sabato, 10 Giugno 2023

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Ti regalo l’interior designer (INTERVISTA)

Quante volte vi sarà capitato di vedere dei progetti bellissimi su internet e pensare: “casa mia sarà così”, o di girare per case di amici e pensare a quanto sia personale quell’armadio o come siano disposti bene gli spazi. Questo è il lavoro dell’interior desiger e Giulia Busio lo svolge da diversi anni a Milano. Ma da qualche tempo ha pensato di lanciare una linea di cofanetti regalo per rendere più accessibile la consulenza ai suoi clienti.
Noi di Blog di Lifestyle l’abbiamo intervistata, ecco cosa ci ha svelato.

Ciao Giulia, ti presenti ai nostri lettori?

Sono Giulia Busio, faccio l’interior designer, faccio questo lavoro autonomamente da qualche anno, prima ho lavorato presso altri studi. Penso di svolgere il mio lavoro con una passione che va al di là di un lavoro, e i miei clienti di solito sono contenti di questo così nel tempo si diventa quasi amici. Mettere in piedi una casa è una cosa molto personale, bisogna conoscersi bene ed è questo quello che vorrei trasmettere: la professione dell’interior designer è qualcosa che da quel di più. Al giorno d’oggi è facile trovare anche negli showroom stessi, di arredo, qualcuno che ci dia una mano nella progettazione, sicuramente però è difficile trovare qualcuno che ci segua passo passo nelle scelte personali e il mio lavoro è proprio questo: conosce il meglio possibile la persona che ho davanti e trovare qualcosa veramente adatta a lui.

La tua passione per il Design è nata per caso oppure hai sempre avuto le idee ben chiare di cosa fare della tua vita?

Io ho sempre avuto le idee molto chiare su cosa mi piaceva. Mi raccontano che quando ero piccola ci mettevo un’ora a costruire la casa di Barbie e poi ci giocavo 5 minuti. Per me il gioco era proprio quello, abbinare i tessuti, costruire ecc. È una cosa che mi porto già da piccola. Poi le mie scelte sono state altre, perché ai miei tempi la facoltà di Architettura era un po’ diversa, io non ero proprio precisissima, adesso ci sono i pc ed è tutto più semplice, quindi ho seguito l’altra mia passione, quella per l’arte e mi sono laureata all’Accademia delle belle Arti in Storia e critica d’arte e questa passione adesso è ben amalgamata perchè è importante avere un gusto artistico piuttosto che riconoscere un pezzo da un altro e saperlo inserire nell’ambiente, che sia domestico o un hotel, un ristorante. È un valore aggiunto che sono contenta di avere.

Sul tuo sito si legge: “Anche i viaggi mi aiutano a dare alla mia attività un’impronta attuale… E’ infatti attraverso l’influenza di altre culture che le idee prettamente pratiche si fondono ad ispirazioni che danno vita ad atmosfere sempre diverse…” Qual è stato il viaggio che più di tutti ha influenzato il tuo modo di fare, di pensare e che ti ha cambiato?

Devo dire che in realtà forse quello che più ha cambiato il mio stile, che è diventato un po’ più pulito è stato quello a New York, perché io ho fatto sempre viaggi abbastanza particolari, in Oriente, isole e da li ho preso molto l’abbinamento di colori caldi, ho capito che anche solo un pezzo di questo genere può scaldare un ambiente. Lo stile americano o meglio newyorkese mi ha veramente colpito. Io sono stata ospite di un’artista a Brooklyn, la sua casa era essenziale ma personalissima. Ecco quello che mi piace di questo stile. Poi ho avuto modo di visitare altre case, di amici, non sono stata sempre in albergo, ed è stato bello anche capire come vivono, loro non hanno case grandi e quindi se fosse arredata in un modo molto ricco sarebbe opprimente. Ecco perché si utilizza lo stile minimale ma si riesce a renderle molto personali e calde. E anche a Milano abbiamo le stesse problematiche. Molti miei clienti sono ragazzi giovani che prendono un monolocale, bilocale e non abbiamo molti spazi per giocare con gli arredi e quindi bisogna far in modo che l’ambiente sia abbastanza caldo da accoglierci quando arriviamo a casa, però che non sia opprimente, pieno di cose.

Parliamo dei GiftBox, un nuovo progetto firmato da te. Di che si tratta?

Proprio perché la realtà che viviamo oggi ci mette abbastanza in grado di progettarci una casa come più ci piace, basta andare in uno showroom di arredamento e troviamo un progettista che ci aiuta, o in grandi magazzini di mobili dove abbiamo cose molto carine e presentate in modo che ci diano idea di come arredare. Però, quello che vedo è che tutti hanno la stessa casa e si perde il personale. Poi non dimentichiamo che i consigli sono dati proprio per vendere quel pezzo, è una progettazione volta alla vendita. L’interior designer è diverso, il mio cliente viene da me proprio perché vuole qualcosa di personale. Vuole che io studi per lui la soluzione adatta a lui. È come andare da un sarto. Il mio è un lavoro molto sartoriale.
Io però mi sono resa conto che c’è molta paura ad interpellare l’interior designer. Perché mentre l’architetto viene chiamato perché c’è bisogno di un progetto, di pratiche, quando non c’è bisogno di questo le persone tendono a fare da sole, perché hanno paura anche per il costo.
Negli anni, aiutando amici e parenti ad aggiustare casa mi sono imbattuta in mille ringraziamenti. L’idea dei Giftbox mi è venuta parlando con mia cugina, io le ho chiesto: “secondo te senza il mio aiuto la casa sarebbe venuta così?” e lei mi ha risposto “assolutamente no”, io poi le ho chiesto: “ma non avresti pagato una persona per fare questo?” e la sua risposta è stata: “dipende da quanto mi sarebbe venuto a costare”. Di qui l’idea di questi cofanetti per far sì che si possa regalare l’interior designer.
È un po’ per avvicinare le persone al mio lavoro. Se una cosa ti viene regalata anche solo per curiosità magari vai a vedere di che si tratta, cos’è, com’è.

Ti regalo l'interior designer (INTERVISTA)

Quali sono i tuoi progetti futuri?

Sicuramente mi piacerebbe avere una linea di progettazione che punta molto ai giovani, alle persone che mettono su casa. Speriamo che questa crisi inizi a passare, nel campo immobiliare si sta muovendo qualcosa. Mi piacerebbe appunto, fare questi pacchetti, come la giftbox, proprio per i giovani, fare incontri informali, conoscere i miei clienti, fare un aperitivo, un giro, come se fossi una personal shopper. Mi piacerebbe pensare di avere dei clienti che si affidano a me come amica, e con la giftbox potrebbe iniziare tutto ciò. Voglio capire se è possibile far entrare questo tipo di cofanetto, di consulenza nelle liste nozze, con i wedding planners o inserirlo in quei negozi dove si va a cercare la lista nozze.
Inoltre mi piacerebbe creare un blog attraverso anche la mia pagina Facebook, dove le persone possano chiedermi consigli semplici, mandando anche una foto della casa. Io lo dico sempre anche nella trasmissione in radio che faccio ma non è ancora molto seguita. Mi piacerebbe pubblicizzare questa cosa. È ovvio che a me fa più piacere portare a casa un cliente, ma se sono piccoli consigli che possono servire anche a dare più visibilità alla mia figura tra i giovani ben venga.

In questi giorni Milano è nell’occhio del ciclone, si è da poco concluso l’appuntamento fisso con il salone del mobile, fiera del design made in Italy e non solo e si sta inaugurando l’Expo. Cosa si aspetta da questa grande occasione per l’Italia?

Io in realtà mi aspetto che la mia città, visto che ospiterà l’expo, venga molto più visitata dagli stranieri. Non che Milano non sia già importante nel mondo, perché lo è anche nel campo del design, ma noi ci aspettiamo veramente tantissime persone da tutto il mondo, ma più che per i padiglioni di Expo anche per Milano che si è rinnovata. È quello che succede anche durante il salone del mobile, Milano si veste a festa e le persone che vengono da fuori seguono anche il fuori salone, per visitare la città.

Spesso si pensa che il per “arredare una casa” l’occhio della donna sia fondamentale. Ma come troppo spesso accade nel mondo del lavoro in generale, la donna viene sottovalutata e ad essa si evita di affidare incarichi di responsabilità che di solito ricoprono gli uomini. Accade anche in questo settore?

Io vedo che effettivamente moltissimi colleghi sono uomini e che la donna viene vista meglio da un’altra donna. Se il mio cliente è una coppia e la persona dominante è lei, penso che venga da una interior designer donna perché si pensa di essere capite meglio. In realtà il buon gusto c’è l’ha un uomo quanto una donna e la praticità non è necessariamente donna, anche se devo dire che noi donne abbiamo un occhio di riguardo su una cosa: capiamo immediatamente quanto spazio ci serve per riporre le cose. Questa è una cosa che noto sempre a differenza dei colleghi uomini. Noi prevediamo sempre molti più ripostigli, più armadi, più spazi. Mentre l’uomo tende a fare una stanza più bella ma meno funzionale. Ci sono cucine bellissime ma se si compra una pentola in più non si sa dove metterla. È vero però che gli ingegneri e gli architetti sono prettamente uomini quelli più ricercati, ma siamo tante anche noi donne. Il lavoro è più duro ma ce la facciamo.

Ah ma è Lercio, lo sporco che fa notizia (INTERVISTA)

Ci sono quelle notizie talmente paradossali da sembrare impossibili, e poi ci sono quelle non notizie confezionate ad arte per essere paradossali, con un mix di humor e ironia. E i maestri in fatto di satira 2.0 sono loro, quelli di Lercio, il sito che ogni giorno fa il verso ai titoli sensazionalistici e alle notizie dal click facile. Tutti ce le andiamo a leggere le loro non notizie, pur sapendo che sono caricature dei tempi che corrono.
Nato da un’idea di Michele Incollu, Lercio si è formato all’interno di Acido Lattico, il collettivo di alcuni autori della rubrica La Palestra, che portava il nome di Daniele Luttazzi. Da lì, è stato un rincorrersi di non notizie che hanno fatto il giro del web, fino al riconoscimento ai Macchianera Italian Awards 2014 con il premio nelle categorie “Miglior siti” e “Miglior battuta”.

Che cosa c’è dietro il mondo di Lercio? Io ho provato a chiederlo direttamente a loro, in un’intervista semi seria tutta da ridere a Fabel, Max, Pat, Andrea, Mattia, Vik, sei autori della redazione.

Non vi chiederò come siate nati, perché vi chiamate Lercio, quanti siete e cosa c’è dietro il vostro mondo. Però una domanda banale me la dovete concedere (a cui sono certa non saprete rispondere): come nascono le vostre non notizie?

Fabel: Cercheremo di non risponderti come tu pensi ti avremmo risposto: nascono da una derivazione fisiologica del nostro cervello, mediante partenogenesi nel nostro immaginario inseminato da fette di realtà. Poi grazie a particolari serie di complesse connessioni neurologiche, note anche come sinapsi, riportiamo le notizie attraverso un complesso software di lettura del pensiero.

Oramai la gente vi conosce e sa che i vostri link sono ovviamente caricati per assurdo, nonostante ciò alcuni continuano a crederci. Dobbiamo preoccuparci?

Max: Sarebbe interessante verificare se un titolo come “Apocalisse zombie sventata. Gli egizi predissero il ritorno in vita delle mummie nel 2012 e le legarono bene” potesse portare ad un’ondata di violenza nei musei. Non a caso, la prefazione del nostro libro l’ha scritta Orson Welles.

C’è una non notizia della quale andate particolarmente fieri?

Max: Tra le primissime citerei: “Misterioso remo rinvenuto in spiaggia“, “Cina: liberato pozzo ostruito da un bambino“, “India, bambino con quattro braccia si rifiuta di imparare a suonare il piano “,” Surfista cerca l’onda perfetta inconsapevole dei suoi numerosi difetti“.

Pat: In generale di tutte quelle che sorprendono e/o si avverano: “… il Governo Letta aveva posto la fiducia sul decreto e quindi temeva una possibile imboscata dei renziani, ansiosi di farlo cadere per mandare al Governo il loro leader o anche solo Renzi“.

Tutto è talmente paradossale, che è nato anche Ah ma non è lercio con le vere notizie assurde del nostro Paese. Cosa vi sentite di dire a chi ha osato paragonarsi a voi?

Fabel: Che non siamo i primi e non saremo gli ultimi, ma la Madonna di Like a Virgin era decisamente migliore di quella di True blue.

Andrea M: Con quelli di Ah ma non è Lercio ci facciamo una buona pubblicità reciproca. Col tempo abbiamo scoperto che sempre più spesso accadono sorprendenti corto-circuiti tra la realtà, la sua rappresentazione giornalistica “reale” e la parodia che noi ne facciamo.

Una domanda pseudoseria: il vostro è un modo per fare satira, o semplice disaffezione per il giornalismo?

Max: Entrambe le cose, assieme alla smania ossessivo-complusiva di trovare la battuta letale teorizzata dai Monty Python.

Fabel: Di disaffezione per la satira

Mattia P: È sicuramente un modo per fare satira e possiamo rilevare una piccola emancipazione rispetto al nostro modo di scrivere battute satiriche di alcuni anni fa, legato al semplice commento di una notizia. Oggi possiamo lavorare più di fantasia e… stop, ho scritto già troppe parole ancorandomi alla realtà.

Vik: È il nostro modo di esprimere punti di vista satirici, la disaffezione ad un certo tipo giornalismo è una conseguenza.

Il successo sui social e ora siete finiti anche in libreria, con “Un anno Lercio, il 2014 come non l’avete mai letto”. Finirete anche voi accanto ai libri di Gramellini nelle librerie IKEA per sostituire quelli finti?

Andrea M: È già successo: durante la notte “Un anno Lercio” ha buttato a terra tutti i libri di Gramellini.

Pat: Non solo: il nostro libro si è rivelato molto più solido di tanti mobili da cucina.

Il 2015 è appena iniziato, ma qual è la cosa più assurda che avete scritto per questo primo mese?

Max: “Scienziato inventa segnalibro mentale per riprendere il sogno dove si era interrotto
Inventato un computer in grado di amare ma incapace di fare le addizioni

Vik: “Se avete bambini in casa non cagate in un calzino il giorno della Befana“.

Pat: E questa intervista.

Dr. Dog: ‘non hai tempo per il cane? Prendi un pelouche’ (INTERVISTA)

Vieri C. Timosci, in arte Dr. Dog, è il protagonista della fascia settimanale Dog Factor in onda su Raidue all’interno de ‘I Fatti vostri’, seguitissimo programma con lo scopo di premiare il miglior proprietario di cane con un premio consistente nella fornitura per un anno di cibo per cani.

Dr. Dog, dog trainer ed educatore cinofilo che vive tra Inghilterra, Italia e Germania, opera attivamente con pet di tutti i tipi, dai cuccioli ai cani di grossa stazza, ma anche coi padroni degli stessi.

Abbiamo, dunque, intervistato Dr. Dog perché potesse darci qualche buon consiglio e qualche suggerimento per prenderci cura al meglio dei nostri amici pelosi. Scopriamo insieme il suo parere da esperto del settore.

Nel corso dell’esperienza maturata operando tra Inghilterra, Italia e Germania, quali differenze ha riscontrato tra padroni inglesi, italiani e tedeschi nel rapportarsi ai propri amici a quattro zampe?

Ci sono differenze tra i vari Paesi riguardo al livello di conoscenza di metodi moderni di educazione cinofila. Gli inglesi sono abbastanza avanzati anche dato il legame con gli Stati Uniti. Il concetto del rinforzo positivo è molto diffuso. In Germania c’è una grande presenza di temi cinofili sui media, specialmente in TV. Negli ultimi anni si è visto un grande spostamento dal vecchio concetto ormai superato di dominanza e pressione verso il cane, al concetto moderno di amicizia ed empatia. Noi italiani siamo sicuramente i piú emotivi e tendiamo ad umanizzare troppo i nostri cani. Quante volte mi sento dire: “Ah non c’è nulla da fare, lui è cosí di carattere!”. Come se tutti gli animali nascessero con un carattere pre-definito e non formabile! Sono sicuro che in futuro grazie anche a trasmissioni come Dog Factor che conduco tutti i venerdì su Raidue a mezzogiorno, riusciremo a trasmettere agli italiani i concetti e metodi moderni di educazione cinofila e quindi a migliorare il rapporto tra uomo e cane.

Per quanto riguarda, nello specifico, l’Italia, quali sono secondo lei gli errori più comuni che i padroni italiani commettono nell’educare i propri cani?

Appunto come dicevo, noi tendiamo a umanizzare troppo i nostri cani comunicando con loro come se parlassero italiano. I cani comunicano principalmente con il linguaggio del corpo mentre noi con la voce. È lì che nascono delle incomprensioni. Poi ci sono i classici errori come accarezzare un cane sopra la testa, piegarsi su di lui, fissarlo negli occhi e abbracciarlo. Tutti comportamenti che mettono paura a un cane perché nel suo linguaggio, sono minacce. Ma questi sono errori che incontro un po´in tutto il mondo!

Natale è ormai alle porte e molti colgono l’occasione per regalare un cucciolo a propri cari. Tuttavia, come già ricordato dall’ENPA, non è raro che buona parte di queste creature innocenti finiscano con l’essere abbandonate al momento delle vacanze estive. Cosa vorrebbe raccomandare a chi sceglie di regalare un animale domestico per le feste natalizie?

Si, purtroppo questo succede spesso. Io mi chiedo sempre: come riesce una persona ad abbandonare un cane? Importante è che un cane sia voluto e bisogna essere consapevoli che non è solo per Natale, ma per tutta la sua vita. Tra l’uomo e il cane c’è un rapporto di amore e amicizia reciproca. Ma per raggiungere questo è importante che i cani e i padroni siano ben educati. È proprio questa la ragione perché abbiamo scritto il libro “Dog Factor – Guida all’educazione dei padroni”. Consiglio di cercare un buon educatore cinofilo che usi solo metodi positivi ed abbia una formazione riconosciuta. Vi aiuterà a comunicare con il vostro amico peloso nel modo giusto, usando il linguaggio canino e vedendo il mondo attraverso i suoi occhi. Sarà l’inizio di una bellissima avventura!

Dr.Dog con Mork

Sul suo sito ufficiale si può leggere che la causa scatenante della sua attuale carriera è stata la volontà di educare il suo adorato Fluke: che tipo di problematiche presentava (se ne presentava) la sua ‘anima gemella’ e come le ha risolte?

Fluke era un cane insicuro negli incontri con altri cani. Abbiamo quindi lavorato molto su questo, trasmettendo a lui la tranquillità e sicurezza necessaria per essere all’altezza di tutte le situazioni. È stato un lavoro molto intenso e lungo, ma i frutti sono stati eccezionali. Negli anni è diventato sempre più sicuro di se rendendolo un vero e proprio “istruttore” che a suo tempo ha potuto trasmettere la tranquillità acquisita a cani più giovani.

Operando tra Londra, Roma e Francoforte, come riesce a conciliare il suo lavoro con le cure di cui ha bisogno il suo amico a quattro zampe? Che suggerimenti darebbe a tutti quei pendolari che, per quanto amino i propri cani, per impegni lavorativi non riescono a trascorrere abbastanza tempo con loro?

Beh, per me è facile perché io porto il mio cane Mork sempre con me. Tranne che negli spostamenti brevi dove lui rimane con persone fidate che conosce bene. L’importante è insegnare al cane a stare bene e tranquillo anche con altre persone. Ci vuole tempo e pazienza. I cani sono animali altamente sociali, non sono quindi fatti per stare da soli e/o lontani dal loro amato padrone. Dopo tutto son circa 15.000 anni che gli insegniamo a stare con noi! Bisogna quindi poco a poco fargli capire che stare a casa o con altra gente va bene. Comunque per tutti quelli che vogliono un cane, ma non hanno il tempo necessario, consiglio di non prenderlo. Prima di diventare Dr.Dog sono stato molti anni dirigente d’industria e non avevo il tempo necessario da dedicare a un cane. Ora il mio cane è sempre al mio fianco. Chi lascia un cane solo a casa per tante ore facendo solo un’uscitina per la pipì è meglio che si prenda un pelouche!

Just Australia, biglietto di sola andata per Melbourne (INTERVISTA)

Partire è necessario, emozionante, formativo. Partire dovrebbe essere un piacere, una scelta ma spesso diventa anche un bisogno, un’imposizione. Capita quando non si riesce a trovare lavoro o quando non si riesce a vedere un futuro nel proprio Paese. Ci vuole coraggio a lasciare tutto e iniziare una nuova vita, in un nuovo Paese, con nuove persone. La casa da cercare, il lavoro per pagarsela, le varie spese, le nuove amicizie.
A volte è semplicemente questo quello di cui abbiamo bisogno: fare la valigia e chiuderci alle spalle una porta, nella speranza che dinanzi a noi si apra un portone ricco di opportunità.

Il grande salto, insieme ad altri ragazzi italiani, l’ha fatto Ilaria Gianfagna, una ragazza del nord Italia, che un bel giorno ha deciso di prendere l’aereo per l’Australia ed Approdare a Melbourne, dove ha fondato Just Australia (www.justaustralia.it), un info point gratuito per chi si trasferisce dall’altro lato del mondo.

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Sono circa 16 mila l’anno gli italiani con il visto vacanza-lavoro (working holiday visa, durata 1 anno con la possibilità di rinnovarlo di un altro anno a patto di lavorare 88 giorni nelle fattorie, le cosiddette farm, quindi prestare lavoro agricolo) che possono richiedere solo i ragazzi al di sotto dei 31 anni. Superata la soglia d’età dei 31, se si ha tanta voglia di studiare o fare corsi d’inglese si può comunque richiedere uno student visa, ovvero un visto studio, che dà un permesso di lavoro part time. Sono circa 2000 gli italiani che ogni hanno la richiedono. Mentre in 600 l’anno riescono ad ottenere la residenza permanente.

Ilaria ha deciso di raccontarsi a Blog di Lifestyle, di parlare del suo progetto e di dare anche dei consigli a chi, come lei, ha voglia di fare un biglietto aereo, andata senza ritorno. Almeno per il momento.

Ciao Ilaria, avrei potuto anticipare la tua storia ma vorrei che lo facessi tu, quindi come prima cosa come ti presenteresti ai nostri lettori?

Ho 35 anni, vengo da Udine, dove lavoravo come giornalista e ho sempre vissuto un po’ in Italia e un po’ all’estero, per un paio d’anni in Inghilterra, quasi un anno in Spagna e poi sono arrivata a Melbourne, dove ho frequentato un master (sempre in comunicazione) alla University of Melbourne. Il progetto Just Australia, riguarda anche Stefano, anche lui 34 anni originario di Udine, viene dal mondo dell’imprenditoria e ha gestito prima alcuni ristoranti e poi un’azienda di organizzazione di eventi.

Perché andar via dall’Italia?

Per la voglia di cambiare vita. Non sono partita con la rabbia dentro, come succede a molti italiani insoddisfatti dell’economia italiana, sono partita felice, per il semplice motivo di fare un’esperienza diversa. Molto diversa. Tra le mete possibili c’era anche l’Inghilterra (mi piace parlare inglese e cercare di migliorarlo costantemente) ma alla fine anche l’Inghilterra è pur sempre Europa, quindi ho pensato che era tempo di un cambiamento radicale.

Perché scegliere Melbourne, e l’Australia?

L’idea è nata insieme a Stefano, che aveva già alcuni contatti di lavoro in Australia e c’era già stato alcune volte. Io invece non avevo idea di cosa mi aspettasse e volevo partire con un obiettivo ben preciso, mi ero sempre un po’ pentita di non aver fatto un master dopo l’università, così ho pensato che fosse il momento giusto per rimettersi sui libri e iniziare la mia nuova vita studiando in inglese, per integrarmi al meglio nella cultura australiana. E così è stato.

Una bella mattina ti sei svegliata in Australia quindi. Qual è stata la prima cosa che hai fatto?

Ho fatto colazione in un bar chiamato “Breakfast Club” con pane tostato e avocado (qui l’avocado è come il pomodoro da noi) e subito ho notato la gentilezza degli australiani, persino al bar i camerieri sono felici, ti sorridono, ti chiedono da dove vieni, amano chiacchierare. All’inizio mi sembrava così strano parlare con gli sconosciuti e condividere un pezzo di giornata e di vita, adesso fa parte della mia quotidianità scambiare ogni giorno quattro chiacchiere con persone diverse, per il semplice gusto di parlare, senza secondi fini. Così si creano nuove amicizie e nuovi contatti di lavoro, magari al bar o sul tram. Poi naturalmente ho fatto un giro della città (che è enorme e si sviluppa praticamente tutta in orizzontale, a parte il distretto economico centrale che è un susseguirsi di grattacieli). Mi è piaciuta subito, c’era il sole e una bella atmosfera, artisti di strada, sorrisi, tutto ordinato, tanto verde pubblico e poco traffico (nonostante sia una città da più di 4 milioni di abitanti), persone da tutto il mondo, ristoranti di ogni tipo. Insomma una delle città più multietniche che avessi mai visto.

Cosa facevi a Udine, la tua città prima di trasferirti?

Lavoravo come giornalista free lance per varie testate, tra cui il Messaggero Veneto (il quotidiano di Udine) il sito Udinetoday e il canale sportivo Udinese Channel. In più mi occupavo di uffici stampa. Avevo un lavoro, una macchina, tanti amici, la mia famiglia, insomma dopo qualche anno di gavetta dal punto di vista lavorativo, tutto procedeva per il verso giusto, ero felice, ma mancava qualcosa, avevo voglia di scoprire qualcosa di nuovo. E forse la routine mi aveva un po’ annoiato. Mi sembrava tutto uguale e avevo voglia di mettermi alla prova.

Qual è stata la cosa che ti ha fatto dire “ora basta. Parto”?

Ho fatto domanda a vari master in giro per l’Europa e quello a Melbourne. Ero stata accettata anche ad un master di giornalismo a Londra, ma non so nemmeno io perché alla fine ho rinunciato a quel posto, sperando che mi prendessero in Australia. Ma la risposta dalla University of Melbourne non arrivava mai, così mi sono detta “parto lo stesso”. E sono partita.

Cosa ti manca dell’Italia?

Tutto. L’aperitivo con gli amici, il pranzo della domenica con la mia famiglia, il caffè al sole circondata da edifici storici, il ciotolato per strada, le travi a vista della mia vecchia casa, il prosciutto, gli agriturismi. Tutto ciò che in qualche modo è legato ad un momento conviviale con i miei amici e con la mia famiglia. La pizza e il caffè invece non mi mancano per nulla. Melbourne è la capitale della ristorazione, ogni anno esce un articolo sul migliore caffè al mondo e la migliore pizza al mondo che si trovano proprio a Melbourne. Ed è vero. Mi manca semplicemente la bellezza dell’Italia.

Parliamo del tuo, anzi vostro progetto: Just Australia. Di che si tratta?

Just Australia è principalmente due cose: un infopoint gratuito a Melbourne, dove tutte gli italiani (e non solo) che hanno bisogno di assistenza possono passare e chiederci aiuto e consigli su lavoro, casa, burocrazia. E poi è un’agenzia educativa, quindi aiuta le persone a realizzare percorsi di studio e di lavoro, per progettare una nuova vita in Australia. Il servizio è totalmente gratuito, perché siamo convenzionati con una serie di scuole e istituti in tutta l’Australia e quindi retribuiti dalle scuole che rappresentiamo. Siamo specializzati in corsi d’inglese e diplomi professionali. Chi vuole infatti migliorare l’inglese o qualificarsi in Australia, se si affida a noi risparmia e ha un servizio completamente gratuito in italiano. Just Australia, infatti, offre prezzi promozionali agli studenti, che se invece si iscrivessero direttamente nelle scuole pagherebbero di più. Le scuole, infatti, si sgravano di tutto il lavoro di iscrizione e richiesta del visto studente, affidando questo compito alla agenzie con cui sono convenzionate. In più offriamo una serie di altri servizi: conto in banca, assicurazione sanitaria, assistenza nella ricerca del lavoro. In questi anni abbiamo sviluppato molti contatti e spesso le aziende ci chiamano quando hanno bisogno di personale. Spesso si tratta di lavoro nella ristorazione, un settore in Australia molto in voga e anche ben retribuito. Infine lavoriamo a stretto contatto con uno studio di migration agent, a cui indirizziamo tutte le persone che hanno bisogno di assistenza per tutti gli altri visti che non siano student visa o working holiday visa. Questi ultimi spesso non richiedono una consulenza da parte di un avvocato specializzato in immigrazione. Partire in Australia (e rimanerci non è facile) e c’è bisogno di un buon livello d’inglese, qualifiche ed esperienze nel proprio settore, che spesso devono essere riconosciute o effettuate qui in Australia. Per questo, spesso, è utile consultare un migration agent per capire quali sono le reali opportunità in Australia, a seconda del caso specifico. Il primo step è sempre quello di migliorare la lingua, perché per ottenere altri visti di lavoro (sponsor o visti permanenti) è necessario superare un test d’inglese.

Qual è la differenza più evidente tra Italia e “resto del mondo” e tra Italia e Australia in particolare?

L’Italia è un paese meraviglioso e molto amato dagli australiani. Tutte le persone che conosco qui trascorrono spesso e volentieri un paio di mesi tra l’Italia e l’Europa, per motivi vacanza, per lavoro, per visitare i parenti (la comunità italiana e di origini italiane in Australia è davvero numerosa, pare che ci siano circa 2 milioni di persone di discendenza o nascita italiana). Essere italiani e vivere in Australia spesso significa essere molto apprezzati per la lingua, cultura e naturalmente per il cibo italiano, che qui va per la maggiore. Quindi da un lato non ci si sente così lontani da casa. L’Australia si differenzia perché è veramente la terra delle opportunità, dove si può fare carriera e si può realizzare i propri sogni, cosa che forse in Italia in questo momento è un po’ più difficile. Inoltre vivere in Australia significa vivere in un continente estremamente multietnico che ti spinge ad essere molto più aperto mentalmente e a dimenticare quel pregiudizio e pettegolezzo tipico italiano. Saranno due anni che non parlo male di nessuno! Ai miei amici australiani non piace criticare gli altri. L’Italia da questo punto di vista forse è un po’ più chiusa e limitata purtroppo e io stesso ero molto più “bigotta” quando vivevo in Italia. E poi gli australiani sono sempre sorridenti e cordiali, sai quante volte mi è successo di vedere portafogli e cellulari persi e caduti e sempre ritrovati? Qui è normale vedere uno sconosciuto che raccoglie il tuo portafoglio e te lo restituisce sorridendo. O se un senzatetto non ha soldi per pagarsi un caffè o un pasto c’è sempre qualcuno che gli paga la spesa o gli compra un panino e glielo regala. Le organizzazioni no-profit in Australia danno lavoro a più di 30 mila persone, qui il volontariato e l’assistenza sociale sono considerati a tutti gli effetti parte integrante della quotidianità.

Tra l’Italia e il resto del mondo non saprei, alla fine da qui mi sembra che l’Italia abbia molto in comune con tutti i paesi europei, quando parlo con uno spagnolo, un tedesco o un francese, mi sento a casa, ci capiamo al volo e parliamo dei luoghi visitati in Europa e del cibo che abbiamo mangiato. Prima non avrei mai pensato di avere così tante cose in comune con i tedeschi ad esempio.

Quale consiglio ti senti di dare ai giovani italiani?

Sicuramente mi viene da dire: “se puoi, parti”, ma non perché l’Italia è un paese da cui scappare, semplicemente perché vivere all’estero è molto formativo, ti cambia come persona, ti arricchisce. Non è facile come sembra: la lingua, la cultura diversa, la lontananza possono scoraggiarti e forse non è necessario trasferirsi definitivamente all’estero, può essere anche solo una bella esperienza temporanea, ma che vale la pena di vivere proprio per aprire i nostri orizzonti e scoprire anche qualcosa di più di se stessi, a cui forse nella quotidianità e nella routine di tutti i giorni non si fa neanche caso.

Chiudiamo con un’ultima domanda che tutti vorrebbero fare. Quali caratteristiche servono per avere successo all’estero?

Devo dire la verità anche per me è stato molto difficile all’inizio, nonostante avessi già un livello d’inglese molto alto. E anche per Stefano, entrambi ci siamo fidati delle persone sbagliate e ci siamo scoraggiati più volte, senza però mollare mai, che forse è la chiave del successo all’estero. Poi è fondamentale migliorare la lingua. L’inglese che impariamo a scuola non è sufficiente e poi se l’obiettivo è l’Australia, l’australiano è piuttosto difficile da capire (almeno per le prime settimane o mesi, fino a quando non si fa l’orecchio). Quindi un po’ perché è il mio lavoro e un po’ perché io per prima ho fatto decine di corsi d’inglese (e credo che questo sia uno dei motivi per cui sono qui) consiglio sempre di iniziare la propria esperienza con un corso d’inglese anche breve (o della lingua del posto in generale) per integrarsi il più velocemente possibile, conoscere a scuola nuovi amici nella stessa situazione. Spesso si pensa di poterlo imparare sul lavoro, ma a volte proprio quando il livello d’inglese è ancora intermedio è molto difficile trovare lavori ben retribuiti. E poi forse il sapersi reinventare. Quando non è possibile svolgere il proprio lavoro (qui in Australia non è facile tra visti, riconoscimenti delle qualificazioni e dell’esperienza) forse c’è qualcos’altro in cui siamo bravi, semplicemente non lo sapevamo ancora.