martedì, 26 Novembre 2024

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I bambini si addormentano sul divano? Ecco quali rischi corrono

Chi è mamma sa benissimo quanto è difficile far prendere sonno ai propri bambini. Per comodità, a volte, risulta più semplice farli addormentare in braccio, nel lettone oppure sul divano. Molto spesso, però, senza nemmeno saperlo ci si imbatte in alcuni rischi che compromettono la vita dei neonati. Anche se l’argomento fa paura, è giusto affrontarlo. Parola agli esperti per l’ABC del sonno sicuro.

Uno studio coordinato dal Children’s Mercy Hospital di Kansas City afferma che la pratica di far addormentare i figli sul divano di casa aumenta i rischi di mortalità per il bebè. Secondo i ricercatori che hanno esaminato i dati sulle morti improvvise di ventiquattro stati americani tra il 2004 e il 2014, oltre il 12% è avvenuto su bimbi lasciati dormire sul divano, prevalentemente durante i primi tre mesi di età. “In generale i bambini erano stati messi a dormire sulla schiena – spiegano gli studiosi -, tuttavia quelli sul divano avevano un’alta probabilità di essere trovati su un fianco o a faccia in giù. I divani molto spesso sono inclinati, ed è facile per i bambini scivolare e finire con il viso contro i cuscini

Pericoloso, al contrario di come si possa pensare, è anche condividere con il proprio bambino il divano o addirittura addormentarsi assieme a lui: il Dottor Jeffrey Colvin, uno degli autori dello studio, ha così commentato: ‘ Abbiamo scoperto che un decesso su otto si è verificato sul divano e quasi il 90% di queste morti è accaduto quando un adulto condivideva quel divano con il bambino’.

Le regole per limitare i rischi di morte improvvisa esistono e sono molto semplici. Il bebè deve essere messo a dormire da solo in un lettino o in una culla, appoggiato sulla schiena e senza cuscino e senza oggetti che possono favorire il soffocamento, come i peluches.

Infine, Colvin aggiunge che le morti infantili improvvise possono accadere in qualsiasi momento della giornata, non per forza durante le ore notturne. La sicurezza prima di tutto: un ambiente in cui non si dorme tranquilli è pericoloso sia di giorno che di notte e che il genitore sia sveglio o addormentato poco importa.

Bere latte non è innaturale, la ricerca scientifica conferma

Bere latte fa bene o male alla nostra salute? Da anni si sta dibattendo proprio su questo argomento, a colpi di articoli e ricerche più o meno fondate. Se da una parte c’è chi si oppone del tutto al consumo di latte e derivati, affermando che l’assunzione di questi prodotti potrebbe essere contro natura, in quanto nessun animale adulto beve latte, dall’altra c’è chi consiglia vivamente di aumentare il suo consumo, poiché non esistono motivi salutistici abbastanza radicati in grado di suggerire di rinunciare ai latticini. La prima ipotesi è inoltre confermata dalle numerose persone affette da intolleranze al lattosio, lo zucchero presente nel latte. Ma anche qui interviene la ricerca scientifica, che avanza la propria ipotesi, affermando che in realtà il consumo di latticini apporti soltanto vantaggi all’essere umano e che la presenza del latte nell’alimentazione quotidiana è fondamentale.

Analizzando l’intolleranza al latte, si è scoperto che questa si manifesta con sintomi ben specifici, ai quali si può rimediare portando avanti una dieta adatta, che eviti il consumo di alimenti contenenti lattosio, proteine del latte e derivati. Ma da cosa è determinata l’intolleranza? Tutti i mammiferi neonati, compreso l’uomo, possiedono un enzima, la lattasi, che ha il compito di scomporre il lattosio all’interno del duodeno e nell’intestino tenue. La produzione dell’enzima tende a calare nel tempo e cessa quasi del tutto tra i 5 e i 10 anni. Proprio per questo in molte persone adulte si manifesta l’intolleranza al latte. Questa regola non vale però per tutti, in quanto chi non produce l’enzima non sviluppa necessariamente dei problemi nel consumare il latte. Non solo. Alcuni studi scientifici hanno dimostrato anche come il consumo giornaliero di lattosio possa contribuire a selezionare una flora batterica intestinale capace di alleviare i sintomi più intensi dell’intolleranza.

Inoltre l’intolleranza al latte colpisce solo una parte degli individui, poiché in quella restante è avvenuta una mutazione genetica, che ha reso l’uomo capace di digerire il latte anche da adulto. Mutazione genetica che si è poi trasmessa nel corso del tempo a una serie di individui, sviluppandosi come vero e proprio vantaggio evolutivo. Niente a che vedere con il mondo animale.

Il latte, ricco di calorie e di nutrienti ha diversi effetti benefici sull’organismo umano: la vitamina D, per esempio, regola l’assorbimento del calcio e l’assunzione regolare di latte porterebbe alla riduzione del rischio di varie malattie, come il rachitismo. Inoltre, il consumo regolare nelle quantità raccomandate, costituisce un fattore protettivo nei confronti di malattie come l’osteoporosi, l’ipertensione, il diabete, le malattie cardiovascolari e persino alcuni tipi di cancro.

Il freddo? Il miglior alleato nel bruciare i grassi

Ci siamo quasi: sta per arrivare quel periodo dell’anno in cui accendere i riscaldamenti può essere una grande tentazione. Ma resistervi potrebbe rivelarsi non soltanto un risparmio di denaro: un nuovo studio ha infatti dimostrato che le basse temperature favoriscono lo smaltimento delle calorie, trasformando i grassi cattivi in grassi buoni.

Questa recente teoria si basa sulla differenza sostanziale che esiste tra le cellule adipose bianche e quelle marroni: i grassi bianchi sono quelli che generalmente si accumulano negli odiosi rotolini di pancia e nelle temutissime maniglie dell’amore, mentre quelli marroni sono considerati grassi “sani”. Queste cellule adipose marroni sono specializzate, infatti, nel bruciare calorie producendo, appunto, calore: ad averne in maggiore quantità sono i bambini, che hanno bisogno di mantenersi al caldo, ma anche alcuni fortunati adulti, che per questo motivo hanno una silhouette più longilinea pur non facendo alcuno sforzo per mantenersi in forma.

Già studi precedenti avevano dimostrato che è possibile trasformare le proprie cellule adipose in grassi marroni grazie alle basse temperature, ma, grazie a questa recente ricerca, gli scienziati hanno inoltre scoperto il processo molecolare che al livello celebrale controlla l’assunzione del cibo, trasformando i grassi bianchi in grassi marroni. È questo un processo che influenza notevolmente la quantità di energia che consumiamo, così come la quantità di peso che perdiamo.

I ricercatori dell’Università di Yale, il cui studio è stato pubblicato nella rivista scientifica Cell, hanno dimostrato che i neuroni che controllano la fame e l’appetito possono controllare anche il processo di trasformazione che porta le cellule adipose bianche a diventare marroni. Gli scienziati hanno stimolato questo tipo di conversione nei topi e hanno, così, scoperto, che essa li metteva al riparo dal diventare obesi nonostante il regime alimentare ad alto contenuto di grassi cui erano sottoposti.

Xiaoyong Yang, professore di Medicina e Fisiologia comparata, ha affermato: “I nostri studi rivelano che la trasformazione dei grassi bianchi in marroni fa parte di un processo fisiologico estremamente dinamico controllato dal cervello. Il che significa che modifiche attitudinali al livello cerebrale possono senza dubbio influenzare lo smaltimento dei grassi che assumiamo“.

Obesity Day: giornata mondiale contro l’obesità

“Ogni quindici chili di peso in eccesso, si rischia di perdere tra gli otto e i dieci anni di vita, con un rischio di morte più elevato del 30%”. Questo l’allarme lanciato dall’OMS In occasione della Giornata Mondiale contro l’Obesità che si celebra oggi.

Distribuiti in tutta la penisola 200 centri di dietologia forniranno consulenza gratuita e distribuiranno materiale divulgativi. Non si effettueranno visite individuali, ma sarà offerta un’attività di informazione e valutazione di alcuni parametri antropometrici, quali peso, altezza e circonferenza vita per definire il livello di normopeso, sovrappeso e obesità e il conseguente rischio di sindrome metabolica.

In Italia l’obesità è la seconda causa di morte dopo il fumo. Gli obesi nel bel Paese sono più del 10%. E se aggiungiamo a questi anche le persone in sovrappeso si raggiunge più della metà della popolazione.
Dati allarmanti se si pensa che l’obesità aumenta del 90% la mortalità per problemi cardiovascolari e aumenti di 10 volte il rischio di sviluppare malattie come il diabete.
Inoltre le statistiche rivelano una predisposizione maggiore nell’uomo rispetto che nella donna, anche se di pochi punti percentuali. 11,1% vs il 9,2% delle donne.

Secondo dati dell’AIO (Associazione Italiana Obesità) “solo il 5% dei casi di obesità è causato da disfunzioni di tipo ormonale”. In altre parole, nella grande maggioranza delle situazioni riscontrate l’obesità si può combattere.
Fino ad oggi la tecnica che ha ottenuto più risultati è stata l’associazione di due campi della medicina diversi ma spesso complementare, nutrizione e psicologia.

“Nell’obesità c’è una profonda influenza di fattori psicologici. Le persone obese hanno infatti, in molti casi, sviluppato una vera e propria dipendenza dal cibo. In altre parole, assumono cibo come risposta a moltissime situazioni di stress o anche di dispiacere della loro vita. Il primo passo per rompere questo circolo vizioso è aiutare la persona obesa a entrare in contatto con le proprie emozioni e sensazioni, e aiutarla a riscoprire che la soddisfazione dei suoi bisogni non passa necessariamente attraverso il cibo.” dichiara lo psicologo Giovanni Porta.

I vantaggi di perdere peso, oltre che per la salute si vedrebbero anche dal punto di vista economico. Si pensi che perdere 7 kg per un obeso, ad esempio, significa risparmiare 380 euro l’anno in farmaci antipertensivi e anti diabetici. Nel complesso, l’obesità costa quasi 750 euro l’anno a persona, come riporta l’Ansa.

Un motivo in più che non dovrebbe neanche essere necessario per prendere una decisione che migliori la vita per sempre: dimagrire. Farlo per se stessi, per i propri cari, e perché no, anche per il proprio portafoglio.