sabato, 4 Maggio 2024

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Daniela Farnese, “La cosa più bella da fare con i libri è leggerli” (INTERVISTA)

Credit: dottoressadania.it

Scrittrice e blogger italiana, Daniela Farnese ha appena pubblicato il suo quarto libro, che è già negli scaffali più in vista di tutte le librerie. La sua prima opera è stata una saggio: “101 Modi per far soffrire gli uomini (siate stronze, siate cattive, siate spietate)”, pubblicato nel 2011, e subito, l’anno successivo è uscito il suo primo libro dal successo internazionale: “Via Chanel N° 5”.

Simpatica, gentilissima e stra divertente, Blog di Lifestyle ha avuto l’occasione di intervistare Daniela Farnese. Ecco cos’abbiamo scoperto di lei.

Ciao Daniela, come sei approdata al mondo della scrittura?

Che bella domanda. In realtà ho sempre scribacchiato ma non ho mai avuto un libro nel cassetto. La parte più impegnativa della scrittura per me è stato il momento in cui ho deciso di aprire un blog ormai 11 anni fa; era un gioco visto che erano ancora sconosciuti e non ce n’erano molti. E niente, poi è diventata un’abitudine quotidiana, chiacchieravo, postavo. Era diventato uno strumento conversazionale, e quella era diventata la mia pratica abituale con la scrittura. I libri poi sono arrivati abbastanza dopo, ho collaborato con qualche rivista, scrivevo dei pezzi, qualche racconto, e poi appunto non ho mai avuto un libro nel cassetto; finché l’editore non mi ha scovata sul blog e mi ha chiesto se avevo voglia di scrivere un libro dal titolo divertente. E da li è nato il primo libro, ma se non fosse stato per lui che me lo veniva a chiedere, conoscendomi e conoscendo la mia pigrizia non l’avrei mai fatto. Anzi è stato anche molto fondamentale avere una data di scadenza, di consegna che mi stimolava a finire il lavoro.

C’è un rito particolare che fai quando devi scrivere? Scrivi in un preciso momento della giornata o non hai regole a riguardo?

Io scrivo soprattutto nel pomeriggio tardo, perché la mattina sono KO, assomiglio a una specie di manichino appoggiato sulla sedia. Il mio momento d’oro di solito è dalle 3 alle 4 in poi: mi preparo il mio caffè, nella mia tazza, che è sempre quella, e comincio a scrivere. Poi diciamo che sono abbastanza poco bukowskiana, perché per scrivere non devo bere, non ci deve essere musica, né silenzio assoluto. Salvo con l’ultimo romanzo che ho un po’ cambiato abitudini per cambiare prospettiva, e sono andata a scriverlo in una libreria-caffè di Milano molto carina. E quindi qualche giorno l’ho passato lì, nella confusione, con un brusio di sottofondo che era molto stimolante. Sempre con il caffè a portata di mano.

Si parla spesso di “blocco dello scrittore”. Ti è mai capitato di aver ostacoli nella stesura dei tuoi libri?

Non mi è mai capitato di non averli, diciamo così. L’ultimo anno ad esempio è stato tutto un blocco. Ho avuto in mente un sacco di idee, e fin da subito non ho voluto fare il terzo libro dei romanzi Chanel perché mi piaceva l’idea che fosse finito con quel lieto fine totale. Quindi ho deciso di fare una storia diversa, e lì c’è stato un attimo di grande blocco, a livello d’ispirazione: avevo tantissime storie ma non me ne convinceva neanche una, quindi ogni settimana cambiavo idea.

C’è un momento preciso in cui è nata l’idea di “A noi donne piace il rosso”?

L’idea mi è venuta al Vinitaly con delle amiche. Erano un paio d’anni che non ci andavo e incontrare vecchi conoscenti e produttori è stato un momento molto carino perché ci dicevamo “altro che settimana della moda, questo è il vero cuore italiano”, “che bello sarebbe vivere di vino”. E allora io mi sono detta, “perché non scrivere qualcosa che parli di vino?” poi è stato bello perché dopo che mi è venuta questa idea avevo l’impalcatura della storia, ma poi dovevo assolutamente studiare, perché raccontare la terra, le vigne, il lavoro era una cosa di cui dovevo documentarmi. Ho ripreso in mano tutti i contatti che avevo di qualche anno fa nell’ambiente del vino e ho chiesto di farmi vedere, ospitarmi. Mi sono fatta due mesi meravigliosi in giro per le cantine e le vigne d’Italia, ed è stata un’esperienza bellissima, nonostante io sia ingrassata di quattro chili. Ma la verità è che se non assaggi non puoi scrivere.

Amore, moda e vino sono parole chiavi dei tuoi libri, è così anche per la tua vita reale?

Non dimentichiamoci il caffè. Comunque si, sono cose che mi piacciono abbastanza. Della moda sopratutto le scarpe, perché soffro molto il problema del rimanere in linea, visto che sono una buona forchetta. Per questo amo le scarpe: non ti fanno mai sentire grassa, hai sempre la stessa taglia, ti stanno sempre bene; e quindi compro una marea di scarpe. Poi a differenza degli altri romanzi e del manuale, questo libro l’ho scritto in un momento particolarmente felice, perché sono innamorata. L’unico grande problema a riguardo è che il mio ragazzo è astemio.

Ci elenchi tre motivi fondamentali per cui la popolazione femminile dovrebbe assolutamente leggere il tuo libro?

Sicuramente perché è una bella storia, perché insegna a non avere paura del tempo, ed è una cosa che spaventa tutte le donne, non solo quelle giovani ma anche quelle che sono un po’ più agée, e poi perché non fa ingrassare.

Quanto c’è di tuo nei personaggi di Rebecca e Ambra?

In realtà molto poco in entrambe. La cosa che abbiamo in comune io e Rebecca è il fatto che lei aveva bisogno di ritrovare se stessa, e in questo, in quel determinato periodo della mia vita, era molto simile a me. E poi c’è ovviamente la fissa per le scarpe. Ambra invece vive sempre connessa, ha questa sindrome perenne di femme prodige e le sembra di perder tempo continuamente, deve fare tutto in fretta. Questa credo che sia l’unica cosa che io a Ambra abbiamo in comune.
Non sono personaggi autobiografici, ma nella storia c’è molto di mio, più nei personaggi minori come le amiche di Ambra che sono molto sarcastiche, in loro mi ci rivedo molto. Ecco, io sono sempre l’amica delle mie protagoniste.

Quando hai pubblicato il tuo primo libro, ti aspettavi tutto questo successo?

No. Anche perchè non pensavo di essere portata per scrivere libri rosa. Essendo stata sempre molto cinica pensavo di non poter proprio scrivere d’amore. Invece mi sono resa conto, soprattutto con il blog, che quando ti capita la classica batosta d’amore, la prima cosa che fai è quella di lanciare messaggi e parlare di questa situazione. E la cosa pazzesca è che non solo moltissime ragazze si sono riviste nelle mie parole e nel mio percorso doloroso, ma che tutte avevano una storia da raccontare.

Come vivi il rapporto social con i tuoi lettori?

Benissimo, mi diverto molto. Poi tra l’altro è bello perché io avevo dei lettori, prima che uscissero libri, che mi seguivano sul blog, molto più satirico, ed è stato strano per loro vedermi pubblicare questi libri.

Hai mai pensato di creare una pagina Facebook per dividere la tua vita privata dalla tua vita da scrittrice?

In realtà no. Ci ho pensato e ne ho anche discusso con l’ufficio stampa, però in effetti da quando ho aperto un blog la mia vita privata e quella online si sono fuse. Con il blog mi ero già costruita un nickname e un entità parallela, che mi hanno permesso di essere me stessa in tutti i momenti. Quindi io non soffro assolutamente la mancanza di privacy, perché molta parte della mia vita l’ho vissuta mettendo tutto in rete. È ovvio che sono però diventata molto brava a filtrare le informazioni che voglio dare.

Lettura e scrittura sono pane quotidiano per chi fa, o aspira a fare, un lavoro come il tuo. Ma contano in egual modo? Cosa serve maggiormente per arrivare al successo?

Bisogna leggere molto di più di quanto si scrive. L’ho scritto anche in un tweet una volta “Non capisco perché tutti vogliono scrivere, quando la cosa più bella da fare con i libri è leggerli”. Secondo me per riempire il tuo immaginario, per dar vita alla tua fantasia, per essere bravo, bisogna leggere moltissimo. Il grande limite oggi è che tutti hanno nel cassetto un libro autobiografico, perchè tutti ovviamente trovano estremamente interessante la propria vita. In generale, più che pensare alla propria vita e mettersi giù a scrivere, bisogna leggere tanto delle vite degli alti, inventate o meno.
Prima di provare a scrivere bisogna leggere tanto, e poi leggere ancora.

Progetti per il futuro? Qualche nuova storia d’amore che ci lascerà senza fiato?

Spero di si. In quest’anno sabbatico ho raccolto fin troppe idee, e sto cercando di scaglionarle per poterle portare a analizzare bene. Ma almeno un paio le porterò a termine sicuramente. E poi chissà, non ho ancora pensato se fare un seguito di “A noi donne piace il rosse”. Vediamo.

Saluti i nostri lettori suggerendo loro 3 libri che devono assolutamente leggere?

Allora, sicuramente “Cent’anni di solitudine” di Gabriel García Márquez, è un buon libro con una storia che mi piace molto. Un altro libro che consiglio sempre a tutti è “Trilogia della città di kappa”, di Kristof Agota. E poi uno dei miei libri preferiti dall’epoca adolescenziale è “Una solitudine troppo rumorosa” di Bohumil Hrabal: la sua scrittura è molto onirica, ma sembra quasi la scrittura di un pazzo alcolizzato, però i suoi libri sono veramente molti belli e hanno un immaginario molto forte. Poi soli 3 libri sono pochi, leggete qualsiasi cosa: se è scritta bene vale la pena di leggerla.
Grazie e buon lavoro.

Grazie a te

Twittami Beautiful: un laboratorio virtuale che commenta la soap (INTERVISTA)

Twittami Beautiful è un hashtag entrato da un paio d’anni nei Top Trend italiani su Twitter, diventando in breve tempo un fenomeno che riunisce un gruppo di ragazzi con la passione per la soap americana Beautiful. All’ora di pranzo, ore 13:40 circa, entrando su Twitter è possibile scorrere tra l’hashtag #twittamibeautiful e leggere gli irriverenti commenti degli utenti di mezza Italia alla soap più seguita al mondo.

Gli amministratori di Twittami Beautiful hanno raccontato a Blog di Lifestyle l’origine dell’idea dell’hashtag, la passione per la soap, e i loro progetti futuri.

Ciao ragazzi, vi presentate ai lettori di Blog di Lifestyle?

#twittamibeautiful è il nuovo modo di guardare Beautiful; una sorta di divano che corre lungo l’Italia, pronto a commentare e criticare le assurde situazioni che vivono i protagonisti della soap. Ogni giorno ci scateniamo su Twitter a partire dalle 13.40 (minuto più, minuto meno). #twittamibeautiful è anche un laboratorio creativo virtuale, in cui ognuno mette le proprie abilità: c’è chi crea fumetti, chi riedita le scene in chiave comica con i meme, chi scrive sui personaggi e gli eventi. Tutto sempre in maniera ironica, per offrire agli utenti contenuti che consentano loro di alleggerire la realtà.

Da fan della soap opera americana “Beautiful”, come è nata l’idea di lanciare l’hashtag #twittamiBeautiful?

All’inizio eravamo un piccolo gruppo e commentavamo Beautiful attraverso il semplice hashtag #beautiful ma in breve ci siamo resi conto che si perdeva nel flusso e si rischiava di confondersi con altre 1000 cose fuori contesto. A quel punto ne abbiamo creato uno nostro: #twittamibeautiful. Abbiamo creato l’account @twbeautiful, la pagina facebook, il blog e adesso interagiamo con gli attori ed i doppiatori.

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Siete seguitissimi sui social network. Più di 2 mila followers su twitter e più di 3 mila su facebook. Avreste mai immaginato tali numeri?

No. Sono numeri che non avremmo mai creduto potessero associarsi ad un fenomeno come il nostro. Sapevamo che Beautiful era seguito, ma non pensavamo che il nostro hashtag avrebbe portato nuovi spettatori alla soap.

Quanto conta per voi interagire con i fan che vi seguono?

È fondamentale. Siamo una community e #twittamibeautiful è di tutti. Ognuno può portare del suo.

#twittamiBeautiful a parte, voi quanto utilizzare i social network?

Troppo vale come risposta? Scherzi a parte, alcuni di noi con i social media ci lavorano quindi è una cosa che fa parte della nostra vita di tutti i giorni. Ormai il web e i Social Network hanno invaso e digitalizzato le nostre vite. Che sia per svago o per lavoro, siamo sempre super connessi. E non ci limitiamo al web genericamente inteso: siamo anche presenti su una web radio, una volta la settimana: ci ospitano gli amici di radiostonata.com per parlare della nostra community e commentare i tweet dei nostri followers. Anche la conduttrice, Alessandra M. Segneri, è una nostra grande fan!

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Cos’è cambiato dai telespettatori degli anni ’90 rispetto a quelli degli ultimi anni? Ritrovate le stesse persone che seguivano Beautiful anche vent’anni fa?

Alcuni “anziani” ci sono. Ci accorgiamo della trama che non torna e rimpiangiamo “i personaggi sperduti” chissà dove. Molti, invece, sono giovani che hanno iniziato a seguirlo da poco tempo e si sono appassionati. Riteniamo che le trame “young” introdotte dagli autori di B&B abbiano coinvolto moltissimi giovani – tra i nostri followers, infatti, ci sono studenti delle scuole superiori ed universitari. Negli ultimi tempi, però, i telespettatori di Beautiful sono poco contenti di assistere spesso a un cattivo trattamento del prodotto, continuamente soggetto a tagli e ridimensionamenti delle puntate e ci aiutano a portare avanti la nostra battaglia contro questo atteggiamento della rete.

Avete progetti per il futuro?

Progetti per il futuro? Vogliamo andare a Los Angeles, ovvio!

Ci lasciate un messaggio per i lettori di “Blog di Lifestyle”?

Un saluto ai lettori di Blog di Lifestyle. Continuate (o iniziate!) a seguirci su Twitter e Facebook e passate a leggere i post su www.twittamibeautiful.it per rimanere sempre aggiornati sulla nostra soap preferita.

Giuseppe Ammendola e Patrizia Re: cucina vegana al Sana (INTERVISTE E FOTO)

In diretta dal Sana (Salone Internazionale del Biologico) che, nella giornata di chiusura, ieri 15 settembre 2015, ha premiato 3 tra i 300 in gara per l’innovazione nel packaging e nel concept, Blog di Lifestyle ha intervistato due delle personalità dello show di cucina vegana, che hanno partecipato alla manifestazione il 12 settembre. Scopriamo chi sono e le loro ricette per adulti e bambini.

Giuseppe Ammendola, scrittore e membro del Comitato Scientifico Associazione Vegani, vive da diversi anni in Francia, dove mantiene il suo stile di vita vegano e presto potrebbe partecipare ad un programma televisivo dedicato alla cucina, non solo vegana. Lo abbiamo incontrato al VeganFest dopo la presentazione della ricetta della sarasiccia. Ecco cosa ci ha raccontato.

Faccio parte del Blog di Lifestyle e la ringrazio per la disponibilità per questa intervista, come prima domanda vorrei chiederle di presentarsi, dirci cosa fa, perché ha scelto la cucina vegana e da dove è partito

Mi chiamo Giuseppe e ho scelto la cucina vegana perché rispecchia la mia sensibilità, nel senso che da diversi anni la amo e cucino diversi piatti per me perché sono vegano. Mi alimento in questo modo per la protezione degli animali e perché è salutare, però il primo motivo che mi ha spinto a cucinare vegano è il fatto che non potevo sopportare di cibarmi di altri esseri viventi.

Ci dica qualcosa in più del suo lavoro nelle cucine professionali

è un anno e mezzo che faccio la nutrizione professionale in Francia, prima facevo tutt’altro. Ero commerciante d’azienda
poi ho seguito vari corsi di cucina vegana. Mi piace mettere della creatività in quello che faccio, ho scritto dei romanzi, ora sono al secondo e ho pensato che cucinare potesse essere qualcosa che poteva riflettere il mio modo di fare e quindi ho scelto la cucina che è vegana perché io mangio in questo modo.

Ci parli un po’ dei suoi romanzi

Ho scritto 5 anni fa un romanzo dal titolo un po’ bizzarro “Rivoglio il mio bidet”, poi ne ho scritto un altro che si intitola “Il cuore e la luna” e preferisco parlare del secondo con il quale sono riuscito a fare più presentazioni. Il primo è stato davvero un lancio, poiché fino a che non sai che effetto può avere sui lettori non credi neppure in te stesso. Il primo romanzo è stato una sfida con me stesso, nel secondo mi sono sentito più a mio agio, ho visto anche delle aspettattive degli amici che mi avevano letto e in effetti è stato un romanzo piacevole, nel senso che ho avuto diversi complimenti. Ho continuato a scrivere e questo romanzo che sto ultimando è un po’ il senso dei messaggi che mi piace far trapelare da ciò che scrivo però è diverso. Ritengo che sia anche molto più leggero, anche se gli altri lo erano ugualmente. Un libro che ha come titolo “Rivoglio il mio bidet” non può essere che un libro leggero. Ho scelto di utilizzare dei simboli e delle metafore per far parlare i miei protagonisti, che esprimono comunque le loro sfide umane attraverso quello che succede, esprimono sentimenti con un linguaggio leggero. Con “Il cuore della Luna”, invece, avevo l’idea di scrivere un romanzo che è una favola. Si intitola “Anche i leoni mangiano la soia” e contiene delle vignette realizzate da una bambina di 12 anni. Queste vignette poi sono state pubblicate anche separatamente. In questo romanzo c’è una protagonista vegetariana però non è un decalogo sul vegetarianesimo, attraverso il percorso dei protagonisti c’è un arrichirsi che avviene proprio tramite il racconto.

Il vostro pubblico target comprende anche i bambini?

Per la favola si, mentre il romanzo li annoierebbe. I bambini sono sicuramente un pubblico importante, il pubblico del futuro, occorre partire da loro per influenzare le scelte di quelli che poi saranno la generazione del futuro. Speriamo che si comporti in modo diverso perché siamo noi che abbiamo la responsabilità dei danni che oggi vediamo nel nostro amato pianeta.

Ha delle ricette da consigliare ai nostri lettori?

Dare delle ricette.. non saprei. Non voglio peccare di presunzione. Ho qualcosa come la ricetta che ho creato stamattina, si chiama sarasiccia, in cui l’ingridiente base è il grano saraceno, però non ne ho tantissime. Mi piace cucinare per cui speso uso ricette già esistenti e magari utilizzo i miei gusti per modificarle e accontentare i miei gusti.

Una rapida guida per creare la sarasiccia?

La base è il grano saraceno, senza glutine, ricco di minerali quindi davvero un toccasana per il corpo. Penso che la sarasiccia sia un alimento buono e che fa bene.
I suoi componenti sono olio di oliva, confettura di pomodoro, brodo vegetale o dado, acqua, scalogno, sale e grano saraceno. Si porta ad ebolizione il grano saraceno facendo molta attenzione che non si rompa e poi si aggiunge a questa pasta ciò che si vuole. Questa mattina ho utilizzato formaggio vegetale, peperoncino che viene utilizzato per la prima tipologia oppure si possono usare pepe nero e semi di finocchio nella seconda tipologia. Ho fatto queste due paste, le ho fatte un po’ raffreddare, le ho messe in un forno adatto a microonde e ho arrotolato delle salsiccie: con spago alimentare si parte dalla testa, si compongono una ad una queste salsiccie e quello che viene fuori è la sarasiccia. Si tiene fuori per 24 ore e il giorno successivo si può mangiare. Se si vuole conservare per ancora 24 ore, vi assicuro che la pasta è ancora più buona.

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La ringrazio per questa gustosa ricetta. Quali sono i suoi progetti futuri?

La scorsa settimana ho partecipato ad un casting televisivo per una trasmissione che si tiene sulla M6, una rete francese. Durante la trasmissione ci saranno cinque cuochi che faranno da mangiare per gli altri quattro commensali e a seconda della bontà delle pietanze cucinate dal candidato di turno, i quattro daranno un voto. Mi è stato chiesto di cucinare e io ho avvisato che l’avrei fatto a mio modo secondo la cucina vegana, quindi sarà una bella sfida. La prima selezione è andata bene, la seconda mi hanno detto bene quindi dovrò aspettare giovedi prossimo per vedere se sono tra i 5 candidati, speriamo.

Il nome della sua pagina

La pagina è su Facebook ed è Vegissimo by Giuseppe Ammendola.

Le facciamo un in bocca al lupo. La ringrazio

Patrizia Re invece è rappresentante Peta in Italia e membro del Comitato Etico di Associazione Vegani Onlus Italia, nel corso dello show cooking ha preparato una base di quinoa con verdure per bambini, incluso il suo che ha assistito allo show insieme a suo padre. Ma lasciamo le parole alla creatrice della quinoa double face.

Ha appena presentato una ricetta per bambini, prima di parlare di questo, vorrei chiederle un commento sul Salone internazionale del Biologico.

Sono arrivata da 5 minuti, farò un giro oggi e domani però vengo da alcuni anni e devo dire che a primo impatto è molto più grande e più ricco. Sicuramente ci sono anche più stand. La parte che mi ha colpito molto è questa dedicata al Vegan Fest perché credo che ci siano sicuramente più aziende e quindi questo significa che c’è più interesse.

Com’è nato il suo interesse verso il mondo vegano?

Non l’ho detto prima però sono una vegana per etica. Sono nata come vegetariana, dal 91. Allora ero molto piccola, completamente da sola anche perché non c’erano le stesse tecnologie. Poi pian piano scoprendo più cose, essendo anch’io più informata sui prodotti e sulle scelte che si potevano fare, pian piano il mio percorso da vegetariano è passato al vegano, quando me la sono sentita. Quello che dico sempre è che certe volte ci sono aspettative, c’è chi si sente già arrivato e ci sono dei pregiudizi verso chi mangia ancora latticini, mentre in realtà ognuno ha i tempi propri anche di maturazione per le scelte che va a fare.

Quali sono i consigli per chi decide di diventare vegano?

Sicuramente provare, non avere paura di provare cose nuove, di essere curiosi. Tante volte ci si sente dire “ma allora se non mangi ne carne, ne pesce, ne latticini non mangi niente”. Questo non è vero, si mangiano molte più cose, perché si scopre quello che poi c’è qua attorno, un sottofondo di prodotti e alimenti diversi. La quinoa che ho presentato, non la conoscevo prima. Il mio consiglio è quello di non avere pregiudizi, buttarsi e provare.

A proposito della quinoa, può presentare nel dettaglio la ricetta che ha appena elaborato?

Se vuoi poi posso mandare nel dettaglio il piatto anche con le quantità, però, visto che adesso la mia sfida è di cucinare anche per più persone avendo un bambino piccolo che devo comunque accontentare e che è sempre più interessato a quello che c’è sulla nostra tavola piuttosto che dai cibi del periodo di svezzamento, ho pensato di utilizzare la quinoa, che ho chiamato quinoa double face, un po’ come una giacchetta che fuori è blu e possiamo girare e utilizzare perché non ha l’etichetta. Questa quinoa è composta da verdure di stagione, zucchine e carote, e partendo da questa parte e aggiungendo pochi altri ingredienti la quinoa si può trasformare in polpette vegetali o burger per accontentare un po’ di più il palato dei piccoli poiché la quinoa può non essere apprezzata dai più piccoli essendo in grani e quindi non facile da ingerire.

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Che cosa si sente di consigliare alle mamme che scelgono l’alimentazione vegana per i propri figli?

Io mi sento di parlare solo per mia esperienza personale perché sono scelte molto importanti. Quando poi vanno ad influire sulla vita di un’altra persona, al di la di noi stessi, è molto importante che la mamma nello specifico si informi, che sia pronta, che non si senta spinta a farlo e che non si senta nemmeno spinta a fare il contrario, spesso e volentieri spinta da quello che le persone le dicono. Bisogna provare e leggere molto. A me sono serviti tantissimo i libri sullo svezzamento naturale, sullo svezzamento vegano piuttosto che sull’alimentazione naturale, vegana e vegetariana. C’è veramente tanto. Consiglierei la letteratura italiana ma anche internazionale. Questo serve non solo a dare delle idee ma anche a farci sentire più tranquilli. Significa anche che non siamo gli unici a questo mondo ad intraprendere questo percorso. Non solo è possibile ma viene fatto da molte persone con risultati ottimi.

Che alimenti utilizza per suo figlio?

Sono proprio agli arbori, ma a lui piace molto quello che è dolce, quindi cerco di assecondarlo, dandogli ovviamente anche altre cose. Adora la frutta, quindi preparo tantissime pappe a base di frutta e altri ingredienti, come la crema di mandorle piuttosto che olio di lino o altre cose molto sostanziose e importanti per la sua crescita e delle specie di porridge ma a base biologica. E poi sto provando ad introdurre altre cose come le polpettine che ho fatto oggi. In realtà non volevo fargliele provare, perché non penso a mio figlio come la cavia dei miei piccoli esperimenti culinari, però era talmente interessato a quello che stavo facendo che gliel’ho fatto assaggiare e l’ha mangiato con gusto. Quella è stata una prova, però anche pasta di riso con zucchine o con pomodoro e via dicendo.

Ha avuto un mentore nell’avvicinarsi alla cucina vegana?

Nessun mentore, ad un certo punto nel mio cammino mi sono accorta che avevo abbandonato tutti gli alimenti di origine animale, quindi le uova, i formaggi, proprio non li compravo più. All’epoca mi capitava di non fare attenzione agli ingredienti della briosche che mangiavo al bar quindi li mangiavo in questi casi. Per il resto in casa mia non entrava più niente. Poi ci tengo a precisare che l’essere vegano comporta che si stia attenti a tutto quello che si fa, a tutti gli acquisti, anche nei prodotti per la casa, tutti quelli testati sugli animali, così come il dentifricio con cui ci laviamo i denti, il collutorio. Ho cominciato poi ad affinare questa consapevolezza e a fare scelte occulate, così come nell’abbigliamento e nei sottoprodotti alimentari.

Un messaggio per i nostri lettori di Blogdilifestyle?

Siate positivi, curiosi di provare, nuove cose, leggete tanto, informatevi, sia per la parte che per la controparte, cercate di tenere la torta a tutto tondo. Provate anche di partecipare per esempio alla settimanna vegana, provate a fare una giornata in cui mangiate solo vegetali. Vedrete che la salute ne beneficerà.

Dove potrebbero contattarla?

Il mio sito arriverà a breve, e nel frattempo c’è la pagina facebook che si chiama vegupyourlife, che è un’incitazione a provare un lifestyle un pochino più green.

La ringrazio

Emergenza Sorrisi: ‘Aiutare i bambini a restituire il sorriso’ (INTERVISTA)

Credits: emergenzasorrisi.it / Teresa Emanuele

A volte basta poco per aiutare un bambino a restituirgli il sorriso. Un piccolo gesto, una carezza, le cure necessarie, che per lui possono significare tanto. In alcuni casi, può cambiargli la vita. Emergenza Sorrisi è una associazione onlus che nasce con l’intento è quello di restituire il sorriso e la speranza di una vita migliore a bambini affetti da malformazioni del volto, ustioni, traumi di guerra, neoplasie, patologie ortopediche e oculistiche.

Abbiamo intervistato il presidente dell’associazione, Fabio Massimo Abenavoli, che è anche chirurgo plastico volontario, per raccontarci tutto su Emergenza Sorrisi, sulla missione dei medici, gli aiuti ai bambini e i progetti futuri.

Grazie per aver accettato la nostra intervista. Ci può raccontare qualcosa di Lei, e di come è nata l’organizzazione ‘Emergenza Sorrisi’?

Era il 2007 quando, fondai l’associazione di medici e infermieri con il nome di Smile Train Italia Onlus, con l’obiettivo iniziale di operare bambini affetti da labiopalatoschisi nei paesi più disagiati del mondo, offrendo loro la possibilità di sorridere e avere una vita normale. Nel 2013 Smile Train ottenne dal Ministero degli Esteri il riconoscimento di ONG per il lavoro svolto negli anni in paesi come Iraq, Afghanistan, Kurdistan e così il nostro nome è cambiato in Emergenza Sorrisi, includendo nel nostro intervento non solo la labio – palatoschisi, ma anche le ustioni, i traumi di guerra, patologie oculistiche e pediatriche in genere. In molti mi hanno chiesto perché essendo un chirurgo plastico, ho voluto dare precedenza al volontariato;la risposta di trova in una sola parola: solidarietà. Quando sono nel Sud del mondo, quello che ricevo è nettamente di più di quello che do. La mia scelta non è una rinuncia, anzi, è vivere due volte: c’è una grande differenza tra il vedere il viso di un bambino prima dell’operazione e dopo! Rinasco insieme a loro, ogni volta. Questo mi spinge come medico ma soprattutto come uomo, a offrire la mia abilità, la mia professione a servizio di chi soffre e non avrebbe alcuna possibilità di poter guarire senza un aiuto da parte di chi lo sa fare, come noi medici specialisti di Emergenza Sorrisi. La labio-palatoschisi è una patologia complessa, una malformazione che può essere risolta solo con l’intervento chirurgico. Noi insegniamo ai medici locali ad operare per renderli autonomi nel trattamento delle malformazioni del volto, in modo che possano dare risposte immediate ai loro pazienti senza dover attendere un aiuto esterno.

Credits: emergenzasorrisi.it
Credits: emergenzasorrisi.it

Come vi organizzate per le vostre missioni e quanti volontari riuscite a reclutare?

Le missioni si svolgono nei Paesi che presentano la maggiore incidenza di patologie malformative del volto; il Ministero della Sanità locale ci contatta e invita proprio per l’elevato numero di casi presenti nel paese, così noi iniziamo la parte logistica – organizzativa in collaborazione con l’Ospedale locale e i nostri cooperanti. Il reclutamento dei medici volontari italiani è la parte più facile, tantissimi sono i professionisti disponibili a partire con noi e ad impegnarsi per aiutare questi bambini. I nostri volontari sono numerosi, oltre 260, quindi è sempre dura scegliere i pochi che faranno parte dell’équipe che è composta da un numero limitato di personale e che prevede la presenza di : Chirurgo Maxillo Facciale e/o Plastico, Pediatra e Neonatologo, Anestesista – Rianimatore,Infermiere, logista. La missione prevede una prima fase di Screening, durante la quale si visitano centinaia di bambini che giungono all’ospedale. Nei giorni precedenti l’inizio della missione i nostri cooperanti locali diffondono la notizia del nostro arrivo tramite TV, stampa e cartelloni pubblicitari, in modo che i genitori dei bambini con labbro leporino portino i bambini per essere visitati ed eventualmente inseriti nelle liste operatorie dei giorni successivi. Subito dopo aver valutato lo stato di salute dei bambini da operare iniziano gli interventi chirurgici a cui il personale locale medico e infermieristico partecipa attivamente affiancando il nostro personale. Subito dopo lo screening iniziano gli interventi chirurgici che proseguono per tutta la durata della missione, ed in genere si visitano 120/180 bambini e di questi tra i 60 e i 100 vengono operati.

Quali sono le principali difficoltà che incontrate nei vari Paesi in cui operate?

Dal punto di vista logistico e strutturale veniamo sempre messi alla prova per la mancanza di attrezzature adeguate, che cerchiamo di fornire attraverso i fondi destinati ai nostri progetti. In ogni missione portiamo dall’Italia un cargo di medicinali e materiale chirurgico monouso, per far fronte agli interventi chirurgici. Sul piano culturale le difficoltà maggiori risiedono spesso in credenze popolari, religioni, wodoo per cui i bambini con labbro leporino sono considerati maledetti e per loro l’unica via di guarigione sono riti e stregonerie. La nostra missione è anche quella di sfatare queste credenze popolari e far capire alle persone che è una patologia, che si può guarire solo con un intervento chirurgico.

La malfunzione del labbro leporino interessa la maggior parte dei paesi in via di sviluppo. A quali rischi va incontro un bambino che non viene curato?

I bambini che nascono con labbro leporino possono nascere prematuri. Inoltre il tasso di mortalità entro i primi 5 anni di vita di bambini con labio palatoschisi è molto più alto rispetto ai loro coetanei sani. Questo è dovuto alla loro maggiore esposizione a patologie respiratorie, alla malnutrizione non riuscendosi a nutrire adeguatamente. Infine , in età scolare, se non operati sono soggetti a emarginazione e isolamento proprio per la loro condizione fisica. Sono esclusi dalla vita sociale e a volte tenuti nascosti dalle famiglie per quelle credenze popolari di cui parlavo prima che li definiscono maledetti.

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Come agite in contesti disagiati in cui l’assistenza e l’esperienza medica è scarsa o assente? Qual è il vostro modus operandi?

Durante ogni missione umanitaria cerchiamo di rendere i medici autonomi nel prestare cure adeguate ai propri pazienti. Questo obiettivo di medio periodo segue il principio “Learning by Doing” strategia di sostenibilità attraverso l’insegnamento/apprendimento, riservata ai medici stranieri che seguono i nostri percorsi formativi. La presenza di medici preparati in loco di fatto porta con sé vantaggi sia in termini di riduzione del numero di bambini affetti da simili patologie, i bambini possono beneficiare dei trattamenti chirurgici nei Paesi di appartenenza senza dover attendere l’arrivo di medici stranieri, sia in termini di aumento della confidenza e della fiducia della popolazione nei sistemi sanitari locali. Successivamente si passa alla creazione di Centri di Eccellenza equipaggiati per la cura delle malformazioni congenite del volto. Questa modalità fa si che in futuro non troppo lontano le missioni chirurgiche non rappresentino più l’unica possibilità di cura per migliaia di bambini. In Kurdistan, Iraq e Indonesia abbiamo già posto le basi per delle strutture specializzate all’interno degli ospedali dove abbiamo svolto le nostre missioni chirurgiche. In Benin e Congo sono nate le nostre prime “affiliate” Emergenza Sorrisi Benin e Emergenza Sorrisi Congo, che hanno la finalità di curare autonomamente i propri pazienti.

Vi è mai capitato di dover affrontare interventi in Paesi in guerra? Se sì, come avete agito in quelle circostanze?

In Pakistan, in Iraq, in Afghanistan le situazioni sono difficili per la popolazione, stremata da anni di conflitti. I bambini sono coloro che pagano il prezzo più alto di queste situazioni; non vanno a scuola, non sono sicuri nelle loro case, abbiamo visitato i campi profughi in Kurdistan e tanti, troppi bambini vivono in condizioni esasperate. Noi prestiamo cure mediche specialistiche laddove ce ne sia bisogno. Ecco perché continuiamo a venire in Iraq, ecco perché siamo oggi a Nassiriya ad operare decine di bambini, ma anche adulti, con esiti di ustioni . Alcuni di loro hanno dferite in seguito ad attentati. Altri per incidenti domestici che avvengono in contesti dove la sicurezza domestica è compromessa anche a causa della guerra. I bambini pagano troppo spesso le conseguenze delle azioni degli adulti. Noi ogni volta che possiamo torniamo qui, in mezzo a queste persone che aspettano i medici italiani per poter guarire.

Credits: emergenzasorrisi.it
Credits: emergenzasorrisi.it

Avete trovato qualche difficoltà a curare le malattie che avete riscontrato nei piccoli pazienti?

Durante le missioni chirurgiche ci sono sempre casi complessi, patologie gravi che non possono essere trattate sul posto per il poco tempo della missione e per l’assenza di apparecchiature idonee soprattutto nel post operatorio. Non appena rientriamo in Italia dopo la missione lavoriamo per portare questi bambini nei nostri Ospedali e fornire loro le cure necessarie. Nessun bambino è lasciato indietro. Proprio a giugno abbiamo operato al Policlinico Gemelli di Roma un bambino del Senegal che aveva una grave patologia ad un occhio e rischiava di morire. In questi giorni è tornato a Roma e sta bene.

Quali storie in particolare vi sono rimaste impresse nel cuore?

È difficile ricordarne solo una. Tutti i bambini che visitiamo e operiamo ci rimangono impressi nel cuore. Il caso particolare di Zahra ha colpito tutta l’équipe, quando incontrandola nel giugno 2015 ha potuto constatare quanto la sua vita sia realmente cambiata dopo l’operazione. Zahra all’età di otto mesi è stata operata nel dicembre 2014 a Roma, perché era affetta da uno stato avanzato della malattia e non era possibile operarla durante una missione nel suo paese d’origine per la mancanza di strumenti adeguati alla sua complessità. Ricordiamo la storia di Chico, un piccolo bambino del Mozambico abbandonato dai suoi genitori per una malformazione al voto, curato dai chirurghi volontari e adottato da una famiglia italiana. E quella di Shabana, una bimba afghana: aveva un tumore al volto, è stata operata e ora sta bene. Abbiamo creato una sezione nel nostro sito che si chiama Sorrisi dal Mondo proprio per raccontare le più significative, ma ogni sorriso restituito è per noi importante. Oltre 3200 bambini operati in 70 missioni è un risultato che ci rende fieri di quello che stiamo facendo.

Quali sono i vostri progetti futuri per ‘Emergenza Sorrisi’?

Aiutare sempre più bambini, restituire sempre più sorrisi, coinvolgere sempre più medici e persone che possano aiutarci. In questi giorni abbiamo una campagna di raccolta fondi attiva tramite sms solidale che si chiama “Il Sorriso dei Bambini”. Vogliamo aiutarne sempre di più e nel minor tempo possibile, ma per fare questo ci occorre l’aiuto di tutti. Un sms di 2 euro al 45599 permetterà a tanti bambini di non dover aspettare a lungo di poter guarire.