lunedì, 7 Aprile 2025

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#IceBucketChallenge, ma quanti sanno cos’è la SLA?

La protesta dei malati di SLA in Italia risuona forte e chiaro in tutto il mondo: “Le secchiate? Solo ipocrisia”.
Loro sono i primi a riconoscere che l’iniziativa è partita bene, molto bene in America, ma che, strada facendo, si è dimenticato il reale obbiettivo dell’Ice Bucket Challenge.
Ormai le secchiate d’acqua non solo altro che l’ultima moda del momento: è sicuramente più comodo farsi riprendere con i capelli e gli indumenti bagnati piuttosto che tirare fuori il portafoglio e donare per una buona causa.

Personalmente ritengo che molti di quelli che hanno partecipato alla campagna #IceBucketChallange non sanno nemmeno di preciso cos’è la SLA.

Ecco una spiegazione.

La SLA, Sclerosi Laterale Amiotrofica – chiamata anche morbo di Lou Gehrig per via di un giocatore di baseball che attirò l’attenzione pubblica sulla malattia nel 1939 – è una malattia neurodegenerativa progressiva del motoneurone, che colpisce selettivamente i motoneuroni, cioè porta a una paralisi totale. La prima parte del corpo ad essere colpita da questa malattia è la corteccia celebrale, poi, in un secondo livello, il tronco encefalico e il midollo spinale.
La SLA è una patologia rara, colpisce 2 – 3 persone ogni 100 000 individui all’anno, principalmente uomini. È estremamente rara dopo gli 80 anni.

Attualmente non si conosce il numero esatto di malati di SLA in Italia, poiché non sono stati ancora completati i relativi registri, ma si stimano almeno 3.500 malati e 1.000 nuovi casi all’anno con una forte concentrazione il Lombardia, poi Campania, Lazio e Sicilia – anche se questo potrebbe dipendere in buona parte da una maggiore capacità di diagnosi delle strutture ospedaliere locali.

Esordio e decorso della malattia variano molto da individuo a individuo e dipendono dalla forma di SLA da cui si è colpiti. I sintomi iniziali sono: brevi contrazioni muscolari, detti anche fascicolazioni, crampi, rigidità e debolezza muscolare che influiscono sul funzionamento di un arto.
Questo tipo di esordio riguarda circa il 75% dei casi, mentre il restante 25% ha un esordio differente, detto bulbare, che si manifesta con difficoltà nella parola fino alla perdita della capacità di comunicare verbalmente e difficoltà di deglutizione. Le differenze di sintomi iniziali della malattia dipendono da quale dei motoneuroni viene colpito prima: se il primo è che si trova a livello della corteccia cerebrale si avrà un esordio bulbare, invece l’esordio sarà spinale se il motoneurone colpito si trova a livello del tronco encefalico e del midollo spinale.
E non si tratta della perdita progressiva della capacitò di muoversi, parlare, deglutire e spesso anche respirare autonomamente, la SLA colpisce anche il lobo fronte temporale, causando la demenza.

La diagnosi viene fatta per lo più in maniera sintomatica e avviene mediamente dopo un anno dall’insorgenza dei sintomi, anche se ci sono stati casi in cui la malattia viene diagnosticata in tempi molto più lunghi.

Ma quali sono le cause, i fattori che scatenano la malattia?

Attualmente si ritiene che la SLA sia una malattia con cause multifattoriali, cioè che il suo insorgere possa essere determinato da una serie di motivi di tipo sia genetico che ambientale.
Studi recenti hanno individuato tra le cause anche il mutamento di un gruppo di geni, che sarebbe un fattore predisponente.
Attualmente, però, maggior attenzione viene rivolta a cause ambientali e stili di vita che possono, nel soggetti predisposti, facilitare l’insorgenza della malattia. Tra questi fattori ambientali ci sono, ad esempio, il contatto con agenti inquinanti, o i traumi frequenti alla testa.

La maggior parte dei pazienti affetti da SLA alterna periodi di ricovero ospedaliero a periodi di assistenza domiciliare continua, sia di tipo medico che non. Non va sottovalutato l’altissimo impatto sociale della malattia che investe tutta la famiglia – ad esempio, capita spesso che il coniuge della persona malata lascia o riduce la propria attività lavorativa, per seguire costantemente il malato e adattare la casa alle esigenze di quest’ultimo. L’impatto psicologico non è da meno.

Ora come ora, non ci sono cure in grado di arrestare o prevenire la malattia. Per questo motivo era partita la raccolta fondi #IceBucketChallenge, per dare un contributo economico alla ricerca di una cura. Per dare la felicità a chi è, purtroppo, più sfortunato di noi.
La cosa però ci è sfuggita di mano, e le secchiate d’acqua ghiacciata non sono diventate altro che un modo per farsi vedere e mettersi in mostra sui social network. A voi, che fate i buffoni su in problema così grande, chiedo gentilmente di mettervi una mano sulla coscienza.

Risparmiatevi il ghiaccio e donate.

[Credit: osservatoriomalattierare.it]

Stress da rientro dalle ferie: ecco il giusto stile di vita per combatterlo

L’estate è ormai agli sgoccioli e molti sono già rientrati dalle ferie. Dopo giorni di assoluto relax, fra mare e montagna, il nostro corpo e la nostra mente si sono abituati a quello stato di ozio che ci serviva dopo un anno di duro lavoro o di studio. Ma il rientro è sempre traumatico e quella sensazione di relax lascia il posto al suo opposto, lo stress. Così, neanche il tempo di disfare le valigie, ci sentiamo stanchi, spossati e stressati.

Lo stress da rientro dalle ferie però può essere combattuto riprendendo, a poco a poco, un regime di vita sano che ci riporterà alle nostre consuete abitudini.

Dopo settimane passate da nottambuli in cui facevamo le ore piccole prima di andare a letto, per riprendere i ritmi giusti è giusto iniziare ad anticipare ogni giorno di mezz’ora l’ora di andare a letto. Inoltre è necessario per il nostro corpo dormire dalle 8 alle 10 ore a notte.
L’alimentazione è importante per prevenire lo stress e assumere vitamina D, presente nei formaggi, nei pesci ricchi di grassi e nel tuorlo d’uovo, ci aiuta anche a combattere la stanchezza, così come è importante l’omega 3 e il cioccolato per prevenire il malumore.

Non dimentichiamo l’attività fisica: fare un’ora di attività fisica al giorno è salutare per il nostro corpo e per la nostra mente. Dopo un’ora di corsa, di pilates o una nuotata in piscina o qualsiasi altro sport ci sentiremo carichi di ricominciare con le nostre abitudini.
Mentre le uscite con gli amici sono l’ideale per dimenticare la nostalgia da vacanza che tanto ci affligge al rientro dalle ferie.

Le cosiddette sigarette “a minor rischio”, una bufala?

Forti contraddizioni, grande punto interrogativo sugli effettivi disastri che queste sigarette “Light” comportano.

Fanno meno male di quelle normali? Un minor livello di nicotina aiuta a “disintossicare”?
Molti studi affermano che queste sigarette, che contengono un livello di nicotina inferiore rispetto al normale, comportano una minor voglia di fumare, con la conseguente disintossicazione.
Altri studi sostengono l’esatto opposto.

Quindi a chi credere?
Finché non verrà stilata un’ulteriore ricerca finale,si crede che le sigarette dette “light” siano una bufala, in quanto i fumatori, non per forza i più accaniti, se vogliono, possono comunque fumare parecchio ed esserne dipendenti.

Difatti non è stato dimostrato che le sigarette a basso contenuto di catrame, e/o nicotina, riducano i pericoli per la salute causati dal fumo, in quanto forniscono una quantità di nicotina tale da mantenere la dipendenza.

Nei materiali promozionali, alcune marche di sigarette a basso rilascio o “light” e alcuni nuovi prodotti come “Eclipse” della R.J. Reynolds, “Accord” della Phillip Morris, sono state definite meno pericolose rispetto alle sigarette normali.
Le sigarette a basso rilascio vengono dichiarate tali grazie ai test eseguiti con l’aiuto delle smoking machine.
Ma i fumatori non fumano le sigarette come le macchine dei test e possono facilmente ottenere la dose desiderata di nicotina fumando le sigarette a basso rilascio più intensamente, più frequentemente o coprendo i fori di ventilazione presenti sul filtro.

Teoricamente le sigarette con minor livello di nicotina non solo non fanno meno male delle sigarette “standard” ma sono ancora più dannose delle normali.
La conferma arriva dalla “Società Americana Di Oncologia Clinica Di Chicago” che afferma come la pericolosità delle sigarette “leggere” sia nettamente superiore a quella delle sigarette normali.
Le sigarette light danno l’illusione, soprattutto ai giovani, di poter farne utilizzo rischiando meno il cancro ai polmoni, un miraggio, però, costantemente svelato dagli studi che da anni pongono l’accento sul fatto che in realtà le light siano ancora più danneggianti delle sigarette senza filtri.

Non è stato dimostrato che le sigarette Light riducano in modo sostanziale i pericoli per la salute associati al fumo di sigaretta e non rappresentano una buona alternativa all’abbandono del fumo.
Nessuno dei nuovi prodotti ha dimostrato di ridurre i rischi per la salute o di promuovere l’abbandono del fumo. Infine, alcuni studi suggeriscono che le sigarette “a basso rischio” possono rassicurare i fumatori che esiste un modo più sicuro di fumare, indebolendo così la decisione di smettere, con un impatto negativo sulla salute pubblica.

Nonostante queste prove inconfutabili, come riportato sopra, molti studi hanno dimostrato l’esatto opposto, svelando come le sigarette “light”, essendo più leggere e meno ricche di nicotina, possano portare “benefici” ai fumatori inducendoli a smettere di fumare.
Anche in Canada sono state svolte numerose ricerche su questo argomento scottante, e l’ultima ha dimostrato ciò: le sigarette con ridotto apporto di nicotina comportano una riduzione di sigarette fumate, meno rischi per la salute e per i più fortunati una disintossicazione totale.

Sarà vero?

Addio occhiali da vista grazie all’impianto ‘gocce di pioggia’

Credit: boorp.com

Si chiama “Gocce di pioggia” ed è la nuova tecnica sperimentata dagli scienziati che potrebbe farci dire addio agli occhiali da lettura.
Si tratta di una piccola operazione indolore che prevede il posizionamento di un minuscolo impianto – goccia di pioggia, appunto – sotto la cornea nel tentativo di invertire la visione dei problemi associati con l’invecchiamento.
La procedura appena descritta dovrebbe combattere la condizione di presbiopia, cioè la difficoltà di mettere a fuoco gli oggetti vicini.

I problemi di presbiopia sono sempre più comuni introno ai 40 anni di età, periodo in cui si inizia ad essere costretti a portare occhiali per la lettura.
Con questa nuova tecnica si potrebbe sostituire la chirurgia laser, che fino ad ora è stata considerata l’unico trattamento a lungo termine, e che comunque potrebbe lasciare alcuni pazienti bisognosi di occhiali.

Si tratta di un intervento da poco più di 10 minuti, arco di tempo in cui il chirurgo posiziona queste “gocce” nell’occhio del paziente, più precisamente sotto un lembo della cornea, la parte trasparente dell’occhio: si corregge la vista da vicino, modificando la posizione della cornea.
Mark Wevill, un chirurgo oftalmico che ha completato l’intervento su una manciata di pazienti, ha detto al DailyMail: “Goccia di pioggia non può fermare gli occhi dall’invecchiamento, ma può aiutare a contrastare il deterioramento della vista causato dal processo di invecchiamento”.

Questo nuovo tipo di operazione è stato lanciato in America, ma ha fatto la sua strada attraverso l’Atlantico ed è ora usato allo Space Sanità a Royal Leamington Spa, Warwickshire. Infatti, la prima paziente ad essersi sottoposta alla nuova tecnica “gocce di pioggia”è Lynda Marenghi, 57 anni, proveniente proprio dalla Gran Bretagna.
La procedura costa £2495, e statisticamente offre speranza a 32 milioni di persone inglesi che portano gli occhiali per la lettura, con un risparmio in prodotti ottici – tra occhiali, visite e lenti a contatto – di 2.7 milioni di sterline.