si dovrà “accontentare” di scegliere tra 7 diverse varietà della specialità della Sprinkles’ al prezzo di 4,25 dollari al pezzo: cioccolato bianco e nero, cocco e cioccolato, caffè cubano, meringa e limone, red velvet, fragola e vaniglia o cioccolato e vaniglia – con la possibilità di saziare anche l’appetito del proprio amico a quattro zampe con due tipi di mini-cupcake senza zucchero pensati appositamente per i cani.

Ma non è tutto: all’inaugurazione, i più fortunati hanno trovato, all’interno del proprio cupcake, un bigliettino dorato che gli ha guadagnato un notevole extra: alcuni golosi hanno, infatti, vinto una card regalo dell’American Express da 500 dollari, altri una card cumulativa da utilizzare in qualsiasi punto vendita della Sprinkles’ e altri ancora la possibilità di accedere a un “cupcake party” privato nella sala feste della pasticceria.

Quando nel 2002 Candace Nelson, titolare dell’azienda, lasciò la Borsa per la pasticceria, non avrebbe mai potuto immaginare un simile successo: soltanto la prima settimana d’apertura furono ben 2.000 i cupcake venduti. Da allora, lei e il marito Charles sono riusciti a dislocare in tutti gli Stati Uniti ben 12 sedi della loro Sprinkles’ Cupcake, e prevedono di aprirne almeno un’altra quindicina all’estero.

Proprio questo successo ha fatto sì che i due intraprendessero strategie innovative come quella dei Cupcake ATM: il lampo di genio si deve proprio a Candace, che, incinta del secondo figlio pensò fosse ridicolo, da proprietaria di una catena di pasticcerie, non poter procurarsi un cupcake appena sfornato all’ora più assurda che desiderava. La Sprinkles’ Cupcake Bakery, così, ha finito col diventare una catena dal valore di circa 9 milioni di dollari: a dimostrazione che le voglie di una donna possono essere davvero interessanti.

Per dimagrire basta solo la ‘dieta della razione di cibo’

Combattere il proprio peso, i chili di troppo, la cellulite e le maniglie dell’amore – che più che maniglie, sono dei portoni? Provare la dieta della razione dei cibo sembra essere l’unica soluzione.

Carolyn Ekins ricorda il giorno in cui sua suocera ha rivelato il momento clou della sua infanzia in tempo di guerra. “Il ‘trattamento’ settimanale per lei e sua sorella, per mangiare e sopravvivere, era la condivisione di un semplice uovo fritto”, dice. “Ho pensato: ‘Wow, come hai fatto a resistere?'”
Un appassionato di storia aveva notato che, cucinando ricette di questo tipo, solo per divertimento per molti anni, aveva permesso al “periodo di guerra frugale” di essere il più sano e positivo per la popolazione – nonostante le carenze alimentari – di quanto non lo fosse mai stato prima.
“C’era una grande squadra presso il Ministero della Salute, durante la guerra, che lavorava su ricette sane che contenevano un sacco di verdure”, ha poi continuato.

Questo è ciò che realmente ha catturato la mia attenzione: si può vivere su un terreno meno favorevole per condizioni economiche, di salute e sociali, ma sentirsi comunque bene su di esso. Mi ha colpito questo modo di vivere e mangiare in tempo di guerra: in questo modo si può comunque portare cibo allo stomaco senza spendere un patrimonio”.

Moltissimi di quelli che hanno provato le più famose diete Slimfast, WeightWatchers e Slimming World hanno confermato come la “dieta della razione del cibo” sia davvero efficace. “Ho avuto un certo successo, preferisco mangiare di meno piuttosto che fare affidamento su alimenti trasformati pieni di conservanti”.

“Quello che ho fatto è stato per lo più mettere le verdure nelle torte, senza dir nulla ai miei bambini o ai miei familiari, perché se avessi detto che stavo facendo il piatto utilizzando, ad esempio, le carote, non l’avrebbero mai mangiato”, commentano in merito alle nuove tecniche di cucina.
Per la cena di Natale, Caroly ha servito la torta con marzapane finto (farina, margarina, lo zucchero e l’essenza di mandorle), senza uova, e un budino di Natale e Anatra Mock a base di carne di salsiccia (vegan nel suo caso).

Quindi, al posto delle barrette energetiche o sostitutive dei pasti, e frullati e beveroni che avevano in precedenza invocato la soluzione migliore per la dieta, meglio cominciare a nutrire se stessi e la propria famiglia in maniera più salutare: basta solo una crostata di albicocche fatta con carote e Lord Woolton Pie.

La brasiliana Helena Rizzo è la miglior chef donna del mondo

La miglior chef donna del mondo si chiama Helena Rizzo ed è brasiliana; da poco ha ricevuto il premio Veuve Clicquot World’s Best Female Chef 2014 (migliore chef donna del mondo) dalla rivista inglese “The Restaurant”. Lavora nel ristorante Manì di San Paolo.
L’anno scorso il tanto aspirato riconoscimento culinario era andato all’italiana Nadia Santini, alla guida del ristorante “Dal Pescatore” (votato con tre stelle Michelin) a Canneto sull’Oglio (Mantova).

Helena Rizzo, originaria di Porto Alegre, ma con un cognome di origini italiane, è un’ex modella ed ex studentessa di architettura. Attualmente lavora accanto al marito Daniel Redondo, anche lui chef. Il loro locale, Manì, aperto nell’ormai lontano 2006, è già da un anno scorso nella lista dei 50 migliori ristoranti del mondo, al 46° posto. Unisce i meravigliosi ingrediente e ricette della tradizione brasiliana ai piccoli segreti e tecniche di cottura puramente made in Europe.

Nel 2013 Helena venne eletta anche la migliore chef donna dell’America Latina, iniziando forse in maniera ufficiale la sua carriera sempre più in ascesa, che l’hanno portata ad ottenere, poi, il riconoscimento come miglior chef del mondo, titolo ufficializzato a Londra.

Il giornale “The Restaurant” ha così motivato la sua scelta: Helena è “un esempio di cibo fatto con innovazione e anima“. La cerimonia di consegna del premio avverrà il prossimo 28 aprile nella capitale britannica.

Non sono e non ho mai avuto l’intenzione di essere la ‘migliore chef donna del mondo’, questo è un giudizio difficile da esprimere“, ha affermato la Rizzo dopo aver ricevuto la bellissima notizia.

Food Reputation Map, ora si può misurare la reputazione degli alimenti

Credit Photo: bergamosostenibile.com

Cosa ti piace del cibo che mangi, o del tuo piatto preferito? Bella domanda.
Certo, i più golosi non rinuncerebbero mai a patatine fritte in quantità esagerate d’olio, mentre i patiti delle diete non si faranno mai mancare frutta e verdura, ma aldilà delle preferenze personali ci sono anche importanti fattori che sono trasmessi a livello culturale circa l’alimentazione.
“Alimentarsi – dice il professore di psicologia sociale Marino Bonaiutoè infatti certamente un fattore vitale, ma intorno al cibo ruotano da sempre anche aspetti connessi al piacere, alla socialità, alla convivialità”.

23 parametri. Questo il numero dei fattori che influenzano le scelte agroalimentari. Perché la scelta di un alimento e il suo successo – piuttosto che il suo insuccesso – sono anche una questione di reputazione, e a rivelarlo è uno studio accademico condotto dall’Università Sapienza di Roma grazie al finanziamento del Gruppo Nestlé nell’ambito del progetto Axìa.

Lo studio e il modello messo a punto, dopo ben tre anni di lavoro, dimostrano che anche i prodotti alimentari hanno una loro “reputazione” da guadagnare e da mantenere, e che essa è concretamente misurabile ed è frutto di una serie di fattori. A seguito di questa scoperta è, infatti, stata creata la Food Reputation Map, uno strumento che consente di misurare la reputazione di un qualsiasi alimento e produzione agricola.
Suona strano, no? Solitamente il concetto di reputazione si lega a persone e ad altri agenti sociali, poco ai prodotti, ma ancora meno al singolo alimento, sia esso inteso come singolo alimento o come prodotto finito di una lunga ricetta.

Eppure la reputazione alimentare esiste. Ed è la rappresentazione precisa di opinioni che ogni persona possiede delle caratteristiche attuali e presenti di un determinato cibo.
Il funzionamento è semplice: la Food Reputation Map basa la sua validità sull’analisi di dati raccolti su un totale di 4.770 italiani ed evidenzia tre macroaree di reputazione, 6 indicatori sintetici, per un totale di 23 parametri specifici che influenzano la nostra percezione nei confronti di un preciso alimento, evidenziando così quelli che possono essere considerati i punti chiave che ne stimolano – o scoraggiano – l’acquisto e quindi il relativo consumo.

Si tratta di aspetti connessi all’essenza del prodotto, agli effetti culturali, economici, ambientali, fisiologici e psicologici di un prodotto. “Si tratta del primo metodo scientifico – ha precisato il docente precedentemente citato – per delineare punti di forza di un prodotto alimentare in vista dell’approdo sui mercati esteri”.
Si accresce quindi la competitività dei prodotti “Made in Italy”, perché il nostro è lo Stato europeo con il maggior numero di prodotti agroalimentari di qualità (22%), seguito dalla Francia con il 17%, ma che – evidentemente – non sa sfruttare bene i suoi prodotti, perché esporta solo l’11% della propria produzione, contro il 19% dei cugini d’oltralpe.
Si punta sul “Made in Italy”, ancora.

[Credit: LaRepubblica]