sabato, 20 Dicembre 2025

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Perchè dopo una separazione si perde l’appetito?

Credit by: elitedaily.com

La separazione o la perdita di una persona amata può rappresentare una delle esperienze più dolorose della vita. Chiunque si sia trovato almeno una volta in questa situazione può confermarlo. Ma, mentre alcuni riescono a riprendersi in fretta, altri entrano in una vera e propria depressione. Ed ecco che queste persone non riescono neppure più a svolgere azioni normalissime e quotidiane, come mangiare e dormire.

Ma come mai succede? Cosa avviene dentro di noi?

Molte ricerche hanno confermato l’esistenza di un legame inscindibile tra cuore e stomaco. Le emozioni che proviamo, dallo stress al dolore, possono avere conseguenze anche sul nostro stato di salute.
Uno studio condotto dalla Rutgers University sostiene addirittura che una persona con il cuore spezzato abbia la stessa attività cerebrale di una persona che fa uso di cocaina.

Marina Pearson, esperta del settore relazioni, ci spiega cosa succede al corpo in seguito ad un dramma come quello della separazione. Il corpo comincia a creare più adrenalina, che aumenta il nostro livello di cortisolo; questo causa non pochi problemi, come la perdita di calcio nelle ossa, la pressione alta e la perdita di alcune funzioni cognitive.
Inoltre rallenterebbe anche i nostri processi digestivi, facendoci sentire così meno fame.

Il modo di reagire non è uguale per tutti. C’è chi dopo una separazione passa ore e ore sul divano a divorare barattoli di Nutella, magari in compagnia di uno di quei film strappalacrime, che di certo non aiutano a stare meglio. Altri invece perdono di colpo l’appetito e, come spiega la ricercatrice Debra Smouse, deglutire qualcosa diventa un vero e proprio dolore fisico.

Riflettiamo su questi rischi e chiediamoci: siamo sicuri che vale la pena soffrire in questo modo? Anche se non è affatto semplice, cerchiamo di non smettere mai di prenderci cura di noi stesse perché gli incontri sono sempre dietro l’angolo e una perdita spesso può anche rivelarsi una (nuova) conquista.

Rischi e benefici dell’allattamento al seno

Credits photo: mammaebambino.pianetadonna.it

Latte materno o latte artificiale? Questa diatriba è nata nella notte dei tempi e non mostra cenni di spegnimento. A riaccendere la questione, sono arrivate le nuove linee guida del Ministero della Salute, per le quali hanno collaborato diversi pediatri di tutta Italia. Con queste non solo si dimostrano gli effetti benefici dell’allattamento al seno (almeno per i primi sei mesi di vita del neonato), ma si prevedono anche eventuali controindicazioni sia per la mamma che per il bambino. Vediamole nel dettaglio.

Prevenzione delle patologie

I primi dati presentati nelle linee guida del Ministero della Salute sono positivi non solo per il bambino ma anche per la mamma. Nel primo caso questi dimostrano che l’allattamento al seno garantisce il 257% di probabilità in meno che il bambino sia ricoverato nel primo anno di vita per infezioni delle basse vie respiratorie, che soffra di diarrea e vomito (-178%), otite (-100%), diabete di tipo 2 (-64%), asma (-35%) e obesità (-32%). Se si parla della mamma, invece, si riduce del 4% il rischio di sviluppare un cancro al seno e del 24% il pericolo di contrarre un tumore all’ovaio.

Controindicazioni per la mamma

Esistono però anche delle situazioni, seppur rare, in cui la mamma ha pieno arbitrio di decidere se interrompere o continuare l’allattamento al seno per preservare la propria salute, come nei casi di influenza, diarrea, coliche e infezioni urinarie. L’unica clausola è di non interrompere mai bruscamente il trattamento di latte materno e abituare il bambino progressivamente. Se invece la mamma decide di ricorrere allo svezzamento vegano può farlo, a patto che compensi la mancanza del latte con alimenti ricchi di vitamina B12.

Durata dell’allattamento

Il latte materno, a differenza di quello artificiale, contiene ormoni che regolano il metabolismo e l’equilibrio fame-sazietà, per tale ragione si sostiene che l’allattamento al seno per almeno i primi sei mesi di vita sia in grado di prevenire il rischio di obesità.

Possibili allergie

L’allattamento al seno è nemico delle allergie: questo ripara infatti il bambino dall’asma fra i 5 e i 18 anni, l’eczema prima dei 2 e dalla rinite allergica prima dei 5. Inoltre – sostiene Mauro Stronati – il latte materno, fornendo al neonato piccole dosi di glutine che derivano dalla dieta materna, e alcune sostanze immuno-attive come oligosaccaridi e nucleotidi naturalmente presenti nel latte, favorisce una tolleranza immunologica nel bambino. Secondo questa tesi, dunque, il latte materno riduce anche il rischio di intolleranza al glutine.

Allattamento dei neonati in terapia intensiva

Nelle Unità di Terapia Intensiva Neonatale si allatta pochissimo: a rivelarlo è uno studio condotto su 12 centri che dimostrano che solo il 31% dei bambini che pesavano meno di 1.5kg veniva allattato al seno. Secondo le linee guida del Ministero della Salute questo è un grave errore, poiché i bambini prematuri, più di altri, hanno bisogno dell’allattamento al seno per ridurre il rischio di patologie come la setticemie e la meningite.

Banche del latte

Per fortuna che esistono le banche del latte. Ci sono mamme che, purtroppo, per diversi motivi non hanno latte sufficiente per nutrire il proprio bambino, ecco perché esistono le sopracitate banche del latte. Queste sono dei vasti rifornimenti in cui si conserva il latte donato: in Italia ci sono 32 banche per un totale di 7600 litri di latte secondo quanto indicato nel rapporto del 2011. Il nostro paese è il primo in classifica, insieme alla Svezia.

Inquinamento

L’esposizione a diossine e furani specialmente nelle zone industriali sottopone il latte materno a rischio di contaminazione: ciò non significa che sia preferibile assumere latte artificiale. Il latte materno permette infatti al bambino di compensare parzialmente gli effetti negativi dell’esposizione ai bifenili policlorurati e diossine – secondo quanto affermato dal dr. Stronati, presidente della Società Italiana di Neonatologia.

Cattive abitudini

È notizia di questi giorni l’introduzione di una normativa che vieta di fumare in macchina se sono presenti donne incinte o bambini. Sembra quasi scontato dirlo ma la donna sia durante la gravidanza che nella fase dell’allattamento dovrebbe evitare di assumere droghe o alcol non solo per preservare la propria salute ma anche affinché il bambino possa ricevere tutti i benefici del latte materno.

Controindicazioni per il bambino

Il latte materno fa bene alla salute e al benessere del bambino, ma non sempre. Esistono rari casi in cui il neonato non deve assolutamente ingerire questo tipo di latte: se la madre ha la galattosemia o la fenilchetonuria o ancora l’HTLV I e II, la brucellosi non trattata e l’HIV. Infine è vietato l’allattamento al seno se la mamma sta seguendo la chemioterapia.

Farmaci

Per le mamme che assumono farmaci in fase di allattamento arriva Lactmed, non solo un sito, ma anche un’app, grazie alla quale le donne potranno identificare il livello di controindicazioni per il bambino del farmaco assunto. La pagina è in inglese ma i risultati appaiono anche se si digita il nome del farmaco in italiano: la scheda nella schermata proporrà anche una soluzione alternativa in caso di pericolosità. Rimane comunque dovere delle mamme non affidarsi ciecamente a Lactmed e consultare sempre il parere di un medico.

Queste linee guida chiaramente non esauriscono le diverse casistiche che si potrebbero verificare: chi più di ogni altro può comprendere di quale tipo di allattamento ha bisogno il neonato e per quanto tempo è solo la mamma, insieme al pediatra. L’allattamento al seno rimane, in ogni caso, uno dei primi atti d’amore che una madre possa rivolgere a suo figlio.

Pillola anticoncezionale: ecco gli effetti sul cervello

Credit photo: www.donnaclick.it

La pillola anticoncezionale è, da sempre, uno dei metodi contraccettivi più sicuri per quanto riguarda i rapporti sessuali: il suo indice di Pearl – che indica il numero di gravidanze verificatesi in cento donne in un anno – è inferiore a 1, come per il cerotto, la spirale e l’anello vaginale. Infatti, più basso è l’indice e più è efficace la tecnica utilizzata per prevenire gravidanze indesiderate.

Sebbene la possibilità di rimanere incinta è pari all’1%, assumendo la pillola ci possono essere effetti indesiderati: vomito, nausea, aumento di peso e sbalzi ormonali che provocano cambiamenti sia sulla libido che sull’umore. Problemi questi che non sono così gravi e fastidiosi, a meno che la donna non si trovi in una situazione di sovrappeso, abbia problemi di circolazione e pressione, fumi e abbia il colesterolo abbastanza alto.

Alcune donne, però, con la pillola hanno constatato problemi di ansia e di depressione: tutto ciò potrebbe essere legato al fatto che, a causa degli ormoni contenuti al suo interno, questo metodo contraccettivo comporta delle variazioni neurologiche, in particolare l’assottigliamento di due regioni celebrali.
A svelarlo è uno studio condotto dall’UCLA – University of California – di Los Angelese proprio sulla pillola anticoncezionale e pubblicato successivamente sulla rivista Human Brain Mapping. Sono state analizzate 90 donne: 44 di esse usavano la pillola, mentre le altre non facevano uso di nessun metodo contraccettivo.

I risultati della ricerca rivelano che le due regioni del cervello – la corteccia orbitofrontale laterale, che regola le emozioni, e la corteccia cingolata posteriore, che regola la capacità di decisione – erano più sottili in quelle 44 donne che stavano assumendo la pillola in modo giusto e costante.
Per capire se queste variazioni siano permanenti o meno servirebbe, però, fare degli studi più approfonditi. Prima di tutto il campione di donne dovrebbe essere più alto e, seconda cosa, bisognerebbe capire se la pillola sia la vera causa di questi problemi in quanto lo studio dell’UCLA mette in evidenza solamente il fatto che tra i due c’è una forte correlazione.

Il rapporto sessuale perfetto è di circa 7 minuti

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La Siu – Società Italiana di Urologia – riunita in Congresso nazionale a Riccione ha effettuato un nuovo studio, con a capo il segretario generale, Vincenzo Mirone. La ricerca dal nome “Pause” è stata condotta su più di dieci mila pazienti di vari centri in tutto il mondo: lo scopo è stato quello di vedere quali effetti provocasse la dapoxetina, farmaco italiano contro l’eiaculazione precoce – problema di circa 4 milioni di uomini in Italia.

I risultati, pubblicati sulla rivista internazionale “European Urology”, svelano che la durata media, naturale e fisiologica di un rapporto sessuale è di circa 7 minuti, precisamente 6,7. Una durata che esclude i preliminari e va dal momento della penetrazione fino ad arrivare al piacere.

Cercare di prolungare questa durata, ricorrendo troppo spesso ad artifici per resistere come ad esempio il coito interrotto e poi ripreso, può provocare un’iper-disensione della prostata e scatenare infiammazioni” afferma Mirone, sottolineando proprio come cercare di prolungare il rapporto per provare più piacere può portare solo a gravi rischi per la salute maschile.
E nemmeno sostanze come alcol e droghe possono migliorare la performance: se da una parte aumentano l’eccitazione, dall’altra la prestazione diventa meno resistente e di minore qualità. E, ovviamente, in questo caso i danni non riguardano solo la sfera sessuale.

Ricordate che, come tutte le cose, anche l’amore ha i suoi tempi ed è inutile tentare di sforzare il tutto: oltre a peggiorare il rapporto, i problemi di salute aumentano notevolmente.