lunedì, 25 Novembre 2024

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Più sole per dormire bene

Una ricerca americana pubblicata sulla rivista “Sleep”, spiega come la vitamina D contenuta nel sole aiuti a conciliare il sonno e faccia dormire bene. Ci sono persone che fanno fatica ad addormentarsi la notte, rigirandosi nel letto più volte, nella speranza di trovare il sonno tanto desiderato. Il problema va ricercato alla radice: lo studio, frutto del lavoro congiunto di un gruppo di studiosi, provenienti dall’università di Chicago, di Champaign nell’Illinois e di Taipei (Taiwan), ha pensato bene di osservare le abitudini, l’assunzione del sole e le posizioni assunte da un gruppo di impiegati, abituati a stare ore e ore seduti davanti a una scrivania.

Analizzando il loro sonno per diverse notti, gli impiegati sono stati sottoposti alla rilevazioni della sua quantità, grazie a un actigrafo (uno strumento per misurare il sonno) e all’applicazione di una scala di valutazione nota come il Pittsburg Sleep Quality Index. I lavorati addetti a mansioni d’ufficio, erano in totale 49: 27 di essi, posizionati in scrivania illuminate con luce artificiale, e gli altri 22 invece messi vicino a una finestra, da cui filtravano i raggi del sole e in generale rifletteva la luce naturale del giorno.

I risultati sono stati unanime: la luce del sole è un rimedio naturale per dormire bene.
Infatti, a fine analisi, gli studiosi hanno visto come il gruppo di lavorati alla finestra dormisse bene in media 46 minuti di più a notte, e vantasse una quantità del sonno maggiore rispetto agli impiegati posizionati alla scrivania.
Inoltre, il gruppo esposto alla luce solare si mostrava anche più attivo fisicamente e più propenso allo sport, e si definiva mediamente più felice, grazie alla quantità maggiore di raggi solari ricevuti nel corso delle ore lavorative, rispetto agli altri colleghi. Al contrario, il gruppo di lavoratori che aveva passato le ore alla scrivania, solo illuminata da luce artificiale, rispecchiava una scarsa qualità del sonno e minor vigore fisico durante il giorno.

In definitiva, grazie all’apporto di vitamina D contenuta nel sole, si riesce a dormire bene con più facilità, e si è più attivi durante il giorno.
La stessa ricerca riporta, infine, che la luce solare acquisita durante le prime ore del giorno sia quella più appropriata per ricaricarsi nel corso della giornata, motivo per cui, i ricercatori consigliano di sfruttare le ore libere per godersi “bagni alla luce del sole” e quindi ricaricarsi prima di andare al lavoro.

L’anima gemella? Una questione di DNA

Un nuovo sito d’incontri, SingIdOut.com, ha deciso di abbracciare la scienza esaminando il DNA dei propri utenti al fine di determinarne la compatibilità tramite specifici indicatori genetici. I gestori del sito inviano tramite posta ai propri iscritti dei kit appositi grazie ai quali il DNA può essere rilevato e rispedito al mittente. Le provette vengono poi mandate a un laboratorio dove si procede all’esame di due specifici marker genetici.

I marker genetici in questione sono il regolatore dell’assorbimento della serotonina, responsabile del modo in cui si affrontano le emozioni positive e negative, e un altro più legato al corredo genetico relativo al sistema immunitario. Nel giro di una settimana i risultati del test vengono pubblicati sul profilo dell’utente e possono essere raffrontati a quelli degli altri iscritti al sito. Stando alla ricerca condotta da Instant Chemistry, l’azienda produttrice del kit per rilevare il DNA, esiste un nesso molto forte tra le relazioni a lungo termine e la diversità genetica tra i partner al livello di serotonina e di sistema immunitario.

I test del DNA realizzati tramite il sito comprendono anche un esperimento realizzato in Svizzera, dove fu chiesto ai soggetti di sesso maschile di indossare la stessa maglietta per due notti consecutive. A quelli di sesso femminile, invece, fu chiesto di annusare le magliette senza conoscerne i proprietari e di esprimere un giudizio circa gli odori, dal più al meno piacevole. Ne emerse che le donne trovavano più piacevoli gli odori delle magliette che appartenevano a uomini dotati di sequenze genetiche diametralmente opposte alle proprie.

Tuttavia, il parere degli scienziati è che si tratti di qualcosa di molto parziale: c’è un’ampia serie di fattori ambientali che entrano in gioco nella selezione del partner e i marker analizzati da Instant Chemistry non sono che una minima parte di ciò che provoca attrazione al livello genetico.

Amicizia: un legame caratteriale ma anche genetico

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“Le amicizie non si scelgono per caso, ma secondo le passioni che ci dominano”. Così afferma il famoso scrittore e giornalista Alberto Moravia.

Ed è proprio così: nella vita gli amici non si scelgono, è il destino che decide di farti incontrare quella persona con cui poi si instaurerà un legame affettivo e di fiducia. E nella maggior parte dei casi un legame di amicizia si viene a creare proprio fra soggetti che hanno caratteri affini fra di loro.

Ma la somiglianza caratteriale non è l’unico indicatore che identifica un’amicizia: secondo una ricerca pubblicata su ‘Pnas’ infatti, gli amici non condividono solo passioni e gusti, ma anche alcuni tratti di DNA. Secondo questo studio – condotto dall’Università della California a San Diego e della Yale University – con la persona che reputiamo amica abbiamo molti più segmenti di DNA in comune rispetto invece ad un perfetto sconosciuto.

La ricerca si è basata su 1.932 soggetti: attraverso il confronto fra coppie di amici ed estranei non imparentati gli scienziati hanno scoperto che i primi si somigliano geneticamente molto di più addirittura rispetto a persone che condividono gli stessi antenati.

Gli amici infatti sono collegati fra loro come quarti cugini o persone che hanno in comune i bis-bis-bis-bisnonni: i geni simili in persone legate da rapporti di amicizia corrispondono all’1%. Un numero che per noi potrebbe sembrare relativamente basso o insignificante ma che per i genetisti rappresenta una quantità rilevante.

L’avere dei tratti di DNA in comune con i propri amici è per i ricercatori una scoperta importante: esso infatti crea una sorta di ‘familiarità funzionale’ che potrebbe portare a dei futuri vantaggi evolutivi.

Tanto che gli studiosi hanno anche progettato un ‘punteggio dell’amicizia’, una sorta di calcolatore che è in grado di prevedere con una certa sicurezza chi diventerà un amico e chi invece rimarrà un semplice conoscente.

Bere birra fa bene: ecco perché

L’estate è ormai arrivata e darsi alle bevande fredde è praticamente d’obbligo, ma quella che allevia di più la sensazione di oppressione legata alla calura è proprio la birra, che se non consumata in quantità eccessive può giovare alla salute in maniera significativa: difatti, la birra aiuta a prevenire lo sviluppo di patologie neuro-degenerative quali l’Alzheimer. Trattandosi di una malattia dovuta presumibilmente all’aumento dei livelli di alluminio, la birra, grazie al suo contenuto di silicio, potrebbe causare un abbassamento dei livelli di alluminio presenti nell’organismo e quindi contrastarne l’accumulo nel tessuto cerebrale. Il consumo di birra fa bene, poi, anche perché stimola la flessibilità delle arterie e l’aumento del colesterolo “buono”.

Inoltre, una pinta di birra è davvero piena di vitamine: fosforo, magnesio, iodio, potassio, calcio. Stando a una ricerca del 2009, la birra può proteggere la densità dei minerali nelle ossa; e contiene, quando non è pastorizzata, alte quantità di vitamina B. Ma la birra aiuta anche a stare in forma perché è una bevanda a basso contenuto di zuccheri: essa non provoca un innalzamento di zuccheri nel sangue drastico quanto quello che si registra quando si consumano cocktail, in più è composta per il 93% d’acqua, il che la rende altamente dissetante. Inoltre, proprio in virtù di questa bassa concentrazione di zuccheri, bere due bicchieri di birra al giorno può aiutare a prevenire lo sviluppo del diabete di tipo due.

Ancora, contrariamente a quanto si pensi, un’assunzione non smodata di bionda non implica alcun aumento di peso: consumare birra, anzi, aumenta la secrezione di bile, sostanza che aiuta a digerire i cibi grassi. In più, essa è una fonte di fibre: bastano due bicchieri a fornire il 30% del fabbisogno giornaliero. La birra, poi, contiene un antiossidante naturale che protegge la pelle e i capelli dall’esposizione ai raggi solari: l’acido ferulico. Il luppolo, infatti, dà lucentezza, volume e forza ai capelli, stesso dall’interno. Per procedere a un impacco, occorre innanzitutto bollire la birra per rimuovere l’alcol, onde evitare che esso sottragga loro il naturale rivestimento di grassi. Il luppolo, peraltro, contiene anche fitoestrogeni che aiutano a ridurre effetti della menopausa femminile come le vampate di calore e la diminuzione della libido.