domenica, 7 Dicembre 2025

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10 modi per capire se la tua storia d’amore è finita

A tutto c’è una fine. Lo ricordano i grandi film d’amore, le frasi romantiche sui Baci Perugina, le pubblicità e, soprattutto, la vita di tutti i giorni nella giungla della quotidianità. A tutto c’è una fine, anche alle storie d’amore. Ecco i 10 modi per capire se – e quando – la tua storia d’amore è finita. Piccoli campanelli d’allarme per prepararti al “Sì, ti lascio, è finita”. O per preparare lui.

Difficoltà nel comunicare

“La comunicazione è estremamente essenziale in una relazione, tanto che la mancanza di dialogo può essere un primo segnale di crisi”, dice Rachel DeAlto, esperta di relazioni e flirt. La difficoltà nel relazionarvi a parole rappresenta un vero e proprio gap all’interno della storia. Per migliorare la situazione si consiglia una passeggiata pomeridiana o una cena di coppia in un ristoranti intimo, senza distrazioni né problemi.

Problemi a letto

Avere una buona e salutare vita sessuale è importante per una relazione, ma se cominciano ad arrivare i problemi è momento di dire basta e capire perché.
Rachel DeAlto afferma: “Perdere un po’ di desiderio è normale, soprattutto con l’avanzare dell’età e il progredire della storia, ma passare da 100 a 0 non è per nulla un buon segno. Meglio dire basta”.

Noia

All’inizio, ogni storia è piena di “Cucci cucci”, “Trottolino amoroso”. Poi il nulla. Noia, noia mortale. Ora il periodo “luna di miele” è finito e la Tv e il telecomando si sono impossessati di noi. Serve ridare smalto alla storia: provare cose nuove, uscire e prender aria, conoscere gente nuova e alternare i weekend fuori porta. Ma se non c’è interesse che senso ha continuare ancora?

Litigi

Sfortuna, caratteri diversi, incompatibilità o troppa abitudine. Prendere fuoco per nulla, arrabbiarsi per poco, permalosità e gelosia. Tutti elementi che portano a sfuriate e litigi. Rachel DeAlto commenta: “Solitamente le donne iniziano un litigio quando capiscono che la loro storia è quasi al capolinea. Preferiscono portare il proprio uomo sulla strada del ‘Ti lascio’, lavandosi le mani e lasciando a loro il lavoro sporco”.

No progetti futuri

Il pensiero di trascorrere più tempo con il vostro uomo non vi emoziona più? Preferireste scappare? Essere innamorati non dovrebbe mai essere un lavoro, una routine o un futuro negato. In realtà si dovrebbero contare i giorni prima di una ricorrenza, un viaggio, un’emozione.
Basta cercare quel quid in più che possa riportare armonia nella coppia e desiderio di progetti futuri. Altrimenti… “The next!”

Scontrosi e zero effetto

Riesci a ricordare l’ultima volta che ti sei sentita amata? Ti capita spesso di dirgli che lo ami? Se questi sentimenti ed emozioni sono diventati un ricordo del passato, allora il vostro rapporto ha bisogno di una svolta emotiva. Se non si desidera abbracciare il proprio uomo è il momento di andare avanti.

“Non desiderare l’uomo d’altri…”

“Se si inizia a fantasticare su altri uomini, immaginando la vita come una donna sola, il rapporto è praticamente finito. Già distaccarsi emotivamente”, dice Rachel DeAlto. Ovvio. Pensare ad un altro – mentre si è fidanzati con qualcuno – non è proprio il massimo.

Impuntarsi su tutto

Poche parole, concetto facile: “Io ho ragione su tutto e non voglio sentire storie”. Diventare delle iene con il ciclo e attaccare con gli artigli chiunque la pensi diversamente da noi. “Io non ti ascolto neanche”.

Zero interesse

Telefono a tarda notte sempre libero per le chiamate, messaggini, lettere ed e-mail. Poi tutto va scemando.
“In amore sai che il tuo rapporto è finito quando si diventa del tutto indifferente all’uomo”, dice Rachel DeAlto. “Se non ti importa di quello che fa, dove va o cosa pensa, è il momento di andare avanti”.
Rachel aggiunge anche: “Il contrario dell’amore non è l’odio, è l’indifferenza”.

Mentire, ingannare

“Barare in un rapporto è sempre dannoso. Ci sono molti fattori che entrano in gioco al momento di decidere se è il momento di farla finita, ma tutto si riduce al fatto che è possibile ricostruire la fiducia”, afferma Rachel DeAlto. “Se non si riesce a perdonare e fidarsi di loro ancora una volta, è meglio andare via.”

‘420 Day’: oggi un flash mob per la liberalizzazione della cannabis

Credit: Dailystorm.it

Oggi è Pasqua, ma non solo. Oggi è anche il “420 Day”, che in gergo comune è la “giornata mondiale della Marijuana”.

Da Hyde Park, il cuore verde di Londra, a Denver, negli Stati Uniti d’America, passando per altre piccole-grandi città, migliaia di persone si ritroveranno nei parchi per accendersi tutti insieme uno spinello, e manifestare così.
Alle 4.20 del pomeriggio, ora locale, tutti aspireranno dal proprio spinello: atto irriverente e di disobbedienza collettiva per lottare a favore della liberalizzazione della cannabis.

Perché proprio il 20 di Aprile? Il numero 4/20 (e più brevemente 420) nella cultura popolare americana è da anni un numero in codice per la Marijuana.
Il mito narra che correva l’anno 1971 quando tutto ha avuto inizio. Cinque ragazzi della San Rafael High School, in California, erano venuti a sapere dell’esistenza di una piantagione di Marijuana abbandonata nelle vicinanze di Point Reyes, a solo un’ora di macchina dalla scuola.
Affascinati dall’idea di scoprire il loro tesoro nascosto, i ragazzi si diedero appuntamento fuori dall’edificio scolastico alle 4.20 del pomeriggio per partire alla ricerca della piantagione.
La spedizione fu un buco nell’acqua.

Non si sa se questo tesoro (ciò la piantagione di Marijuana) sia mai realmente esistito, ma i cinque ragazzi non si diedero pace e continuarono a darsi appuntamento, fuori scuola, tutti i giorni alle 4.20 p.m. per (ri)partire verso Point Reyes. Ovviamente fumavano spinelli per tutto il viaggio.

Il numero divenne il loro codice, che passarono inizialmente ai loro compagni più stretti, ma che poi si diffuse per tutta San Rafael.
Il successo nazionale del “420 Day” venne però grazie al gruppo rock dei Grateful Dead, paladini degli hippie dalla fine degli anni sessanta, diventati oggi vere e proprie icone per gli incalliti fumatori di cannabis.

L’abitudine di celebrare la “giornata della marijuana” il 20 di Aprile di ogni anno si è diffusa sempre di più man mano che la campagna per la liberalizzazione ha guadagnato consensi internazionali.
Nel 2013 ad Hyde Park c’erano 10 mila persone per il “420 Day”, e quest’anno, dice Greg De Hoedt, presidente dello Uk Cannabis Club, “saremo ancora di più”.
Feste con musiche, danze, spuntini e fumante in compagnia. Feste ancora rigorosamente illegali.

[credit: DirittiGlobali]

Crescere i propri figli in mare porta numerosi benefici

Il nostro stile di vita comporta dei rischi. Ci sono tempeste in mare, malattie in località remote, momenti da brivido. Rischiamo salvataggi e abbiamo conosciuto persone che hanno perso le loro barche e altri che hanno perso la vita“. Sono le parole di chi non ha idea di cosa sia un paio di piedi fermi sulla terra; sono le testimonianze di chi ha deciso di trascorrere la propria vita sulle onde, nel mare, sulle barche a vela, attraverso mille acque diverse, rischi e pericoli ogni giorno, paura e adrenalina. Sembra essere il modo migliore per crescere ed educare i propri figli.

I marinai Eric e Charlotte Kaufman navigavano con loro nave, la Lebel Heart, dal Messico alla Nuova Zelanda, con le loro giovani figlie Lyra, di un anno, e Cora, di tre, quando, a 900 miglia nautiche dal Messico, hanno fatto una chiamata di emergenza alla Guardia Costiera: la loro figlia più giovane si era gravemente malata, la potenza del motore della barca diminuiva e lo sterzo funziona male. La situazione era di emergenza.

La famiglia Kaufman vive nel mare. La Rebel Heart è la loro casa. Hanno scelto di vivere una realtà diversa, originale, metter su famiglia tra le onde e crescere nel mare i propri figli.

“Mio marito ed io abbiamo navigato per tre anni e mezzo, oltre 12.000 miglia, attraverso 10 paesi, prima di arrivare in un porto straniero e avere un figlio – raccontano Diane Selkirk e suo marito Evan con la loro figlia MaiaA 12 anni di età, Maia ha raccolto più ore di navigazione che di shopping, ha più familiarità con le stelle nel cielo che con le App degli smartphone o le news dei tabloid. Lei è elegante e sicura di sé, in non piccola parte a causa della sua infanzia non convenzionale. Come i Kaufman, siamo parte di una rete internazionale di famiglie che vivono su “barche/navi da crociera, crescono lì. Esistono anche delle campagne di raccolta fondi per aiutare le famiglie con le spese, e in particolare i Kaufman, in quanto la loro barca era la loro casa e l’hanno persa in un battibaleno.

Quanto rischio? C’è troppo rischio? Domande che possiamo porci tutti i giorni. “Conosco un sacco di gente pensa che siamo egoisti – possiamo e non vogliamo rinunciare al nostro stile di vita avventuroso per fare ciò che è meglio per il nostro bambino. Ma la maggior parte di noi genitori in barca hanno scelto di intraprendere viaggi con i bambini perché si vuole condividere il viaggio della vita con loro”, commentano ancora.

La ricerca dell’Università di Harvard sostiene che le esperienze della prima infanzia sono biologicamente integrate con lo sviluppo di altri sistemi di organi e cervello e hanno un impatto importantissimo sull’apprendimento, sul comportamento e sulla salute mentale. Per i ragazzi più grandi ci sono altri benefici, misurabili in una maggiore autostima e un maggior senso di indipendenza.

I bambini che vivono l’esperienza del mare e crescono sulle navi assieme alla loro famiglia è assolutamente positiva: si imparano linguaggi comuni, culture e tradizioni di paesi sconosciuti e lontanissimi, si apprezzano le cose più semplici, si vive il lavoro di squadra e la collaborazione. “La semplice risposta a chi ci accusa di mettere nostra figlia in pericolo è che questa vita è il miglior regalo che sappiamo darle. È meraviglioso arrivare in un paese straniero, vedere la terra lentamente mentre rivela i suoi segreti. Stiamo lasciando che nostra figlia scopra cosa significa esplorare. Sì, c’è grande rischio, ma ci vuole coraggio”.

Sleeveface, l’ennesima frontiera dei selfie. Ecco come funziona

Credit: examplesof.com

Alla parola selfie la nostra mente divaga in tutte le direzioni possibili che ha intrapreso questa “moda dell’autoscatto”. Dal selfie #aftersex, al belfie; dal #selfieconlosconosciuto ai Bikini Bridge.
Ora poi c’è lo Sleeveface, nuovo fenomeno del web, ennesima evoluzione naturale dei selfie.

Nato nell’Aprile del 2007 grazie a Carl Morris che ha coniato il termine – dopo aver fotografato se stesso e un gruppo di amici con i visi coperti da altrettante custodie di dischi – ha una pagina su Wikipedia, ed è una pratica di lunga data praticata inizialmente dagli amanti del vintage, dai collezionisti, e dagli intenditori: si tratta di foto scattate con immagini o con la copertina di un vinile a sostituzione del proprio viso.

Lo Sleeveface sta già conquistando tutto il mondo, ma come funziona di preciso?
Non è poi così difficile, il principio è quello dell’illusione ottica. Basta prendere la copertina di un vinile, creare la giusta prospettiva – curando i dettagli – nascondere la parte di sé che deve essere sostituita dal vinile, e poi clic, si scatta.
Molto più facile a farsi, che a dirsi.

La tecnologia ha pensato anche ai più pigri, o a chi non ha a disposizione copertine di dischi di quel genere, adatte a un vero Sleeveface, creando un’App apposta – per ora solo per Iphone – che aiuta a diventare Sleevefacer grazie a una collezione di copertine digitali che compaiono direttamente nello scatto.

Se poi siete particolarmente soddisfatti del vostro autoscatto potete condividerlo sul social network di riferimetno: Sleeveface.com.

Nel caso non sia ancora chiaro, ecco un video – tutorial per realizzare Sleeveface perfette.http://www.youtube.com/watch?v=NVt4jOasujc