sabato, 6 Dicembre 2025

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Il Lush Prize 2015 va a una ricercatrice italiana

È italiana la vincitrice della quarta edizione del Lush Prize: la compagnia Lush, da sempre impegnata nella produzione di prodotti cosmetici non testati sugli animali, per il 2015 ha scelto di donare la cifra di 450.000 sterline a sostegno delle realtà scientifiche che lavorano per l’abolizione della sperimentazione sugli animali e per la promozione stessa di alternative più efficaci e salutari.

Tra i vincitori del premio, che provengono da nove diversi Paesi del mondo, figura Elena Kummer, una giovane ricercatrice dell’Università degli Studi di Milano che ha messo a punto un progetto di ricerca sugli allergeni, guadagnandosi ben 10.000 sterline. “Sono davvero molto orgogliosa di questo riconoscimento – ha detto la Kummer – che potrà rappresentare un passo avanti nell’abolizione della sperimentazione sugli animali in ambito cosmetico“.

Obiettivo del progetto italiano è quello di realizzare un metodo basato sull’uso di una linea cellulare per la valutazione del potenziale sensibilizzante di composti chimici per la valutazione della loro potenza e “rimpiazzare il Test del Linfonodo Locale (Llna) in uso all’oggi che prevede l’utilizzo del topo per l’identificazione e la caratterizzazione del potenziale allergico delle sostanze immesse sul mercato”.

Il Lush Prize, in genere destina un fondo di 250.000 sterline a progetti mirati all’eliminazione della sperimentazione animale nella tossicologia, ma vista l’eccellenza dei quelli presentati quest’anno, è stato deciso di aumentare il premio di ben 200.000 sterline.

Per la presente edizione, è stato assegnato per la prima volta anche il premio Black Box a 5 ricercatori per una prima mappatura dei “passaggi chiave della tossicità umana”: è stato, infatti, sviluppato un nuovo test tossicologico che identifica come le reazioni tossiche si evolvono nell’organismo umano, senza fare riscorso alla sperimentazione sugli animali. Un altro grande passo verso un domani in cui la scienza molecolare superiore potrà sostituire del tutto l’obsoleta tecnologia dei test di laboratorio sui mammiferi vivi.

Hiv: aumentano i casi in Italia

photo credits: datamanager

In vista della giornata mondiale contro l’AIDS, che si terrà martedì 1 dicembre, il Centro Operativo Aids dell’Istituto superiore della sanità rende noti alcuni numeri riguardanti i casi di HIV e AIDS in Italia.

Ogni 100 mila abitanti si scoprono 6,1 nuovi casi di sieropositività, i più colpiti sono i giovani tra i 25 ed i 29 anni di età.
Per l’84% dei casi la trasmissione del virus è avvenuta tramite rapporti sessuali non protetti dall’utilizzo del preservativo, sia all’interno di rapporti eterosessuali ed omosessuali uomini. Nella maggior parte dei casi, i pazienti hanno riscontrato la loro sieropositività eseguendo il test per svariati motivi.
Solo il 26,4% ha effettuato il test a seguito di una sintomatologia che facesse pensare al virus dell’HIV. Il 21,6 % ha eseguito il test dopo un comportamento a rischio e il 10% ha scoperto di essere affetto durante accertamenti per un’altra patologia.

Parlando invece dell’incidenza del virus, l’Italia è al dodicesimo posto in una classifica che comprende tutti i paesi dell’Unione Europea. Un dato importante e comunque allarmante che si concentra maggiormente in alcune regioni della penisola, come Lazio, Lombardia ed Emilia-Romagna.

Diminuisce l’incidenza sulle donne affette da HIV in Italia ed i decessi delle persone colpite da questa malattia.
Il 27,1% delle persone positive al virus nel nostro paese è di nazionalità straniera, con una maggiore incidenza nelle regioni di Lazio, Campania, Molise e Sicilia. Tra gli stranieri, però, la percentuale maggiore dei casi è costituita da eterosessuali donne.

Risulta preoccupante il fenomeno della scoperta della malattia in tempi lunghi e di conseguenza un intervento che spesso giunge in ritardo rispetto alla sua diffusione.
L’unica soluzione per proteggere la nostra salute e noi stessi in maniera completa, rimane il preservativo. Ricordiamocene sempre e non solamente in prossimità della giornata mondiale contro l’AIDS.

La Tailandia ha qualcosa che tutti dovremmo invidiare

La Tailandia ha qualcosa in più, più di tutti quanti i paesi del mondo. Che noi non ci saremmo mai aspettati di trovare. La Tailandia è un paese che sa ridere, e lo vuole insegnare a tutti noi.

Sembrano essere tutti allegri, tutti divertiti. Ci sono tanti sorrisi e buonumore nell’aria. Naturalmente, le persone si divertono ovunque. Ma in Thailandia è diverso. Ogni cultura ha una parola per indicare il divertimento, basti pensare all’inglese “fun”, ma la parola tailandese usata per indicare quel significato, sanuk, ha un senso differente: indica “un’attività intrinsecamente preziosa”.

Sanuk si può trovare dappertutto in Tailandia: nei negozi, per le strade, nei luoghi pubblici. “La traduzione di ‘divertimento’ non rende giustizia davvero alla parole sanuk”, ha detto William Klausner, un antropologo americano che ha vissuto in Thailandia per decenni. “Non si riesce a catturare la magia di questo aspetto piuttosto unico della cultura tailandese”, ha commentato.

I viaggiatori possono vedere sanuk in piena fioritura durante il festival annuale per il Capodanno di Songkran. In Thailandia qualsiasi cosa si faccia deve possedere una certa dose di Sanuk, anche il lavoro, per quanto duro e pesante possa essere. Questo spiega perché la maggior parte dei volti in Thailandia sia caratterizzato dal sorriso, proprio perché questo popolo tende ad affrontare i propri compiti con atteggiamento allegro e ottimista.

Battersi per le donne, con le donne

Credit: vogue.co.uk

Il 25 novembre è la Giornata mondiale per l’eliminazione della violenza contro le donne. Ma quali sono i loro diritti?

Sempre più spesso umiliate, distrutte, oppresse, taciute, violentate, (ab)usate. Siamo nel 2015 e ci sembra di essere tornati all’epoca in cui le donne non potevano neanche votare, o portare la gonna sopra il ginocchio. Ci sembra di essere tornati indietro nel tempo, in una sorta di flashback moderno in perenne bilico tra ciò che era e ciò che ne sarà. Perché, a volte, oppure molto spesso, oppure sempre, non servono le belle parole per apparire, agli occhi degli altri, migliore. E i finti buonisti non mi sono mai stati tanto simpatici. Ora, più che mai, serve qualcosa di concreto, qualcosa di più, qualcosa di vero.

Le tappe dell’emancipazione femminile si sono susseguite una dietro l’altra con un ritmo incalzante. Il ruolo della donna, oggi, è arrivato ad un obiettivo storico: il pieno riconoscimento in tutte le società occidentali (tranne qualche eccezione). Il problema rimangono le culture altre. Quello che ci rimane è lottare anche per loro. Affinché le donne, domani, possano essere le stesse, uguali a loro e uguali a tutti gli altri.

Tra le tante donne che ce l’hanno fatta dobbiamo assolutamente ricordare Hausa Ibrahim, vincitrice del premio Sakharov 2005 e prima donna avvocato in Nigeria. Oggi Hausa difende i diritti delle persone che non potrebbero in nessun modo avere alla giustizia a causa dell’analfabetismo.

Malala Yousafzai, vincitrice del premio Sakharov 2013, è il simbolo della lotta a favore del diritto delle donne/ragazze all’istruzione. Ha scritto un blog anonimo e tantissimi discorsi pubblici quando il regime dei talebani ha vietato il diritto all’istruzione delle ragazze nel suo paese, il Pakistan. Sopravvissuta a un attentato compiuto da uomini armati del regime talebano mentre tornava a casa da scuola nel 2012, Malala si è dimostrata più determinata che mai nella sua lotta a favore dei diritti di istruzione, libertà e autodeterminazione delle donne. “Con le armi si possono uccidere i terroristi, con l’educazione si può uccidere il terrorismo”, ha detto.

Emma Watson, nuova ambasciatrice del settore UN Women delle Nazioni Unite. Lei promuove la campagna “He for She” (“lui per lei”) che si rivolge soprattutto agli uomini, invitandoli a fare qualcosa per ridurre le disuguaglianze di genere. Nel suo famoso discorso ha dichiarato: “I miei genitori non mi hanno voluto meno bene perché sono nata femmina; la mia scuola non mi ha limitata perché ero una ragazza; i miei maestri non hanno pensato che sarei andata meno lontano nella vita perché un giorno avrei potuto avere un figlio. Queste persone erano i miei ambasciatori della parità tra i sessi e mi hanno resa la persona che sono oggi. Uomini, vorrei cogliere questa opportunità per farvi un invito formale. La parità di genere è anche un problema vostro. Se smettiamo di definirci l’un l’altro in base a cosa non siamo, e cominciamo a definire noi stessi in base a chi siamo, possiamo essere tutti più liberi.

Michelle Hunziker è un’altra delle tantissime testimonial che, più di tutte, hanno voluto urlare un secco e forte “NO” alla violenza sulle donne: tutto grazie alla sua fondazione Doppia Difesa che assiste molte donne e mamme vittime di violenza. “Il percorso al termine del quale le vittime decidono di presentare denuncia per le violenze e gli abusi subiti è spesso lungo e faticoso: hanno paura di dire la verità sulle percosse e sui lividi del corpo, molte subiscono da talmente tanto tempo che non sono più consapevoli di essere vittime, pensano addirittura di esserselo meritato. Oppure le donne che subiscono in silenzio, che non hanno il coraggio di denunciare. Ecco, dobbiamo farlo per loro”, ha commentato la showgirl.

E se non ci sono loro, ce ne sono e ce ne saranno tante altre. Perché qui non si tratta di femminismo urlato a voce grossa. Qui si parla di diritti, e del diritto di essere donna. Una persona, un’esistenza, un soggetto. Non un oggetto.

[Fonti: europa.eu; ilpost.it]