venerdì, 5 Dicembre 2025

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Pasti abbondanti per tenere sotto controllo peso e glicemia

Al bando le privazioni: stando alle ultime scoperte in campo scientifico, una colazione nutriente ed un pranzo abbondante aiutano ben più di sei piccoli pasti al giorno a tenere sotto controllo il peso e i valori glicemici – un grosso beneficio senz’altro per i diabetici, ma anche per tutti quanti provino a dimagrire.

Dei ricercatori olandesi, nel corso dei loro studi, hanno infatti dimostrato che il consumo frequente di cibi ad alto contenuto di grassi e zuccheri aumenta i livelli di colesterolo e favorisce la concentrazione di adipe attorno alla vita – inconvenienti in cui invece non si incorre se si consumano pasti abbondanti. Le più recenti ricerche, condotte in Repubblica Ceca, hanno previsto il monitoraggio di 54 pazienti affetti da diabete, di età compresa tra i 30 e i 70 anni: ai soggetti esaminati è stato richiesto di seguire l’una tra due diete, ciascuna contenente 500 calorie in meno rispetto al quantitativo giornaliero raccomandato. Un gruppo di 27 persone, così, ha scelto di consumare sei piccoli pasti per tre mesi, mentre quelle appartenenti al secondo hanno preferito portate abbondanti a colazione e a pranzo. Frattanto, il team dei ricercatori ha analizzato i valori relativi ai grassi ingeriti, all’insulina e alle cellule beta presenti nel pancreas (che, appunto, producono insulina): lo studio – pubblicato nella rivista “Diabetologia” – ha così dimostrato che la perdita di peso registrata in entrambi i gruppi di pazienti era decisamente più evidente tra coloro che avevano scelto di consumare due pasti abbondanti al giorno. Questi, infatti, hanno perso 3,7 kg – contro i 2,3 di quelli che hanno consumato piccoli pasti lungo l’arco di tutta la giornata.

Lo studio ha riportato di significativi benefici anche per quanto riguarda i livelli di glucagone e di peptide C (proteina coinvolta nell’assimilazione dell’insulina) nel caso di coloro che hanno scelto i due abbondanti pasti quotidiani: risultati promettenti che andranno presto a essere supportati da ulteriori studi a lungo termine che potranno finalmente fornire indicazioni precise sulla frequenza da seguire nel consumo dei pasti.

Informarsi sul web, tra bufale e pseudoscienza

Nell’era dell’informazione, sviluppare una capacità critica medio alta è un meccanismo di difesa necessario, se non fondamentale, per la sopravvivenza razionale in rete.
Veniamo letteralmente bombardati da notizie di qualsiasi tipo, dai titoli più disparati studiati a puntino per catturare la nostra attenzione e soprattutto la nostra fiducia. Articoli, commenti o relazioni che con l’appoggio di presunti studi scientifici (che danno sempre una certa credibilità a qualsiasi cosa si scriva) sfornano ogni giorno nuove cure contro tutti i malesseri.

Sembra quasi che non ci si voglia rendere conto che le notizie, una volta buttate nel calderone virtuale, arrivano pur sempre a persone reali, in carne e ossa che possono riporre speranza e fiducia in notiziole che riguardano la loro salute. Al di là dello schermo ci sono persone appartenenti a qualsiasi livello sociale, culturale o intellettuale che sia. Persone esperte o meno esperte in campo medico o scientifico, persone più o meno scettiche.

Il cibo x fa venire il cancro” o “l’ingrediente y protegge dalle malattie cardiache” sono i classici titoli che scorrono davanti ai nostri occhi migliaia di volte. Si tratta di una vera e propria catena di disinformazione scientifica, costituita da notizie sensazionalistiche e ingigantite a proprio piacimento, spesso riprese da fonti non attendibili.

Notizie che, sfociando nell’incredibile, finiscono per convincere tantissime persone della veridicità di questi ‘studi rivoluzionari’. Farsi imbrogliare navigando in Internet o seguendo programmi televisivi è molto facile, così come è all’ordine del giorno credere a cose inesistenti o che sembrano vere, ma non sono tali.

Spesso l’inconsapevole desiderio che qualcosa di sensazionale sia finalmente accaduto (nell’ambito delle cure mediche o delle scoperte scientifiche) ci rendono più vulnerabili e propensi a credere a qualcosa che dovrebbe in realtà suscitare solo dubbi. Ecco che si finisce per credere alle diete più disparate, vegane o vegetariane, alle cure miracolose e a tutte quelle bufale o mezze verità in grado di mettere in dubbio tutto, con una grande leggerezza.

Si procede sulla scia del ‘Mi hanno detto che..‘, ‘l’ho letto lì..‘, ‘lo hanno detto su..‘, senza capire quale è la verità, se ne esiste una e soprattutto di chi ci possa veramente fidare. Non c’è quindi da meravigliarsi se si è sempre più confusi davanti a questo continuo bombardamento di informazioni.

I casi di disinformazione in Italia sono numerosi. Come non ricordare il metodo Stamina (presunto trattamento che sarebbe dovuto essere in grado di trasformare le cellule staminali mesenchimali in neuroni capaci di curare svariate malattie) che ha illuso tantissime persone, bocciato dal ministero della Salute e bollato infine come inconsistente e potenzialmente pericoloso.
Per non dimenticare poi l’ultimo servizio de Le Iene, andato in onda lo scorso 7 maggio, su alimentazione, tumori e altre malattie, in cui il programma ha nuovamente preso nel mirino la dieta vegana/vegetariana e i suoi presunti poteri anti-tumorali, portando a supporto della tesi The China Project. Si tratta di uno studio, considerato da molti esperti ricco di errori, forzature e incoerenze, quindi usato erroneamente per la fruizione di messaggi allarmanti.

E quindi, come è possibile capire i modi e gli approcci per svelare i tentativi di imbroglio? Come possono le persone incompetenti in materia capire la veridicità delle informazioni che percepiscono quotidianamente?

Esiste un gruppo composto da giovani studenti universitari, professori e giornalisti che si è mosso proprio in questo ambito, con il fine di sensibilizzare, ma soprattutto informare su come ci si debba orientare tra scienza e pseudoscienza, tra bufale e verità. Il progetto intitolato “La bufala è servita” è stato promosso da Italia Unita Per La Scienza e andrà in scena in tutta Italia dal 19 al 24 maggio.

Il loro obiettivo è quello di condividere la scienza non solo con gli appassionati o gli esperti in materia, ma anche e soprattutto con chi ne ha paura, con chi non si fida e non sa come comportarsi. Un modo questo per imparare a non allarmarsi davanti alla tv, per capire se chi parla è più o meno competente, per potersi fare una propria opinione davanti a una notizia, salvaguardando in primis la propria salute.

#WEARENOTPROANA: “Una vita vale un pugno di calorie?” (FOTO)

Credit Photo: Facebook

#WEARENOTPROANA

La potenza del web oggi è l’unico dato chiaro a tutti.
Ma non bisognerebbe mai dimenticare che quella rete virtuale di milioni di utenti nasconde delle vite, spesso fragili.
Questo hashtag raccoglie la volontà di molti di far luce su una parte di web che, con molta indiscrezione, è riuscita a creare dei veri e propri gruppi “pro-ana”.

Cosa significa questo acronimo? “Pro-anoressia”.
Nonostante questi gruppi siano difficili da trovare, hanno ormai raggiunto numeri spaventosi di fallowers, tutti pronti a seguire il decalogo dell’anoressia.
I dieci comandamenti che inducono, dunque, ad una malattia vera e propria, sono tutti simili a questi:

1) Se non sei magra, non sei attraente.
2) Essere magri è più importante che essere sani.
3) Compra dei vestiti, tagliati i capelli, prendi dei lassativi, muori di fame, fai di tutto per sembrare più magra.
4) Non puoi mangiare senza sentirti colpevole.
5) Non puoi mangiare cibo ingrassante senza punirti dopo.
6) Devi contare le calorie e ridurne l’ assunzione di conseguenza.
7) Quello che dice la bilancia è la cosa più importante.
8)Perdere peso è bene, guadagnare peso è male.
9) Non sarai mai troppo magra.
10) Essere magri e non mangiare sono simbolo di vera forza di volontà e autocontrollo.

Di anoressia si muore

Dietro questo fenomeno si nascondono più di una problematica sociale.
Dalla voglia di inseguire la perfezione fino al punto di perdere di vista la linea che separa ciò che è sano, da ciò che, invece, diventa pericoloso per la nostra vita. Alla necessità di non sentirsi soli in questa lotta incosciente che sotto il nome di chili in eccesso, nasconde in realtà una solitudine oltre misura. E non da meno è il bisogno di avere dei seguaci in questa vita virtuale, in cui veder crescere in modo esponenziale i numeri dei nostri fallowers potrebbe rivelarsi l’undicesimo comandamento.

È da tutto questo che nasce il progetto #WEAREPROANA.

Lo scopo di questo progetto fotografico è quello di bloccare tutti i blog “pro-ana” rintracciando gli indirizzi IP di chi li gestisce.
Chi gestisce questi blog incita i propri seguaci al consumo di un apporto calorico che va dalle 150 alle 500 calorie al giorno. Propone l’utilizzo di chat tramite WhatsApp per essere sempre monitorati. Chi gestisce tali blog, ha un’identità sconosciuta, ma un potere psicologico su chi li segue che mette a rischio persone, spesso adolescenti, con disturbi alimentari.

Per perdere peso non è necessario perdere la vita.

Il numero degli aborti aumenta a causa della disinformazione

È tra le scelte più difficili della vita, ma condizioni personali, economiche o lavorative spesso costringono a prenderla: parliamo degli aborti e del loro incremento causato, secondo le ricerche, dalla disinformazione sull’evoluzione della fertilità in un’età relativamente tarda, ossia dopo i trentacinque anni.

Secondo il British Pregnancy Advisory Service, le donne non si servirebbero di metodi contraccettivi, tra i trenta e i quarant’anni, perché convinte di essere in un’età troppo matura e quindi meno fertile.

Una supposizione fondata, ma non abbastanza da ritenere che l’unico modo per essere fecondate sia la IVF. Un’esagerazione senza basi e contro i dati sulla sempre crescente età di maternità, alimentata dagli avvertimenti di esperti della fertilità, che sembrano promuovere altre tecniche di fecondazione, divulgando dichiarazioni ingannevoli per il pubblico femminile medio e disinformato.

Le cifre divulgate dal Dipartimento della Sanità britannico, sembrano essere in costante aumento. Dal 2001 il tasso è cresciuto del 15,5% per le donne di età compresa tra i trenta e i trentaquattro anni, e del 6% per le over trentacinque. Per non parlare del numero delle gravidanze over quaranta, raddoppiate rispetto alle stime di un ventennio fa e maggiori rispetto al numero delle gravidanze delle giovani ventenni.

Ma la ricerca della BPAS è andata ancora più in profondità, riuscendo a confermare come l’aumento delle gravidanze e dei conseguenti aborti, sia dovuto ad un rifiuto della contraccezione da parte delle trentenni.

Ann Furedi, capo esecutivo della BPAS, dichiara a DailyMail come le campagne pro fecondazione in vitro stiano avendo un impatto reale sulla società e sulle donne, che credono di perdere la fertilità con l’avanzare dell’età. Consigliato è invece scegliere un metodo contraccettivo adatto, prima della menopausa.

C’è da augurarsi, dunque, maggiore informazione e attenzione da parte delle adulte, poiché l’aborto è e sempre sarà un diritto, ma resta anche un omicidio.