giovedì, 21 Novembre 2024

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L’ossitocina, ormone dell’amore, utile contro l’anoressia

L’ossitocina, ormone che viene rilasciato dall’ipofisi durante le attività che presuppongono un legame umano e intimo, come il parto o il sesso, potrebbe aiutare ad attenuare le ossessioni legate a cibo e obesità nelle persone affette da anoressia, e inoltre può essere collegato, con forme artificiali di ossitocina, all’abbassamento dell’ansia nelle persone affette da autismo.

Quest’ormone chiamato anche “l’ormone dell’amore“, è collegato a sentimenti positivi. Questo è quanto suggerisce uno studio preliminare, comparso sulla rivista Psychoneuroendocrinology.

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I pazienti affetti da anoressia hanno una serie di difficoltà sociali, che spesso iniziano nell’adolescenza prima della comparsa della malattia“, afferma l’autore senior dello studio Janet Treasure, dell’Istituto di Psichiatria del King’s College di Londra. “Questi problemi sociali, che possono avere come risultato l’isolamento – aggiunge – possono essere importanti per comprendere sia l’insorgenza che il perdurare dell’anoressia. Utilizzando l’ossitocina come potenziale trattamento per l’anoressia ci stiamo concentrando su alcuni di questi problemi di fondo che vediamo nei pazienti“.

Sono stati pubblicati due studi su Psychoneuroendocrinology. Nel primo, i ricercatori hanno analizzato 31 pazienti anoressici e 33 pazienti sani di controllo. I partecipanti sono stati invitati a guardare immagini di cibi ad alto e basso contenuto calorico, le forme del corpo grasse e magre, pesi e bilance. Hanno poi ricevuto una dose di ossitocina o un placebo tramite uno spray nasale e dopo gli è stato chiesto di guardare nuovamente le immagini. Lo scopo dell’esperimento era di misurare la velocità con cui i partecipanti identificavano le immagini.

Dopo aver assunto l’ossitocina, i pazienti anoressici sembrano essere meno ossessionati dalle immagini di cibo e obesità, hanno sostenuto i ricercatori. Invece, in precedenza, i pazienti anoressici erano concentrati maggiormente sulle immagini “negative”, come ad es. i cibi ipercalorici o le forme del corpo grasse. Quindi l’ossitocina ha ridotto la loro “attenzione polarizzazione“, portandoli a concentrarsi meno su quelle immagini.

Il secondo studio, pubblicato su PLoS ONE, aveva mostrato come gli stessi partecipanti a cui era stato dato lo stesso farmaco, e lo stesso placebo, avessero cambiato espressioni facciali: da rabbia e disgusto erano più propense verso le espressioni che mostravano felicità.

La nostra ricerca dimostra che l’ossitocina riduce tendenze inconsce dei pazienti di concentrarsi sul cibo, forma del corpo, e le emozioni negative come il disgusto” ha detto l’autore di entrambi gli studi, il Professor Youl -Ri Kim, dalla Inje University di Seoul, in Corea del Sud. “C’è attualmente una mancanza di trattamenti farmacologici efficaci per l’anoressia. La nostra ricerca suggerisce l’avvento di una nuova opzione di trattamento innovativo per i pazienti con anoressia“.

Lo studio non ha dimostrato un legame di causa-effetto tra l’ossitocina e la diminuzione di questi sentimenti ossessivi. “Si tratta di una ricerca in fase iniziale con un piccolo numero di partecipanti, ma è estremamente emozionante vedere il potenziale che questo trattamento potrebbe avere. Abbiamo bisogno di studi molto più numerosi su diverse popolazioni prima di poter iniziare a differenziare nel modo in cui i pazienti sono trattati“, ha concluso Treasure.

L’anoressia nervosa è un disturbo alimentare che colpisce milioni di persone in tutto il mondo e solo in Italia i dati sono allarmanti. Oltre due milioni di ragazze soffrono di un disturbo alimentare grave. La maggior parte soffre di bulimia, circa 1,45 milioni, mentre una percentuale più ridotta soffre di anoressia, circa 750mila donne.

anoressia

Quindi, questi studi pongono le basi per un approccio nuovo e innovativo,che, nel tempo, potrà aiutare molte ragazze a risolvere questo genere di disturbi alimentari molto rischiosi per la salute e la vita di chi ne è colpito.

Cacao e multivitaminici per combattere infarti e cancro

Cioccolato che passione. Una passione che diventerà forse ancora più forte se gli scienziati riusciranno a dimostrare che le sostanze nutritive contenute nel cioccolato fondente sono in grado di prevenire infarti e ictus.

In questo senso si muove lo studio che il Dott. JoAnn Manson, direttore del reparto di medicina preventiva all’Harvard-affiliated Brigham and Women Hospital di Boston, ha deciso di cominciare.

La ricerca si svilupperà su due campi: il primo è quello di verificare che effettivamente, come studi più piccoli hanno provato a fare, i flavonoidi contenuti nel cacao migliorino la pressione sanguigna, il colesterolo, l’uso del corpo di insulina e la salute delle arterie. Questa parte dello studio prevede che i partecipanti abbiano a disposizione un placebo o due capsule al giorno di flavonoidi del cacao, rivestiti e senza gusto, il tutto per una durata di 4 anni.

Il secondo ambito di ricerca metterà alla prova i multivitaminici che aiutano a ridurre il cancro. In questo settore invece i partecipanti dovranno assumere ogni giorno multivitaminici contenenti una vasta gamma di sostanze nutritive per un tempo di circa 3 anni.

I 18.000 partecipanti, sui quali verranno testati questi fattori, verranno reclutati da studi compiuti in precedenza, per consentire di risparmiare denaro e di far procedere più velocemente la ricerca. Lo studio verrà inoltre sponsorizzato dal National Heart, Lung and Blood Institute e dal Mars Inc., una nota azienda di dolciumi. Questo perchè anche nelle caramelle infatti sono contenuti i flavonoidi del cacao e l’azienda è anche riuscita a brevettare un modo per estrarre queste sostanze dal cacao in alta concentrazione e per confezionarle in capsule.

Esse invece, se questo studio avrà buon esito, si riveleranno fondamentali per la salute e la prevenzione di problemi cardiaci che attaccano sempre di più l’uomo.

[Fonte: foxnews.com]

Ricerca sul cancro, la pelle scura ha aiutato a non ammalarsi

Secondo una recente ricerca sul cancro condotta dal biologo britannico Mel Greaves, i primi esseri umani avevano la pelle bianca, tramutata, poi, in nera e ancora in bianca. Perchè questa evoluzione? Ce lo spiega nel suo studio condotto con lo staff dell’Istitute of cancer research di Londra.

Lo scienziato ha analizzato venticinque casi di cancro della pelle negli albini d’Africa e ha scoperto che, a differenza della popolazione caucasica, in questi soggetti il basalioma, conosciuto anche come carcinoma basocellulare e il carcinoma a cellule squamose conducono a una morte rapida e in giovane età.
La prevenzione di questo tipo di tumore è stato, secondo Mel Greaves, alla base dell’evoluzione del colore della pelle negli uomini.
Questa teoria, invece, non è accolta da illustri scienziati come Charles Darwin secondo cui il cancro alla pelle colpisce gli uomini e le donne che hanno superato l’età riproduttiva.

Secondo lo studio londinese, invece, quando i primi uomini hanno abbandonato la pelliccia, la loro pelle nuda è stata, da subito, esposta ai raggi ultra violetti del sole e la selezione naturale ha premiato – non facendoli ammalare – quegli uomini che avevano la pelle più scura e che, quindi, meglio erano riparati.

In seguito, circa 50.000 – 100.000 anni fa, le popolazioni che emigrarono verso Nord non ebbero più bisogno di quella protezione e, quindi, del colore scuro della pelle che meglio li riparava dai cocenti e dannosi raggi solari, e ritornarono ad avere una carnagione più chiara.

Naturalmente è difficile poter comprendere quale delle teorie evoluzionistiche sia più vicina alla realtà del tempo, ci troviamo sempre nel campo della scienza che si perfeziona con il passare degli anni e con l’avvento di nuove scoperte. Si tratta di punti di vista, seppur molto autorevoli e di argomenti per dibattiti scientifici.