venerdì, 5 Dicembre 2025

Salute

Home Salute Pagina 129
Notizie sulla salute, sugli stili di vita, scoperte mediche, farmaci, diete, fitness

Cosa dice la posizione in cui dormite della vostra coppia?

Credit: deabyday.tv

Siete di quelli che dormono rannicchiati contro il partner durante la notte? Oppure preferite avere ognuno e i propri spazi per riposare?
Una nuova ricerca dimostra come la posizione in cui dormiamo con il nostro partner rivela molto circa la forza della nostra relazione.

La chiave di lettura è la distanza: le coppie che dormono lontane meno di un centimetro sono, o saranno, di gran lunga più felici rispetto a quelle che dormono con una distanza maggiore.
Questo studio è stato condotto su 1.100 persone, 550 coppie.
La ricerca è stata pubblicata sul Edinburgh International Science Festival, e si estende fino ai rami della psichiatria.

Dalle ricerche è emerso che il 42% delle coppie dorme “schiena contro schiena”, il 31% nello stesso senso e solo il 4% dorme “faccia a faccia”.
Circa il 34% dei partner dormono toccandosi, il 12% di questi passa la notte a meno di un centimetro di distanza e, infine, il 2% dei partner dormono separati da più di 30 centimetri.
Il risultato è che quelli che dormono vicini, “faccia a faccia” – e ancora di più quelli che dormono toccandosi – tendono ad essere più felici.

Lo psicologo Richard Wiseman ha detto “Ninety four per cent of couples who spent the night in contact with one another were happy with their relationship, compared to just 68 per cent of those that didn’t touch – e ancora – this is the first survey to examine couples’ sleeping positions, and the results allow people to gain an insight into someone’s personality and relationship”.

Lo studio ha dimostrato anche che le persone che giacciono rannicchiate in posizione fetale sono suscettibili, ansiosi e sensibili alle critiche della rispettiva dolce metà. Quelli che, invece, dormono in una posizione semi-fetale, con le ginocchia rannicchiate, cercano sempre compromessi, senza prendere mai posizioni estreme.
Tutti quelli che dormono “a pancia in giù” tendono ad essere fiduciosi, aperti, espansivi, e sempre alla ricerca di nuove sensazioni ed emozioni.

Voi? Come dormite?

[Credit: DailyMail]

Il perfezionismo nuoce gravemente alla salute

Spesso si è portati a credere che il perfezionismo sia qualcosa di lodevole, eppure recenti studi dimostrano che può avere effetti davvero nocivi, provocando non solo stress psicologico, ma anche dolore fisico, con disturbi che variano dalla sindrome dell’intestino irritabile all’insonnia, alle disfunzioni cardiache – se non addirittura morte prematura.

La Dottoressa Danielle Molnar, psicologa presso la Brock Univesity in Canada, anzi, ritiene che il perfezionismo sia causa di malattie al pari dell’obesità e del fumo.Non si fa che promuovere continuamente il perfezionismo e i benefici che se ne traggono in termini di successo lavorativo o accademico, eppure – sostiene la Molnar – esso è all’origine di un gran numero di disturbi, tra cui l’aumento delle infezioni e la morte prematura. Per tanto, credo che vada considerato dai medici come un dato da non trascurare in rapporto alla salute dei pazienti.

Si ritiene siano due su cinque le persone con tendenze perfezioniste. Un numero che sta, in realtà, crescendo a causa di social media come Facebook e Twitter, i cui utenti sembrano sempre più ossessionati dalla preoccupazione di essere o, meglio, di apparire perfetti. A stabilirlo è il Dottor Gordon Flett, professore di psicologia alla York University del Canada che ha dedicato ben 20 anni della sua vita a indagare il nesso tra perfezionismo e psicologia. “È normale voler essere perfezionisti in un determinato ambito della propria vita, come per esempio quello lavorativo – afferma il Dottor Flett – tuttavia, quando la cosa degenera in un bisogno ossessivo di perfezione a 360°, portando a desiderare un lavoro perfetto, un bambino perfetto, una relazione perfetta, un corpo perfetto e così via, può causare livelli di stress estremamente alti e può incidere negativamente non solo sui nostri rapporti, ma anche sulla nostra salute.

Il Dottor Flett ha così delineato tre tipi di perfezionisti: gli “autoreferenziali”, gli “alter-autoreferenziali” e gli “eterorefenziali”. Gli auto-referenziali si basano esclusivamente sui propri personali standard di perfezione; gli alter-autoreferenziali, invece, sono quelli che impongono determinati standard agli altri, alla maniera del temutissimo chef Gordon Ramsay; gli eteroreferenziali, infine, sono perfezionisti che rispondono all’etichetta sociale, che soddisfano le richieste di genitori, datori di lavoro e colleghi: un esempio su tutti è quello del celebre tennista Andre Agassi, che il padre – da alter-autoreferenziale – costringeva ad allenarsi strenuamente nonostante il caldo torrido della Florida. I perfezionisti che impongono i propri canoni di perfezione agli altri finiscono, peraltro, col generare in questi ultimi un forte sentimento di disprezzo – tant’è che Agassi nella sua autobiografia ha poi dichiarato di odiare il tennis, un odio probabilmente originatosi a partire proprio da quegli allenamenti e da quei sacrifici eccessivi cui veniva costretto da bambino.

Ad ogni modo, gli studi della Dottoressa Molnar hanno dimostrato che il perfezionismo da etichetta sociale causa, in maggioranza, sofferenze fisiche: la ricerca, condotta su 500 adulti di età compresa tra i 24 e i 35 anni, consisteva nel rispondere a un questionario chiamato “La Scala Multi-Dimensionale del Perfezionismo”, che rendeva possibile stabilire se i soggetti fossero dei perfezionisti e, qualora lo fossero stati, di che tipo. Dai risultati si è evinto che i perfezionisti da etichetta sociale non godevano di buona salute, andavano spesso a farsi visitare dal medico e prendevano più giorni di malattia.

In maniera ancora più allarmante, un altro studio ha dimostrato che ambire incessantemente alla perfezione aumenta il rischio di morte prematura. Nel corso di questo studio della durata di sei anni, i ricercatori della Trinity Western University nel Canada hanno preso in esame 450 adulti – perfezionisti e non – dai 65 anni in su: i perfezionisti sono risultati essere del 51% più a rischio di morte prematura.

Il problema è che è davvero raro che i perfezionisti chiedano aiuto e anche qualora gli si dia supporto, lo interpretano come una forma di giudizio o di critica nei loro confronti per il fatto di non essere in grado di prendersi cura di se stessi, mentre il supporto e la socialità sono gli elementi che più contribuiscono a migliorare la salute e persino ad allungare la durata della vita. Ma i perfezionisti il più delle volte se ne privano: “Non hanno molta cura di sé“, spiega il Dottor Flett. “Spesso si chiedono perché si sentano poco bene, avvertendo la malattia come un fallimento e costringendosi a trascurarla, negandosi il tempo necessario a guarire ed evitando di chiedere aiuto“: un atteggiamento che rallenta la ripresa e può provocare ulteriori disfunzioni, soprattutto al livello cardiaco. Stress, insoddisfazione cronica e mancanza di supporto sono state infatti individuate come le costanti all’origine dei problemi cardiaci, cui i perfezionisti risultano perciò più esposti rispetto a persone dotate di una personalità positiva.

Ma non è tutto: i perfezionisti sono anche più propensi a contrarre la sindrome dell’intestino irritabile, come suggerisce una ricerca condotta nel 2007 dagli specialisti dell’Università id Auckland in Nuova Zelanda. Durante lo studio sono state monitorate 620 persone che avevano avuto gravi episodi di intossicazione alimentare e quelle affette dalla sindrome dell’intestino irritabile presentavano, appunto, tendenze perfezioniste come la trascuratezza nel curare la propria salute fino alle estreme conseguenze.
Si tratta di soggetti ossessionati dal fare la cosa giusta: per loro, prendersi dei giorni di malattia è come andar contro i propri ideali“, spiega la Dottoressa Rona Moss-Morris, all’epoca a capo dei ricercatori.

Lo stress continuo cui i perfezionisti si sottopongono aumenta il rischi di sviluppare questo tipo di sindrome, che può manifestarsi con gonfiori, diarrea e crampi, ma non sono esclusi casi di disordini alimentari, in particolare di anoressia e di disturbo da alimentazione incontrollata: la rigidità dei perfezionisti, infatti, si riversa anche nella dieta, che spesso esclude intere categorie di alimenti e comunque contempla l’assunzione di cibo a basso contenuto calorico. Mancato un obbiettivo, però, i perfezionisti ricorrono all’abbuffata: mangiare li tranquillizza, ma soltanto momentaneamente, perché la vergogna e il senso di colpa li porteranno a un autocontrollo ancora più rigido. Per ridurre gli effetti negativi che si autoprocurano, i perfezionisti dovrebbero imparare ad accettare se stessi e i propri errori, facendo meno autocritica. “Abbassare il livello degli standard e accettare un fallimento di tanto in tanto costituiscono la chiave del miglioramento – suggerisce il Dottor Flett – ma, più d’ogni altra cosa, i perfezionisti devono imparare a chiedere aiuto, senza più soffrire in silenzio“.

Troppi caffè e cioccolata provocano insonnia

Poca frutta e verdura, troppi carboidrati e grassi, niente acqua e troppi caffè. Lo squilibrio alimentare verificato dai nutrizionisti dell’Osservatorio Grana Padano ha dimostrato come le abitudini alimentari sbagliate di un campione di 8500 persone, rappresentativo della popolazione italiana, provochino insonnia.

Mangiare male=dormire altrettanto male. L’insonnia è provocata da un’alimentazione del tutto scorretta, caratterizzata dall’abbondanza di cibi che in realtà dovrebbero essere di assunzione sporadica o al contrario dall’eliminazione di alimenti fondamentali. Uno dei punti fondamentali sui quali si sofferma lo studio è l’assunzione, soprattutto nelle ore serali, di alimenti eccitanti come caffè, tè, coca cola, cacao. E, al contrario, di quanto possano essere dannosi per il nostro organismo e metabolismo le esigue quantità di latte, yogurt e acqua. Oltre a fattori alimentari ci sono anche altri elementi a determinare la mancanza di sonno, come lo stress, la scarsa igiene (l’utilizzo di cuscini, materassi o indumenti non adeguati), fattori ambientali, come cambi di clima, o attività mentale intensa prima di coricarsi (riflessioni e pensieri).

“Va però limitato il consumo di sostanze eccitanti specie nelle ore serali – suggerisce Michela Barichella, medico degli ICP Milano- ma si consigliano anche rimedi tradizionali e naturali come una tazza di latte tiepido, da bere prima di andare a dormire. Il latte contiene alti livelli di triptofano, un aminoacido che favorisce la produzione nel cervello di sedativi naturali quali serotonina e melatonina”.

Dalle indagini fatte su un campione di persone è emerso che la popolazione tende a bere poco latte, a mangiare un numero esiguo di yogurt o formaggi e bere pochissima acqua, problema più evidente negli anziani.

Non resta altro che migliorare e, se necessario, cambiare alcune abitudini alimentari per essere sempre in forma e, soprattutto, dormire sonni tranquilli.

Gli Hunza, la popolazione più longeva al mondo

Volevate il segreto della vita eterna o quasi? La popolazione degli Hunza ha trovato il modo per vivere a lungo, in media 130-140 anni, ed evitare le terribili malattie degenerative come il cancro o le malattie del sistema nervoso, che affliggono le altre popolazioni.

Gli hunza vivono al confine nord del Pakistan all’interno di una valle sulla catena Himalayana, al confine con la Cina, e senza ricorrere ai prodigi della nostra scienza medica, a cento anni sono vivi ed incredibilmente attivi, lavorano ancora nei campi e curano i loro figli con estrema vitalità. Le donne Hunza sono ancora prolifiche anche oltre i 70 anni. Chiaramente per riuscire a concepire a tale età, il loro fisico è ancora piuttosto giovanile e non ha nulla a che vedere con le nostre novantenni.

Da sempre lavorano la terra, ma a migliaia di metri di altezza. Vicini al cielo, lontani dagli altri uomini e dal “mondo sviluppato”. Ralph Bircher, uno dei massimi esperti di questa civiltà ultracentenaria ha dedicato loro un libro dal titolo “Gli hunza, un popolo che ignorava la malattia”.

I motivi di tale longevità sono da attribuirsi soprattutto allo stile di vita, basato su un’alimentazione vegetariana, frutto solo delle proprie coltivazioni. Si cibano prevalentemente di miglio, orzo, grano saraceno, frutta come noci e albicocche, ciliegie, more, pesche, pere e melograni, germogli di piselli, noci, legumi lessati, verdure come spinaci, rape e pomodori. Nella loro dieta rientrano anche formaggi, ma solo freschi o fermentati, pochissima carne e quasi nessun condimento.

Gli Hunza vivono dei frutti della natura e soffrono anche un lungo periodo di carestia nei mesi invernali, quello che i naturopati definiscono “digiuno terapeutico”. L’altopiano su cui vivono è un luogo in gran parte inospitale e non dà raccolto sufficiente per alimentare i 10.000 abitanti Hunza per tutto l’anno. Questa “bizzarra” consuetudine, invece di portare debolezza e morte, nel corso degli anni ha prodotto nella popolazione straordinarie capacità di vigore. Un Hunza può andare camminare tranquillamente per 200 km a passo spedito senza mai fermarsi, grazie alle forti doti di resistenza conosciute in tutto l’oriente, tanto che nelle spedizioni Himalayane, sono assoldati come portatori.

Tra i segreti della longevità degli Hunza ci sarebbe anche la particolare acqua alcalina che bevono: diversi studi hanno appurato che l’acqua bevuta da questa popolazione ha un elevato pH, con notevole potere antiossidante e un elevato contenuto di minerali colloidali, che renderebbero più sopportabile anche il digiuno. L’acidosi metabolica innescata dal digiuno prolungato viene infatti compensata e il ph rimane più stabile.

Oggi il territorio degli Huntza però è stato intaccato dalla società “evoluta” e anche lì sono arrivati cibi spazzatura, farina 0 impoverita, zucchero bianco, sale sbiancato chimicamente, e con loro le prime carie, le prime problematiche cardiovascolari, i primi problemi reumatici che l’Occidente evoluto conosce bene. In pochi sono riusciti a scampare da questo inquinamento “evolutivo” evitando ogni forma di “contagio”.

L’aspetto che affascina di questo popolo è la loro predisposizione naturale al sorriso, infatti sono molto gioviali, d’umore costante, anche quando hanno problemi di poco cibo e di freddo. Non sono mai arrabbiati, non sono attaccati dall’ansia, e dall’impazienza, sono sempre sereni, e forse il loro segreto sta proprio nella loro inconsapevole felicità.

L’arte e la letteratura risultano pressoché assenti tra gli Hunza. La religione e la preghiera venivano vissute intimamente. Diversamente dai popoli limitrofi, non hanno nessuna pratica esteriore, né rituali, né preghiere, né templi. Non esiste superstizione, malocchio, magia, come avviene invece per i popoli vicini, dai quali si distinguono ancor più per il fatto che le donne non portano il velo ed hanno parità di diritti. Però, tutte queste eccezionali caratteristiche si stanno attenuando con l’arrivo dello “sviluppo” e dell’alfabetizzazione.

Forse tutti noi dovremmo imparare da questi popoli, soprattutto nella capacità di reagire alla vita guardando sempre il lato positivo, seguendo una dieta sana, per prevenire invece che curare, arrivando ad ottenere un benessere sia mentale che fisico.