mercoledì, 17 Dicembre 2025

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Scienziati trovano “interruttore” colpevole del senso di fame

Credit: urbanpost.it

Gli scienziati hanno trovato un “interruttore” che aiuterebbe a ridurre o placare il senso dell’appetito, risolvendo così il problema dell’obesità, che specialmente in America colpisce una fetta sempre più crescente della popolazione.

I ricercatori coinvolti nella scoperta, hanno dimostrato come sia il livello di zuccheri nel sangue e far funzionare questa specie di interruttore che modererebbe l’appetito. Così, quando questa specie di segnaletica non dovesse funzionare, ecco palesarsi il problema del sovrappeso.

Le ricerche che stanno avanzando sull’argomento sono molto importanti, in quanto dimostrano come sia l’attività del cervello e degli ormoni a stabilire il senso di appetito e di sazietà.
La scoperta è stata un caso, durante degli studi condotti sulle cellule nervose nei laboratori di studi sui topi, per delle attività basate sullo studio della memoria.

Nello specifico, la ricerca voleva dimostrare cosa succede quando un enzima di nome OGT, fosse eliminato in certe zone del cervello dei topolini.
L’OGT è fondamentale all’interno del processo metabolico, in quanto coinvolge il circolo di insulina e glucosio all’interno del sangue, che aumentano sempre dopo un pasto o un drink alcolico.

Uno degli scopi di questo enzima è quello di andare ad aggiungere un derivato chimico del glucosio alle proteine e questo, apparentemente, risulterebbe un passaggio fondamentale nella sensazione di sazietà, in quanto cadrebbe nel centro di controllo dell’appetito da parte del cervello. Quando il gene di questo enzima viene cancellato o eliminato, ecco che il topo ingrassa del doppio rispetto al suo peso originario in due settimane.
A dimostrazione del fatto che, rimosso l’OGT, il topo non riesce più a distinguere il senso di pienezza dallo stato di fame, tanto da farlo continuare a mangiare senza controllo.

Ma quando è stato riprodotto geneticamente il segnale prima rimosso, ecco che il topo si arresta, tornando a sentire il senso di sazietà e quindi terminando il processo di nutrizione a non finire.
Giunti a queste rivelanti conclusioni, è scontato che i ricercatori abbiano deciso di darsi da fare nell’avanzamento di studi al riguardo, cercando delle sostanze – che potremmo chiamare droghe, ma solo per intendere fattori esterni che condizionino e alterino dei processi naturali del corpo – che riescano a regolare questa specie d’interruttore, quando questo dovesse smettere di funzionare.

Gli scienziati hanno inoltre dichiarato che agire chimicamente sul problema dell’obesità porterebbe ad avere degli effetti più immediati e visibili rispetto alla dieta e alla semplice forza di volontà, che spesso non sono abbastanza, purtroppo.

Donna sente per la prima volta ma le sorprese non sono finite (VIDEO)

credits: mirror.co.uk

Noi poi ci abituiamo a tutto, alle luci, ai colori, ai suoni, ai posti, agli abbracci, anche a quelli non dati, ai sorrisi, ai baci che sanno di rossetto, ai profumi, all’inverno e alle mezze stagioni che non esistono più.

Chi ci fa più caso ai suoni dei clacson delle macchine ai semafori, alla voce di mamma e papà, alle urla dei vicini, alle risate tra amici. E non ci accorgiamo che lì fuori c’è chi a questi suoni non si è mai abituato: Andrea Diaz, per esempio.

Andrea é una giovane ragazza, vissuta all’ombra dei suoni della vita. Ma i miracoli, che hanno l’intelligenza medica, esistono e quando avvengono cambiano tutto. Dopo anni di mancata conoscenza, Andrea sente finalmente i rumori e le tutte le belle sinfonie che la circondano.

Non appena la ragazza prova il nuovo apparecchio acustico e sente per la prima volta, le lacrime solcano il suo viso incredulo e sorridente. Non poteva immaginare quanto fosse bello poter sentire. Ma le sorprese non sono finite. Ad accompagnare la ragazza, oltre alla madre, c’è anche il fidanzato, Kevin Peakman, molto nervoso.

Dopo essersi assicurato che Andrea lo sentisse, Kevin si è inginocchiato davanti alla ragazza e ha detto:“Volevo che le prime parole che tu potessi sentire fossero speciali. Volevo che tu potessi ascoltarmi mentre ti chiedevo di sposarmi.”

E tra pianti e abbracci e un istantaneo “sì, lo voglio”, mentre il ragazzo manifesta ancora una volta il suo amore incondizionato per Andrea, lei esclama:“Ora posso finalmente ascoltare la tua voce.”

#OpenHouse, l’hashtag della solidarietà a Bruxelles

Credits: www.newsweek.com

Siamo tutti Bruxelles. Siamo tutti vicini alle persone che hanno perso la vita, ai feriti degli attentati, a chi è stato chiuso in casa tutti il giorno, a chi ha perso tutto, gli amici, i parenti, i sogni, le speranze. Soprattutto quella di un futuro migliore, dove atti di questo tipo non dovrebbero nemmeno essere nominati. E, invece, sono sempre dietro l’angolo pronti a portare un po’ più di terrore in giro per il mondo.

Come è successo per gli attentati di Parigi lo scorso 13 novembre, anche per Bruxelles non sono mancati messaggi di solidarietà da tutto il mondo. In primis, però, tutto parte dalla stessa Bruxelles. Una città lacerata dal dolore e dalla sofferenza, dove non vengono meno la speranza e la richiesta di amore, dove non si smette di sperare in un futuro migliore.

Ed è proprio la città colpita dagli attacchi terroristici del 22 marzo che, non avendo nient’altro al momento, offre l’unica cosa che può: la solidarietà. A tutti coloro che sono rimasti bloccati nella capitale del Beglio, a causa di voli o treni cancellati o semplicemente della gran confusione che ha governato la città per ore, molti cittadini belga hanno aperto le porte delle proprie case, per ospitare chi era rimasto fuori, spaventato da tutto ciò che stava accadendo.

Tra i trend topic su Twitter, infatti, c’è l’hashtag #OpenHouse, accompagnato anche da #PorteOuvert, come era già successo quando gli attacchi terroristici avevano colpito Parigi, la capitale francese. Di messaggi ce ne sono di tutti i tipi: chi chiede di essere contattato in privato per avere più informazioni, chi indica sul tweet la propria zona o il proprio indirizzo. Sono tantissime le persone che chiedono ospitalità, ma per fortuna sono tante anche quelle che la offrono.

Tutto ciò ci fa capire che viviamo in un mondo che soffre ma che non smette di sperare in qualcosa di migliore, dove l’amore è l’unico sentimento in grado di trionfare su tutto e tutti. Anche su chi pensa che i sentimenti peggiori sono gli unici a poter sopravvivere in una società così brutta, buia, malata e lacerata.

Bruxelles era un sogno (LETTERA APERTA)

Credit: competitiontravel.it

Bruxelles era davvero un sogno.
C’arrivammo da Roma, con un volo pagato poco. Molto poco. E durato abbastanza, oltre 2 ore, con partenza all’alba. Era la prima tappa del nostro Interrail, la prima meta, la prima partenza. Il viaggio, non è importante ma è bene illuminare anche i contorni, era di quelli senza grandi ambizioni: zaino, amici, voglia di conoscere. Anche il Belgio.

Il primo ricordo di Bruxelles è l’odore di cornetti all’arrivo in una delle stazioni della metropolitana. Non lo so, e non lo voglio sapere, se la bomba è esplosa in una di quelle stazioni nelle quali sono stato. Credo che sia il particolare più insignificante, oggi. Sono atterrato in quell’aeroporto, questo purtroppo l’ho già capito. Ma a Bruxelles ci sono stato un giorno appena, dal mattino fino al mattino seguente. Senza un posto in cui dormire, in una giornata d’Agosto piovosa, con la temperatura che scendeva sotto i 20°. Vallo a spiegare a chi come me ad Agosto non sa dove dormire, per il caldo. Era solo la prima tappa, avevamo gli occhi riposati, non dormivamo da due giorni ma non avevamo sonno.
Avevamo una cartina, da turisti scrupolosi: visitammo tutti i punti d’interesse in un giorno. Andammo all’Heysel, in un pezzo di città desolato, quasi abbandonato. Come se ci fosse l’onta di una tragedia vergognosa, rimossa in maniera inconscia. Chissà se Bruxelles saprà cancellare così anche questa tragedia. Non sarebbe giusto, però.

A Bruxelles abbiamo provato a dormire in stazione, il pavimento di marmo era freddo ma bastava un tappetino per stare bene. Poi la polizia, l’avviso della chiusura della stazione per qualche ora nella notte. C’erano due ragazze poco più in là. Diciottenni o giù di lì. Con uno zaino grande almeno quanto il nostro, provenienti da chissà dove. Forse il sogno dell’Europa unita era lì. In quella stazione per 5 minuti: ventenni provenienti da chissà dove con la voglia di viaggiare, camminare, conoscere e conoscersi. Vivere.

Ma se alla stazione non si può stare nelle ore notturne ci fermiamo tutti nella Grand Place. C’è una persona che brandisce una bottiglia di vodka vuota e a malapena si regge in piedi, fa un po’ paura. C’è un mendicante dalla pelle scura, ci dice che si chiama Mohamed, fa molta meno paura. Lui non si regge in piedi per davvero, ma quando qualcuno gli regala dei soldi viene a darci 5 Euro. Chissà perché. Forse aveva scambiato anche noi per mendicanti, e chi ha fatto l’Interrail capirà perché. “This is for you”. Bisogna insistere per dirgli che con quei soldi può comprare da mangiare, piuttosto che regalarli a tre ragazzi che sono lì per divertirsi e per viaggiare. Chissà se l’ha capito, ma alla fine i soldi se li è ripresi, per fortuna. Non era europeo, non di nascita credo, ma quel giorno faceva parte della nostra Europa.
Di quella per cui basta un treno, due amici e uno zaino. Era quella l’Europa che avevamo sognato, e che muore lentamente, agonizzante, tra guerre perenni e strategie del terrore. Tra le bombe ad Ankara e quelle in Siria, che sembrano non esistere. Tra la follia religiosa e la follia bellicistica di chi non riesce, o non vuole, capire che questa guerra non nasce da motivi religiosi o razziali ma da motivazioni geopolitiche più profonde. E poi invoca bombe, guerre, pulizie etniche: come se le bombe che valgono sono solo quelle europee. In questo l’Europa sarebbe dovuta diventare mondo, ma non c’è riuscita. Ha tristemente fallito. S’è fatta Occidente esportando con la forza i propri valori ai danni di chi Occidente non è. In nome del Dio denaro, al quale ha risposto, col terrore, Allah.

Ma in tutto questo, ha perso quella nostra Europa, radunata per cinque minuti in una stazione di Bruxelles.
Perché Bruxelles era un sogno, d’Europa. Un sogno svanito.

[A cura di Giuseppe Andriani]