venerdì, 7 Marzo 2025

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L’anima gemella? Una questione di DNA

Un nuovo sito d’incontri, SingIdOut.com, ha deciso di abbracciare la scienza esaminando il DNA dei propri utenti al fine di determinarne la compatibilità tramite specifici indicatori genetici. I gestori del sito inviano tramite posta ai propri iscritti dei kit appositi grazie ai quali il DNA può essere rilevato e rispedito al mittente. Le provette vengono poi mandate a un laboratorio dove si procede all’esame di due specifici marker genetici.

I marker genetici in questione sono il regolatore dell’assorbimento della serotonina, responsabile del modo in cui si affrontano le emozioni positive e negative, e un altro più legato al corredo genetico relativo al sistema immunitario. Nel giro di una settimana i risultati del test vengono pubblicati sul profilo dell’utente e possono essere raffrontati a quelli degli altri iscritti al sito. Stando alla ricerca condotta da Instant Chemistry, l’azienda produttrice del kit per rilevare il DNA, esiste un nesso molto forte tra le relazioni a lungo termine e la diversità genetica tra i partner al livello di serotonina e di sistema immunitario.

I test del DNA realizzati tramite il sito comprendono anche un esperimento realizzato in Svizzera, dove fu chiesto ai soggetti di sesso maschile di indossare la stessa maglietta per due notti consecutive. A quelli di sesso femminile, invece, fu chiesto di annusare le magliette senza conoscerne i proprietari e di esprimere un giudizio circa gli odori, dal più al meno piacevole. Ne emerse che le donne trovavano più piacevoli gli odori delle magliette che appartenevano a uomini dotati di sequenze genetiche diametralmente opposte alle proprie.

Tuttavia, il parere degli scienziati è che si tratti di qualcosa di molto parziale: c’è un’ampia serie di fattori ambientali che entrano in gioco nella selezione del partner e i marker analizzati da Instant Chemistry non sono che una minima parte di ciò che provoca attrazione al livello genetico.

Amicizia: un legame caratteriale ma anche genetico

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“Le amicizie non si scelgono per caso, ma secondo le passioni che ci dominano”. Così afferma il famoso scrittore e giornalista Alberto Moravia.

Ed è proprio così: nella vita gli amici non si scelgono, è il destino che decide di farti incontrare quella persona con cui poi si instaurerà un legame affettivo e di fiducia. E nella maggior parte dei casi un legame di amicizia si viene a creare proprio fra soggetti che hanno caratteri affini fra di loro.

Ma la somiglianza caratteriale non è l’unico indicatore che identifica un’amicizia: secondo una ricerca pubblicata su ‘Pnas’ infatti, gli amici non condividono solo passioni e gusti, ma anche alcuni tratti di DNA. Secondo questo studio – condotto dall’Università della California a San Diego e della Yale University – con la persona che reputiamo amica abbiamo molti più segmenti di DNA in comune rispetto invece ad un perfetto sconosciuto.

La ricerca si è basata su 1.932 soggetti: attraverso il confronto fra coppie di amici ed estranei non imparentati gli scienziati hanno scoperto che i primi si somigliano geneticamente molto di più addirittura rispetto a persone che condividono gli stessi antenati.

Gli amici infatti sono collegati fra loro come quarti cugini o persone che hanno in comune i bis-bis-bis-bisnonni: i geni simili in persone legate da rapporti di amicizia corrispondono all’1%. Un numero che per noi potrebbe sembrare relativamente basso o insignificante ma che per i genetisti rappresenta una quantità rilevante.

L’avere dei tratti di DNA in comune con i propri amici è per i ricercatori una scoperta importante: esso infatti crea una sorta di ‘familiarità funzionale’ che potrebbe portare a dei futuri vantaggi evolutivi.

Tanto che gli studiosi hanno anche progettato un ‘punteggio dell’amicizia’, una sorta di calcolatore che è in grado di prevedere con una certa sicurezza chi diventerà un amico e chi invece rimarrà un semplice conoscente.

Bere birra fa bene: ecco perché

L’estate è ormai arrivata e darsi alle bevande fredde è praticamente d’obbligo, ma quella che allevia di più la sensazione di oppressione legata alla calura è proprio la birra, che se non consumata in quantità eccessive può giovare alla salute in maniera significativa: difatti, la birra aiuta a prevenire lo sviluppo di patologie neuro-degenerative quali l’Alzheimer. Trattandosi di una malattia dovuta presumibilmente all’aumento dei livelli di alluminio, la birra, grazie al suo contenuto di silicio, potrebbe causare un abbassamento dei livelli di alluminio presenti nell’organismo e quindi contrastarne l’accumulo nel tessuto cerebrale. Il consumo di birra fa bene, poi, anche perché stimola la flessibilità delle arterie e l’aumento del colesterolo “buono”.

Inoltre, una pinta di birra è davvero piena di vitamine: fosforo, magnesio, iodio, potassio, calcio. Stando a una ricerca del 2009, la birra può proteggere la densità dei minerali nelle ossa; e contiene, quando non è pastorizzata, alte quantità di vitamina B. Ma la birra aiuta anche a stare in forma perché è una bevanda a basso contenuto di zuccheri: essa non provoca un innalzamento di zuccheri nel sangue drastico quanto quello che si registra quando si consumano cocktail, in più è composta per il 93% d’acqua, il che la rende altamente dissetante. Inoltre, proprio in virtù di questa bassa concentrazione di zuccheri, bere due bicchieri di birra al giorno può aiutare a prevenire lo sviluppo del diabete di tipo due.

Ancora, contrariamente a quanto si pensi, un’assunzione non smodata di bionda non implica alcun aumento di peso: consumare birra, anzi, aumenta la secrezione di bile, sostanza che aiuta a digerire i cibi grassi. In più, essa è una fonte di fibre: bastano due bicchieri a fornire il 30% del fabbisogno giornaliero. La birra, poi, contiene un antiossidante naturale che protegge la pelle e i capelli dall’esposizione ai raggi solari: l’acido ferulico. Il luppolo, infatti, dà lucentezza, volume e forza ai capelli, stesso dall’interno. Per procedere a un impacco, occorre innanzitutto bollire la birra per rimuovere l’alcol, onde evitare che esso sottragga loro il naturale rivestimento di grassi. Il luppolo, peraltro, contiene anche fitoestrogeni che aiutano a ridurre effetti della menopausa femminile come le vampate di calore e la diminuzione della libido.

Memoria: ecco le tecniche per allenarla e migliorarla

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Spesso la memoria “fa cilecca”. E quale modo migliore per aiutarla a memorizzare e ricordare il maggior numero di informazioni possibili se non la ripetizione? Quella della ripetizione è una tecnica che arriva da lontano: già gli antichi cantori analfabeti della Grecia utilizzavano questo metodo per ricordare a memoria i propri canti e per imprimerli nella mente dei propri ascoltatori.

In realtà non esiste nulla di più sbagliato della ripetizione per migliorare la propria memoria. Lo rivela un recente studio condotto da un gruppo di scienziati che hanno sottolineato come il ripetere continuamente e senza pause una nozione non solo non porti all’apprendimento di un fatto ma possa addirittura interferire con la capacità di ricordare una versione più sfumata dello stesso argomento.

Introducendo delle lievi variazioni o dei richiami impliciti all’interno della conoscenza che si vuole memorizzare, l’individuo che utilizza la ripetizione avrà più difficoltà a far venire alla mente la nozione che credeva di aver perfettamente appreso.

Questo perchè la ripetizione può essere una falsa tentatrice, dandoci l’illusione di aver imparato qualcosa che in realtà ancora non sappiamo con esattezza. Le tecniche per migliorare la memoria sono ben altre. Eccole.

Ripetizione a intervalli

La ripetizione non è un metodo sbagliato in assoluto, ma bisogna sapere come usarla. L’esperto di apprendimento Paul Pimsleur consiglia di seguire il seguente ritmo quando si desidera imparare a memoria un argomento: ripetizione dopo cinque secondi, 25 secondi, due minuti, 10 minuti, un’ora, cinque ore, un giorno, cinque giorni, 25 giorni, quattro mesi e due anni. Dopo tale periodo si può dire che il fatto da ricordare sia stato sostanzialmente appreso. Ma in generale il ritmo di ripetizione varia a seconda della conoscenza che si vuole ricordare.

Utilizzo di loci

Il metodo dei loci consiste nella disposizione degli oggetti che compongono un argomento in ordine sequenziale in un immaginario mondo mentalmente costruito. Il “trucco” si nasconde nel fatto che una nozione verrà più facilmente ricordata se collegata ad un luogo o ad un oggetto con cui si ha una certa familiarità. Così ad esempio per memorizzare le parole “anatra”, “barca” e “auto” le si potrebbe collocare ciascuna delle tre in uno spazio della propria abitazione, luogo ben conosciuto e familiare.

Avere un’informazione ampia sull’argomento

Più si è informati riguardo alla nozione che si vuole imparare, più essa sarà facile da memorizzare. A dimostrarlo è uno studio pubblicato Journal of Cognitive Neuroscience: i ricercatori hanno scoperto come un gruppo di studenti al secondo anno di biologia sono riusciti a ricordare meglio delle nuove informazioni se esse erano collegate a nozioni già precedentemente apprese dai ragazzi. Quindi leggere, informarsi e documentarsi precedentemente su un argomento non può far altro che bene per migliorarne la sua memorizzazione e comprensione.