mercoledì, 27 Novembre 2024

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Tira fuori la lingua, ti svelerò l’allergia

Credits photo: abcsalute.it

Vuoi conoscere le tue condizioni di salute? Come diceva il medico sin da quando eri piccolo, tira fuori la tua lingua.

Sulla base delle condizioni di questa, è possibile capire infatti se si è affetti da malattie o allergie, anche senza una visita dal medico. È quanto emerso da uno studio svolto da alcuni scienziati indiani, che si sono rivolti con questo test soprattutto a quei pazienti che abitano in zone remote del mondo e non si possono permettere di chiamare un medico.

Ma la novità non è tanto questa, quanto il fatto che per il test, i medici si siano serviti di un nuovo software per la raccolta delle immagini digitali della lingua, messo a punto da Karthik Ramamurthy e Rajalakshmi Engineering College in Chennai, e Siddharth Kulkarni e Rahul Deshpande della Facoltà di Ingegneria Elettronica presso l’Università VIT.
Secondo quanto riportato anche dal giornale internazionale dell’ingegneria biomedica e della tecnologia, questo aiuterebbe ad offrire una diagnosi probabile delle condizioni di salute del paziente sulla base dell’aspetto della sua lingua. Se hai tosse, febbre, ittero, mal di testa o problemi intestinali, sarà dunque la tua lingua a dirlo. Ecco una serie di forme e colori in cui questo organo potrebbe presentarsi e le possibili malattie o allergie associate.

Partiamo dunque dall’analisi di un paziente sano: la sua lingua sarà rosa, pulita e coperta di papille gustative.

Se invece la persona in questione ha problemi di salute, la sua lingua si presenterà sotto sembianze diverse: rossa, nera o bianca con infiammazioni in caso di una malattia del paziente conosciuta come mughetto vaginale; gonfia, per indicare una condizione allergica; scolorita, se vi è stato un abuso di antibiotici oppure come segnale della crescita di funghi nei pazienti con HIV.

Se invece la lingua presenta dei grossi solchi sulla superficie, è segno di un’infezione a trasmissione sessuale, la sifilide; una lingua muscolosa e liscia rivela i valori quantitativi di vitamina B12, ferro o deficit di folati oppure anemia, mentre piaghe o grumi sulla lingua, o sanguinamento senza motivo, sono sintomi di un cancro sulla bocca, per i quali bisognerebbe fare specifici controlli – afferma il Centro di studi del Cancro dell’Inghilterra.

Queste ricerche sono state utilizzate anche per distinguere una persona che russa – con una lingua extra larga – da una che non russa – misura normale della sua lingua.
Lo studio, pubblicato sul Journal Sleep, ha confermato come essere obesi aumenti il rischio di ostruire le vie aeree durante il sonno e quindi di russare. Il vero colpevole sarebbe infatti una lingua grassa, conseguenza dell’aumento smisurato di peso.

Successivamente per dare maggior valore all’affermazione, si è fatto un confronto tra pazienti obesi e persone meno grasse: questa verifica ha scientificamete provato, per la prima volta, una chiusura delle vie di respirazione durante il momento di riposo delle persone obese. Un primato negli studi che sarebbe stato confermato da Dr. Richard J. Schwab, ricercatore del Centro Medico dell’Università della Pennsylvania negli Stati Uniti. Mentre Timothy Morgenthaler, presidente dell’Accademia Americana della Medicina del sonno ha affermato che la misura della lingua dovrebbe essere considerata maggiormente negli studi dell’Ostruzione del Sonno d’Apnea (OSA) soprattutto per gestire meglio pazienti affetti da altri disturbi cronici quali alta pressione sanguigna, attacchi di cuore, diabete e depressione.

Ma i medici hanno sempre bisogno di incrementare le possibilità di salvaguardia della persona e soprattutto di prevenzione delle malattie, perciò prossima sfida è quella di mettere a punto uno strumento che rilevi le immagini degli occhi del paziente.

Sensazione d’ansia? Ecco come combatterla

Ansia. Una parola che indica un disturbo che sta aumentando molto in fretta di questi tempi ed infatti, sempre più persone ne lamentano la presenza, a volte incessante, a volte plausibile in certe situazioni. È una caratteristica del mondo di oggi, in cui tutti si sentono un po’ sotto stress, angosciati e a volte anche depressi. Una sensazione che attanaglia più persone di quel che immaginiamo.

Sono molteplici gli studi che si sono soffermati su questa patologia “moderna” della società. E vari sono i risultati che da questi ne sono emersi.

L’ultimo viene da Binghamton University e dimostra la relazione tra l’ansia e il sonno. Si, infatti, secondo questo studio per ridurre l’ansia basterebbe concedersi qualche ora di sonno in più.

È emerso che coloro che dormono poco o che tendono a stare svegli di notte in preda alle preoccupazioni che li attanagliano sono più soggetti a soffrire d’ansia e in particolare ad essere sopraffatti da pensieri negativi.

Ma quante ore si dovrebbe dormire per combattere questa fastidiosa patologia?
Gli psicologi hanno conferito che per ridurre l’ansia è bene dormire almeno 8 ore a notte.
Inoltre questi studi hanno suggerito che dormire meno potrebbe causare anche altri danni alla salute, come obesità, depressione, cancro, diabete di tipo 2, perché sconvolge l’orologio biologico.

Jacob Nota, di Binghamton Univeristy, USA, che ha condotto la ricerca, ha detto: “Fare in modo di dormire durante il momento giusto della giornata può essere un intervento poco costoso e facilmente divulgabile per gli individui che sono infastiditi da pensieri intrusivi.”
Dr Meredith Coles, anche di Binghamton University, ha aggiunto: “Se ulteriori risultati supportano la relazione tra i tempi di sonno e il ripetitivo pensiero negativo, questo potrebbe un giorno portare a una nuova strada per il trattamento di persone con disturbi di questo tipo.”
E “già stato dimostrato che concentrarsi sul sonno ha portato alla riduzione dei sintomi di malattia mentale” ha ribadito.

Dunque niente ansiolitici o tranquillanti, ma solo una sana e piacevole dormita di almeno 8 ore, andando a letto presto. Una soluzione economica che vale la pena tentare, nella dura battaglia contro questo fastidioso nemico del benessere psico-fisico.

Quanto vivrai? Scoprilo con un esercizio

Un semplice esercizio può prevedere tra quanti anni morirai? Ebbene sì, da quando alcuni fisici braasiliani hanno creato il Sitting rising test (SRT), una prova che non solo testa la capacità di sedersi e alzarsi senza toccare alcun oggetto ma sulla base di questo anche gli anni effettivi di vita rimasti al paziente.

Inventore del test è Claudio Gil Araujo, studioso dell’Università Gama Filho a Rio de Janeiro in Brasile e medico sportivo, che ha valutato, in primis, la flessibilità dei suoi atleti; successivamente, alla luce dei risultati ha affermato che mantenere i muscoli attivi può permettere di vivere a lungo.

Da qui le ricerche si sono fatte intense e sempre più mirate sino al test su 2002 volontari di età compresa tra i 51 e gli 80 anni.
Lo scopo era quello di trovare una correlazione tra la riuscita nello svolgimento dell’esercizio e una stima degli anni di vita rimasti ai pazienti stessi.
La prova si è effettuata presso la Clinica medica dell’esercizio presso il centro di Rio. Secondo i risultati ottenuti, per i pazienti con meno di 8 punti su 10 nella valutazione finale le probabilità di morte entro i successivi sei anni erano 8 su 10, per coloro che riportavano 3 o meno di 3 punti su 10, avevano 5 possibilità in più.
Il punteggio si calcola sulla base di quante volte ci si appoggia a terra col ginocchio nella fase di rialzo e, allo stesso tempo, su quanto spesso si cercano oggetti sui quali aggrapparsi

Tale esercizio, studiato in modo tale da poter essere svolto da qualsiasi persona anche a casa propria, è stato sconsigliato a tutti coloro che abbiamo già problemi di artrite. Stando a quanto afferma il fisioterapista Sammy Margo sarebbe però ambizioso anche pensare che questa prova possa essere attendibile sui cittadini del Regno Unito, in quanto non abituati a stare seduti per terra, come avviene in altre culture.

Per tale ragione, i fisioterapisti preferiscono affidarsi a test di altro tipo. Uno tra tutti è quello che valuta quante volte i pazienti riescono ad alzarsi in piedi da una posizione seduta: si misurano così resistenza e forza delle gambe.

Ci si aspetta in questo caso che, in una fascia compresa tra i 60 e i 64, donne in buona condizione di salute si alzino in piedi 12 volte in 30 secondi, mentre gli uomini 14 volte, mentre chi ha tra i 90-94 anni, sia in grado di alzarsi e sedersi almeno 4 volte, se donna, 7, se uomo.

In conclusione il consiglio è lo stesso che Claudio Gil Araujo ha dato ai suoi allievi: tanto esercizio come base della soluzione per una vita sana, ma soprattutto lunga.

Svelato il segreto per avere un cervello in forma

www.professionistiuniti.it

Una ricerca condotta da alcuni scienziati dell’Università di Edimburgo ha dimostrato che coloro che lavorano come professionisti all’interno di un ambiente stimolante avranno un cervello maggiormente in forma alla vecchiaia, rispetto a coloro che svolgono altri tipi di lavoro in un ambiente monotono.

Il sondaggio ha coinvolto un panel di 1.066 persone nate nel 1936, alle quali sono stati somministrati periodicamente dei test dall’età di 11 anni fino all’età di 70. Le prove erano atte a testare le abilità nel ragionamento, nella memoria, nella velocità di pensiero e indagavano alcuni aspetti riguardanti l’attività fisica e la salute, la vista, la composizione del sangue e la genetica.

Usando modelli statistici, gli psicologi dell’Università di Edimburgo hanno analizzato come l’occupazione di una persona impattasse sul risultato dei test, tenendo in considerazione anche fattori connessi allo stile di vita condotto, all’educazione e al quoziente di intelligenza.

I risultati di questa indagine hanno, così, dimostrato che lavori più complessi permettono di aumentare la memoria e di proteggere il cervello dall’invecchiamento. Le professioni più adatte sono state quelle che coinvolgono attività di insegnamento e di gestione. Coloro che avevano quei lavori in cui dovevano analizzare dati o istruzioni, insegnare o negoziare con le persone avevano un piccolo vantaggio. La scoperta ha rivelato che la complessità del loro ruolo spiegava circa il 2% delle loro performance nei test di pensiero e memoria.

Il professor Ian Deary ha detto che: “E’ interessante notare come la nuova scoperta sembri apportare un piccolo miglioramento alle abilità di pensiero nella vecchiaia. Altri fattori che incidono su questo sono il non fumare, l’essere fisicamente attivi e il conoscere più di una lingua”.

Il professor James Goodwin, che ha aiutato a finanziare il progetto, ha detto che: “Capire come e perché le nostre abilità di pensiero cambiano con l’età è la maggiore sfida della salute. La relazione tra il lavoro che facciamo nella nostra vita e la salute nella tarda età è complessa, e questa scoperta è un passo avanti”.

Sicuramente anche questa ipotesi è da tenere in considerazione quando si sceglie cosa studiare e che lavoro fare da grandi. Abbiamo trovato, così, il modo per allenare anche la mente e avere un cervello che a 70 anni si può considerare ancora in forma.