mercoledì, 17 Dicembre 2025

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Fumare cannabis penalizza gli studenti di matematica

Rinunciare alla cannabis può evitare una brutto voto a scuola? È risaputo che fumare, specialmente nella fase adolescenziale, aumenta il rischio di conseguenze negative sul cervello; ciò che gli studiosi invece hanno verificato solo recentemente è che questa pianta potrebbe incidere anche sull’esito scolastico degli studenti, soprattutto coloro che studiano matematica e hanno quindi necessità di mettere in moto differenti abilità cognitive.

Lo studio, di recente pubblicazione, è nato dalla considerazione degli economisti Olivier Marie dell’università olandese e Ulf Zolitz dell’Iza su quanto accaduto a Maastricht nel 2011. Qui, si era infatti deciso di mettere una restrizione sull’accesso nei coffee shops: solo chi aveva la nazionalità tedesca, olandese e belga poteva entrare e quindi consumare cannabis. Dai dati analizzati su 54000 gruppi di qualità di studenti di tutto il mondo, i due ricercatori si sono così resi conto che chi non poteva fumare durante quel periodo aveva il 7,6 di possibilità in più di superare gli esami, mentre se si trattava di prove di matematica, la percentuale aumentava di 5 volte.

Quanto emerso e riportato alla Royal Economic Society su un documento ufficiale, non voleva però essere un monito contro l’uso, bensì contro la dipendenza che, come quella dell’alcol e altre sostanze, causa perdita di concentrazione e anche di alcune funzionalità del cervello utili per rispondere in maniera precisa a determinati compiti.

A tal proposito gli esperti dicono che soprattutto nei paesi in cui la cannabis è stata legalizzata occorra un’adeguata informazione che spieghi benefici e controindicazioni, così come avviene per i farmaci.

Antecedente rispetto all’esperimento olandese si veda l’esempio degli Stati Uniti: oltreoceano si dimostrava che, col raggiungimento dell’età legale per bere bevande alcoliche, gli studenti avevano maggiori possibilità di ottenere bassi punteggi nei compiti.

Altro problema è quello che riguarda l’effettiva utilità terapeutica della pianta su bambini e adolescenti. Su questo fronte la scienza si divide tra pro e contro: nel più dei casi i contrari si preoccupano per un possibile abuso ed evidenziano la possibilità di ricorrere a cure alternative, mentre i favorevoli sottolineano le proprietà benefiche della cannabis; tra queste, la capacità di alleviare dolori e il livello di aggressività dei bambini.

Il dibattito è però ancora aperto e ricco di nodi da sciogliere. Tornando al rapporto tra rendimento scolastico e dipendenza da cannabis, alcuni studiosi hanno affermato che
l’informazione potrebbe essere la chiave per evitare un eccessivo consumo: ma sarebbe davvero sufficiente?

Il partner è il miglior personal trainer. Parola d’esperto

Con la fine delle vacanze di Pasqua sarà capitato a tutti di pensare “da lunedì inizio ad andare in palestra regolarmente” ma sapete già che quel lunedì avrà una data indefinita per mesi sul vostro calendario, almeno quanto il vostro primo giorno di dieta. Se siete tra i tanti alla ricerca di motivazione per iniziare ad allenarvi regolarmente, occhi puntati sul vostro partner, perché potrebbe davvero essere il vostro migliore personal trainer. Uno studio condotto da ricercatori israeliani dimostra infatti che se almeno uno dei due nella coppia riesce a fare con costanza attività fisica, ci sono più probabilità che anche il partner migliori le sue performance atletiche.

La ricerca portata avanti da esperti israeliani e dalla Dott.ssa Silvia Koton del Dipartimento di infermieristica all’università di Tel Aviv parte dall’analisi di alcuni registri del 1987 sui rischi di arteriosclerosi in alcune comunità. I soggetti presi in considerazione erano 15.792 persone di mezz’età, che vivevano nelle comunità del Maryland, del North Carolina, del Minnesota e del Mississipi.

L’analisi di Koton e degli altri studiosi prende però in considerazione solo i dati riferiti a 3261 coppie su due visite fatte l’una a distanza di sei anni rispetto all’altra.

Al primo esame, veniva loro raccomandato di fare almeno 150 minuti di attività fisica moderata per settimana oppure 75 minuti di esercizi intensivi o ancora una combinazione tra le due.
Secondo quanto risultava dalle indagini iniziali, dunque, il 45% dei mariti e il 33% delle mogli rispettava questo compito.

Sei anni dopo, gli studiosi furono in grado di stabilire che tra coloro che svolgevano gli esercizi consigliati, il partner uomo si adeguava ai risultati ottenuti dalla donna nel 70% dei casi, mentre le mogli che miglioravano le loro prestazioni in relazione a quelle dei mariti erano il 45%.

Risultato che ha spinto gli scienziati a concludere che fare attività fisica con il partner possa aiutare a mantenere una certa costanza. Se poi le motivazioni di carattere emotivo-sentimentale non dovessero bastare, alcuni ricercatori australiani hanno verificato che esercitarsi in maniera intensiva aiuta il corpo a mantenersi in forma e in salute per lungo tempo, anche se affetti da diabete e problemi cardiaci, ovviamente sempre sotto consultazione e osservazione di un medico.

Che aspettate allora? L’estate è alle porte e non avete più fragili scuse sulle cattive condizioni meteorologiche per rimandare gli esercizi a domani. Prendete la tuta e andate al parco o in palestra per allenarvi col vostro partner: i risultati saranno sorprendenti.

Alzarsi presto non fa bene

Ogni qualvolta una giornata produttiva si prospetta per l’indomani sappiamo bene che è di una “levataccia” che avremo bisogno. Siamo stati, per così dire, programmati per cominciare le nostre attività di mattina e finirle al tramonto, a prescindere da cosa ne pensi il nostro corpo. Perché chi dorme, è risaputo, non piglia pesci. Così, la maggior parte di noi si trova costretta a impostare la sveglia verso le 5:45, quarto d’ora più, quarto d’ora meno.

È una logica quasi impeccabile, insomma: se c’è del lavoro da fare, bisogna star svegli. Eppure, si può essere produttivi anche dormendo. Stando a delle recenti ricerche scientifiche, infatti, dormire di più al mattino è il miglior modo per incominciare la giornata. Come si spiega sul blog Life Evolver, in effetti, il concetto in sé di “alzarsi presto” non è che una credenza super-diffondibile, che in virtù degli effetti positivi che apporta si trasmette e diventa valida per un numero via via più consistente di persone.

Eppure, ci sono almeno quattro ragioni per cui davvero dovremmo dormire di più di mattina:

Non stiamo dormendo abbastanza

Generalmente, la maggior parte degli uomini e delle donne hanno bisogno dalle sei alle nove ore di sonno per essere in piena forma. Dormire è fondamentale per la maggior parte delle nostre funzioni cerebrali: attenzione, consolidazione della memoria, regolarità dell’umore e salute fisica. Perciò occorre rifletterci bene prima di svegliarsi all’alba: una grave mancanza di sonno può condurre persino a patologie quali il diabete e l’obesità.

Alzarsi non vuol dire essere svegli

A meno che non sia assolutamente necessario svegliarsi a una certa ora, come per esempio per andare a lavoro o all’Università, l’ora specifica a cui ci si sveglia non è importante. Ciò che conta davvero è che ci si alzi in armonia con il ciclo del proprio sonno – qualcosa che cioè ci farà essere più svegli e meno zombie.

Il sonno aiuta a migliorare la memoria

Il sonno può aiutare a migliorare la memoria a lungo termine, ma anche l’organizzazione dei ricordi e l’apprendimento. E questo perché nella fase REM, in cui si dorme, l’attività del sogno ci conferisce una grande produttività mentale, che funge da allenamento per l’incameramento di altre informazioni.

Il sonno fa bene all’umore e fa aumentare le proprie energie

Svegliarsi quando il corpo lo richiede naturalmente sarebbe il modo migliore per sentirsi davvero bene. Perciò la scelta peggiore che si possa fare al mattino è quella di mettere un’orribile sveglia e bere al volo un caffè per darci una scossa: il risultato? Un’adrenalina momentanea, ma destinata a estinguersi nel primo pomeriggio. Pensare, invece, di metterci a letto con qualche ora di anticipo potrebbe aiutarci a sentirci più rilassati e attivi il giorno dopo.

I fratelli maggiori sono più intelligenti, ecco perché

I fratelli maggiori sono i più intelligenti? Sì, ora è confermato. Ecco perché.

Un ricercatore dell’Università di Oslo ha dimostrato che i fratelli maggiori sono più intelligenti di quelli più piccoli. E non è una semplice opinione, o qualche modo di dire popolare. I risultati sono ufficiali, e l’esito è stato definito analizzando 250 mila QI. La causa di questo fenomeno è educativa, non biologica: infatti i primogeniti hanno, nella media, un QI di 2,3 punti più alto rispetto al secondogenito, e superiore, naturalmente, anche rispetto a tutti i fratelli più piccoli.

Peter Kristensen, il ricercatore secondogenito che ha dato vita all’analisi scientifica dell’Università, ha analizzato i test di intelligenza fatti su un campione di 250mila maschi di età compresa tra i 18 e i 20 anni e ha verificato che il valore dei QI diminuisce con l’età: ma la causa non è determinata dalla storia, dagli anni o dall’ordine con cui i figli sono venuti al mondo, ma dall“ordine educativo” scelto dai genitori, che, solitamente, non per cattiveria, egoismo o negligenza, ma per possibilità ed entusiasmo, dedicano molto più tempo e passione ai primogeniti, privilegiano i figli nati prima rispetto ai “second comers”. Il divario educativo si accentua nel caso di famiglie numerose, dove la differenza di QI tra il primo e l’ultimo figlio è di ben 2,9 punti.

Quindi, prima sei nato, più sei intelligente. E non è – sempre – questione di geni.