venerdì, 7 Marzo 2025

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Dormire ‘senza veli’ è il segreto per un matrimonio felice

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Il segreto per un matrimonio felice è dormire nudi. A confermarlo è il risultato di un sondaggio condotto su mille britannici per conto della Cotton Usa.

Secondo questo studio, le coppie che a letto non indossano niente sono molto più soddisfatte del loro rapporto rispetto a quelle coppie che invece usano pigiami, tute o camicie da notte: infatti i vestiti rappresentano una barriera tra i partner. Dormire nudi, invece, aiuta a migliorare la relazione con il compagno/a, ma anche il rapporto con il proprio corpo.

In particolare, dal risultato di questo sondaggio emerge che tra gli intervistati, il 57% di coloro che dormono nudi ha dichiarato di essere felice della propria relazione. A questo proposito, Stephen McKensie, uno degli intervistati, ha detto: “Dormo nudo da sei anni ed è molto più comodo del pigiama o dei boxer. Anche mia moglie non indossa nulla e non siamo mai stati più felici. La nudità aiuta a rilassarsi“.

Inoltre, Stephanie Thiers-Ratcliffe della Cotton Usa, che ha commissionato il sondaggio, ha affermato che ci sono altri fattori molto importanti che possono influenzare il successo – o il fallimento – di una coppia. Uno di questi è l’ambiente della camera da letto: dal sondaggio è stato segnalato che l’uso di lenzuola morbide e aumenta l’intimità tra i compagni e fa si che la relazione sia più felice e soddisfacente.

Altro fattore che influenza un rapporto sentimentale è il comportamento del partner nella camera da letto. La metà degli intervistati si irrita se il partner mangia nel letto, il 59% odia che si getti la biancheria intima – sporca – sul pavimento e il 33% non sopporta che la sua dolce metà dorma con i calzini.

Fifa sotto accusa per partner pro obesità

La Lancet e il British Medical Journal, tra le riviste mediche più autorevoli al livello internazionale, hanno sollevato una dura polemica ai danni della Fifa per aver incluso tra le aziende partner dei Mondiali 2014 la Coca Cola, la McDonald’s e la Budweiser. Thiago Hérick de Sà, nutrizionista dell’Università di San Paolo, afferma infatti nel suo articolo apparso su Lancet che questo genere di sponsorizzazioni compromettono seriamente tutti i progressi che la comunità medica internazionale è riuscita a raggiungere nel corso della sua difficile lotta contro l’obesità e della promozione costante di abitudini alimentari sane. Anche il British Medical Journal, dal canto suo, ha posto l’accento sui rapporti economici che intercorrono tra la Fifa e l’azienda Budweiser e sull’opinabile abbinamento tra sport e alcol: qui ci si chiede, inoltre, come mai in Brasile le tasse di importazione sulla birra previste abbiano tardato nell’essere adottate proprio in concomitanza con l’importante manifestazione ospitata.

Del resto, farsi pubblicità nel corso di eventi sportivi, e soprattutto calcistici, è qualcosa che fa decisamente gola alle grandi multinazionali: non a caso la McDonald’s sponsorizza i Mondiali dal 1994, mentre la Coca Cola, oltre a fare altrettanto dal 1978, è addirittura partner dei Giochi Olimpici dal lontano 1978. Relazioni saldamente intessute, dunque, che non rincuorano affatto l’Organizzazione Mondiale della Sanità, secondo i cui dati rispetto al 1980 le persone che soffrono di obesità risultano effettivamente raddoppiate: ciò significa che circa la metà degli adulti è in sovrappeso e che problemi affini all’obesità affliggono il 30% dei bambini, una percentuale che peraltro continua ad aumentare in maniera preoccupante.

Duramente criticate anche le campagne di promozione riguardanti l’attività fisica poste in essere dalle aziende che hanno sponsorizzato i mondiali: queste hanno, infatti, il chiaro intento di dissimulare l’incidenza che un’alimentazione scorretta può avere nello sviluppo di patologie legate all’obesità, da attribuirsi – a loro avviso – esclusivamente alla sedentarietà. Stando al parere degli esperti in materia, tali aziende dovrebbero assolutamente evitare di commercializzare i propri prodotti durante le grandi manifestazioni sportive: una rinuncia che non sarebbe neanche così disastrosa in termini economici, se si considera che durante le Olimpiadi di Londra 2010 le pubblicità di junk food non costituivano che il 2% di quelle totali.

Le variazioni di temperatura fanno bene alla salute

Siamo tutti abituati a pensare che la normale temperatura corporea sia quella che si aggira attorno ai 37º. Sempre attenti alle sue variazioni, reagiamo sintomaticamente agli sbalzi con le sensazioni di caldo o freddo, davvero insopportabili in alcuni momenti.

E se scoprissimo che queste variazioni indicano uno stato di buona salute e, in certi casi, tendano anche a migliorarla?

Il DailyMail, ha stilato un elenco di effetti positivi, del caldo o del freddo, sul nostro organismo sfatando alcuni miti che accompagnano da sempre le storie della temperatura corporea.

Innanzitutto è necessario precisare che la temperatura corporea standard nota a tutti, è quella fissata nel XIX secolo dal dottor Carl Wunderlich a 37º. Una rivisitazione del suo studio, effettuato su migliaia di pazienti, ha precisato che la temperatura corporea ideale è fissa a 36,8º.

Di lì, anche delle leggere variazioni, possono incidere influentemente su svariate situazioni. Così un lieve innalzamento della temperatura, la cosiddetta febbre, aumenterà le nostre difese immunitarie, debellando i virus presenti all’interno dell’organismo. O una temperatura più elevata, nella donna, indicherà il periodo di maggiore fertilità, a causa della presenza del progesterone. O, ancora, che una temperatura corporea più bassa, nell’uomo, ne incrementi la capacità di concepimento: i testicoli dovranno misurare almeno due gradi in meno rispetto al resto del corpo, per garantire la perfetta mobilità degli spermatozoi.

Anche con il variare dell’età, la temperatura varia in maniera inversamente proporzionale. Più frequenti saranno i casi di ipotermia negli anziani, così come quelli di sudorazione con temperature esterne elevate.

E il periodo delle vampate di calore per eccellenza, la menopausa, non può non essere citato. La temperatura della donna si innalza anche di nove gradi durante una vampata, indicativamente nel tardo pomeriggio (18.25, secondo gli studi). Ma questa pesante variazione, indica anche una buona salute a livello cardiovascolare, con una riduzione delle malattie cardiache davvero notevole.

Interessante è ancora vedere, come informa uno studio pubblicato dalla rivista Cell, quanto la sensazione di freddo possa contribuire al dimagrimento. Il corpo per riscaldarsi dovrà consumare calore, tendendo a trasformare il grasso bianco, in eccesso, in una forma, definita grasso beige, molto vicina al grasso bruno e quindi indispensabile e a disposizione della termogenesi.

Insomma pro e contro, caldo e freddo, uomo e donna, giovane o anziano: l’antitesi della vita, si specchia nel nostro organismo.

Scoperta l’area del cervello che dopo una sbornia dice ‘mai più’

Lo scenario del post-sbornia è un classico. Forte mal di testa, nausea e la solenne promessa di non toccare mai più una bevanda alcolica. O almeno fino a quando non ci si ristabilisce completamente e si passa un’altra serata in compagnia dei propri amici, quando le esperienze passate diventano solo un vago ricordo (nel migliore dei casi). Tutto si ripete poi in un ciclo di giuramenti, promesse e preghiere, che in fin dei conti non vengono mai mantenute. Ora sappiamo però anche chi è il responsabile di quel senso di colpa, che porta il nostro cervello a rifiutare nei momenti successivi alla sbronza, qualsiasi tipo di bevanda alcolica.

I neuroscienziati dell’University of Utah hanno infatti scoperto che la zona responsabile di questa particolare reazione è proprio la habenula laterale, la quale aiuta ad associare i postumi di una sbornia con il desiderio di non bere più. “Nelle persone l’escalation del consumo è ciò che, alla fine, separa il bevitore sociale dall’alcolizzato”, ha spiegato sul Daily Mail il neurobiologo Sharif Taha.

La ricerca, pubblicata online su Plos One, ha dimostrato che questa area del cervello è attivata dalle brutte esperienze e che i risultati suggeriscono che, senza quella particolare zona del cervello “accesa”, si finisce per bere di più, perché non si impara a evitare i problemi che nascono e si manifestano nel dopo sbornia.

L’obiettivo dello studio è però molto più mirato di quello che potrebbe sembrare. Infatti la speranza è quella di riuscire a trattare in maniera più efficiente il problema dell’alcolismo e quindi tutto quello che ne comporta.

L’habenula laterale non sarebbe però responsabile solo di questo tipo di comportamento ai postumi della sbronza. Questa piccola area del cervello influenza numerose decisioni e a essa sarebbero legate anche la depressione e i comportamenti antisociali.