domenica, 21 Dicembre 2025

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Perché ci sono persone che hanno paura di amare?

Credits: thedailymind

Perché si ha paura di amare? Da cosa deriva questo blocco della mente, del cuore e dei sentimenti? Si chiama anoressia sentimentale ed è una “malattia” che colpisce chiunque, sia donne che uomini. Ma la paura, in realtà, non è quella di stare male per amore, di vivere una delusione, di soffrire o non vedere i propri sentimenti ricambiati allo stesso modo dal partner. La paura è quella, al contrario, di perdersi l’uno nell’altra.

Chi soffre di anoressia sentimentale non lo dimostra a prima vista: il “caso” in questione può essere sia una persona introversa e solitaria sia un soggetto socievole ed estroverso. A volte, infatti, dietro la paura di amare si celano semplicemente delle problematiche comuni che risiedono in profondità – addirittura dall’infanzia – e non vengono percepite immediatamente all’apparenza. Il bisogno affettivo manca completamente, sparisce in seguito a difficoltà del passato e questi soggetti si trasformano in perfette monadi con un’attività interna, ma che non possono essere fisicamente influenzate da elementi esterni. In questo senso sono indipendenti.

Cosa blocca l’amore? Cosa impedisce di amare? Quali sono i motivi per cui qualcuno decide di dire “no” ai sentimenti più profondi dell’io? Ci sono due grandi paure alla base di questo atteggiamento: una è la paura del cambiamento, l’altra è quella dello sfruttamento.

Bloccare quest’anoressia e invertire la rotta si può e si deve fare, non rappresenta una strada a senso unico e senza uscita: questo, però, richiede un paziente lavoro di analisi della propria storia affettiva e familiare.

Plasmon: arrivano i biscotti privi di olio di palma

Credit: makemefeed.com

L’azienda Plasmon, ha deciso di eliminare il tanto discusso olio di palma, dalla ricetta degli amati biscotti.
In questi ultimi anni si è sempre più parlato dell’olio di palma, e dei suoi possibili effetti dannosi sull’organismo, essendo esso presente in tanti alimenti.
Di questo, le aziende produttrici di alimenti, ne hanno dovuto prendere atto, adeguando le loro ricette alle richieste dei consumatori.

La notizia interessante è che , tra le aziende che hanno accettato di rivedere gli ingredienti dei propri prodotti, c’è la Plasmon. La famosa casa produttrice di alimenti per l’infanzia, ha infatti deciso di eliminare l’olio di palma dalla ricetta dei famosi biscotti omonimi, essendo loro consumati principalmente da bambini anche molto piccoli.
Tutto è iniziato da alcune richieste di eliminazione, poi l’informazione sui media, ed infine le proteste.
Di fronte ad una richiesta così esplicita, l’industria alimentare non ha potuto non adeguarsi, e offrire un prodotto adatto alle esigenze, e soprattutto anche alle scelte dei consumatori.

Ed è così che la Plasmon, ha lanciato la campagna e l’hashtag ‘Ti abbiamo ascoltato’, per far capire ai consumatori che, la scelta di eliminare l’olio di palma dalla ricetta dei famosi biscotti, è stata fatta in seguito alle numerose loro richieste.
Il goloso biscotto, amato da grandi e piccini, non avrà più tra i suoi ingredienti l’olio di palma, che sarà sostituito dall’olio di girasole e dall’olio di oliva, proprio per andare incontro a questa presa di posizione.

Plasmon informa, però, che i biscotti con la nuova ricetta non sono ancora in commercio, ma arriveranno molto presto, sostituendo la vecchia generazione.

Cioccolato, toccasana per la mente

Credits: www.benesserenergia.it

Lo psicologo Merrill Elias a metà degli anni ’70 iniziò a monitorare le capacità cognitive di più di 1000 persone a New York. L’obiettivo era: osservare il rapporto tra la pressione del sangue e le prestazioni del cervello. Per decenni ha studiato proprio questo col Maine-Syracuse Longitudinal Study (MSLS) per capire i fattori di rischio cardiovascolari. Dopo 40 anni la ricerca porta a delle conclusioni del tutto inaspettate: il cioccolato ha influenza sulle nostre capacità cognitive.

Si è giunti a questo risultato solo nelle ultime sessioni di ricerca (le sessioni totali sono 7), quando Elias e il suo team hanno avuto l’idea di inserire tra le variabili in esame, le abitudini alimentari dei partecipanti. Le diete, dopo tutto, avevano già mostrato di influenzare i fattori che stavano monitorando. In effetti, avevano a disposizione questo grande numero di partecipanti, un’occasione perfetta per conoscere le scelte alimentari che le persone fanno quotidianamente.

Nella sesta ondata di raccolta dei dati, avvenuta tra il 2001 e il 2006 si è scoperto che le persone che mangiano cioccolato, almeno una volta alla settimana, tendono a rendere meglio cognitivamente.
I risultati, ottenuti in un nuovo studio pubblicato il mese scorso, sono in gran parte merito di Georgina Chichton, una nutrizionista-ricercatrice presso University of South Australia, che ha condotto l’analisi. Tanti “altri” avevano dimostrato che mangiarlo portava a molteplici risultati positivi per la salute, ma pochi si erano focalizzati sull’effetto che esso ha nel cervello. La Crichton aveva intuito che questa era un’occasione da non perdere in quanto la dimensione dei campioni era grande e il dato conoscitivo che ne è venuto fuori è stato forse il più completo di qualsiasi altro studio effettuato.

La ricercatrice Crichton insieme ad Elias e ad Alà’a Alkerwi un epidemiologo hanno effettuato due analisi. Nella prima analisi hanno confrontato i punteggi medi dei vari test cognitivi dei partecipanti che hanno segnalato di mangiare cioccolato almeno una volta alla settimana con coloro che hanno riportato il punteggio più basso. Hanno trovato “una significativa associazione positiva” tra l’assunzione di questa sostanza e le prestazioni cognitive. Tali associazioni sono state assestate con altre variabili quali: età, sesso, istruzione, fattori di rischio cardiovascolare e le abitudini alimentari. In termini scientifici, mangiare cioccolato era significativamente associato ad una superiore “memoria/organizzazione”. Crichton spiega che queste funzioni si traducono in attività quotidiane come: ricordare un numero di telefono, o la lista della spesa, o di essere in grado di fare due cose in una volta, come parlare e guidare allo stesso tempo”.

Nella seconda analisi, i ricercatori hanno testato se il consumo di cacao aumentava la capacità cognitiva, o se le persone con migliori performance celebrali tendevano a gravitare verso il cioccolato. Per far questo questo, i ricercatori si sono concentrati su un gruppo di oltre 300 partecipanti che avevano già partecipato alle prime quattro ondate MSLS così come al sesto, che ha incluso il questionario dietetico. Se una migliore capacità cognitiva prevedeva il consumo di cacao, avrebbe dovuto esserci un’associazione tra performance cognitiva della gente prima di rispondere al questionario e la loro successiva assunzione di cacao riportata dopo. Ma non c’era. “E ‘quasi impossibile parlare di causalità con il nostro sistema”, dice Elias. “Ma il nostro studio indica sicuramente che il consumo di cioccolato colpisce le capacità cognitive”.

Dopo quest’ultima analisi i ricercatori hanno cercato di spiegare come il cioccolato ha questi effetti sulle nostre attività cognitive: i nutrienti chiamati flavanoli del cacao sembrano avere un effetto positivo sul cervello delle persone, essi “influenzano positivamente i processi psicologici”.
Il sospetto è che mangiare cioccolato fa aumentare il flusso di sangue al cervello, che a sua volta migliora le sue funzioni. Inoltre, il cioccolato contiene le metilxantine, dei composti vegetali di produzione che migliorano varie funzioni corporee, tra i quali, il livello di concentrazione.
Il messaggio più corretto, alla luce di quanto sappiamo oggi, non è quello di mangiare cioccolato senza misura ma mangiarlo a piccole quantità senza sensi di colpa. Inoltre, la ricerca non è ancora finita. Dice Elias “Noi non abbiamo fatto distinzioni tra cioccolato fondente e cioccolato light.Questo ci potrebbe dire molto di più su quello che sta succedendo. Non abbiamo inoltre esaminato le persone che assumono il cioccolato mai o raramente rispetto a una volta alla settimana o più. Mi piacerebbe davvero vedere cosa succederebbe se la gente cominciasse a mangiare tonnellate di cioccolato …

Tumore al seno: scoperto come eliminare i casi di recidiva

credits photo: ilquotidianoitaliano.com

Potremmo essere di fronte ad una importante svolta per le migliaia di donne colpite dal tumore al seno: alcuni ricercatori del policlinico di Bologna, hanno scoperto la causa delle recidive del tumore al seno.
Lo studio è durato dieci anni, durante i quali sono stati analizzati i nascondigli delle cellule più aggressive, quelle responsabili delle recidive (nuova insorgenza di metastasi, anche a distanza di molto tempo dalla guarigione).

Ogni anno in Italia, circa 48mila donne vengono colpite dal cancro al seno. Nel 10% dei casi si presentano le recidive che, nella maggioranza dei casi, sono incurabili. “La malattia può tornare per colpa delle cellule staminali tumorali. Infatti, pur essendo una minoranza, si tratta delle cellule più cattive e aggressive del tumore, capaci di sfuggire ai farmaci e ai normali cicli di terapie che le donne fanno durante la cura del cancro al seno” spiega il Dott. Mario Taffurelli, direttore del reparto senologia del policlinico. Ciò vuol dire che dal tumore si può guarire, ma, queste cellule rischiano di rimanere all’interno dell’organismo creando problemi, anche a distanza di parecchi anni, dalle conseguenze devastanti.

“Durante le terapie per la cura di un tumore, le cellule cattive riescono a sopravvivere nascondendosi dietro a delle “corazze” che le proteggono, composte da una sostanza che produce già il nostro organismo. Ecco, noi abbiamo scoperto il ruolo di queste corazze: se usiamo dei farmaci per abbatterle, è la nostra ipotesi, allora le terapie antitumorali colpiranno pure le cellule più aggressive, dunque, si ridurrebbe il caso di recidive e aumenterebbe il tasso di sopravvivenza dopo un tumore al seno”, continua il Dott. Taffurelli.

Dopo la pubblicazione dello studio, ha inizio la fase due, quella decisiva, da svolgere all’interno degli ospedali. Tale fase è dedicata alla sperimentazione di una nuova terapia che, combatta il tumore, abbatta le corazze e uccida le cellule staminali tumorali.
“I farmaci per farlo ci sono già, bisogna utilizzarli in quella direzione” conclude Tufarelli, che non è l’unico protagonista della ricerca. Assieme a lui ci sono: Massimiliano Bonafè responsabile di uno dei centri di senologia più importanti in Italia; Donatella Santini che coordina il gruppo della patologia mammaria; Pasquale Sansone, ricercatore del Memorial Sloan Kettering Cancer Center di New York, nosocomio di riferimento negli Usa per il tumore alla mammella.

Questo eccellente team di medici, tutto italiano, ha donato nuove speranze alle donne vittime dal cancro alla mammella.