venerdì, 3 Maggio 2024

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Andrea Passador: ‘da quando scrivo post ironici sul web mi prendono tutti sul serio’ (INTERVISTA)

Credit Photo: Facebook

Andrea Passador è un blogger.
Uno di quei socialite che quando muove la penna sul web fa rumore. I suoi post sono un concentrato di ironia e disamina – pungente – della società moderna. Ma di lui cosa sappiamo? Di certo che è una persona che mantiene le promesse. Presenta il suo blog “L’Oltreuomo” dicendo:

“Sono l’Oltreuomo. Imparerete ad amarmi”

E dato il suo successo in rete non possiamo dire il contrario. Il resto lo ha raccontato in esclusiva a noi di Blog di Lifestyle.

Ti conosciamo per colui che in 20 punti riesce a raccontare in modo ironico e tagliante luoghi comuni che catturano il web. Ma oltre lo schermo, chi è Andrea Passador?

Sostanzialmente un fallito. Vorrei argomentare questa risposta con esempi e aneddoti vari ma l’essere fallito non pretende spiegazioni, è evidente.

“Oltre l’uomo” cosa c’è? A parte una donna che “merita di meglio”, ovviamente.

Questa è la tipica domanda da fare ad una persona intelligente o ad un professore di filosofia. Non essendo nessuna delle due rispondo affermando che secondo me Prandelli doveva convocare Giuseppe Rossi se voleva qualificarsi alla fase finale dei Mondiali.

Ormai sul web sei un personaggio.
Un personaggio noto, s’intende. Ti copiano i post, usano le tue frasi, un giorno ti studieranno sui libri di scuola. Ma in una vita improntata tutta sull’ironia ti capita di non essere preso troppo sul serio?

Sono abituato a non essere preso sul serio quindi il blog non ha fatto altro che esasperare questo aspetto della mia vita, anche se devo dire che paradossalmente da quando scrivo cazzate in Internet mi prendono più sul serio rispetto a prima.

“Attore, scrittore, musicista, poeta, giornalista freelance e attore teatrale” non sei nulla di tutto ciò. Ma cosa sogni di diventare?

Il sogno più recondito della mia vita è continuare a restare “niente di tutto ciò” guadagnando milioni di euro al mese. Se c’è un’epoca in cui tutto ciò è possibile è proprio questa.

Osannato sul web. Attraverso i tuoi post tutte ti amano. Nella vita riscuoti lo stesso successo con le donne?

No perché appena mi vedono in faccia scappano come se avessero visto il fantasma di Gasparri. No scherzo, a chi non piace Gasparri?

“Ironico è bello”.
E se con l’ironia non possiamo salvare il mondo, quanto meno ci salviamo un tuo post. Saluti i nostri lettori?

Saluto i vostri lettori che in questo momento si staranno chiedendo perché hanno intervistato una persona così priva di contenuti e di forma. Avete ragione voi.

Nonsoloturisti: “State per partire? Se possibile non fate il biglietto di ritorno!”(INTERVISTA)

Girovagando sul web in cerca di viaggi sono ‘inciampata’ nella pagina facebook “Non solo Turisti”. Mi ha subito colpito per un motivo: al contrario di altre mille pagine in tema di viaggi non solo Turisti racconta emozioni.
Racconta tramite foto, descrizioni, consigli. Sono stata subito catapultata a Fuerteventura, per poi volare negli Stati Uniti, passando per San Francisco, Parigi e ancora ritrovarmi pagina dopo pagina in India, Egitto, in Canada rapita dalle maestose cascate del Niagara e incantata dai paradisi naturali della Polinesia.
Non riuscivo più a tornare a casa.

Su Blog di Lifestyle l’intervista a Flavio Alagia, che si occupa dei contenuti della pagina web, di questo diario di bordo che pullula di esperienze, di bellezze naturali, di amore, amore puro per la vita, una vita dedicata a viaggiare.

Vi presentate ai nostri lettori?

Mi chiamo Flavio Alagia, ho un’età compresa tra i 20 e i 40 anni che non intendo specificare, amo viaggiare e mettermi nei guai in modi originali e tragicomici in paesi che la maggior parte delle persone farebbe fatica a individuare sulla mappa. Dopo una laurea di dubbia utilità in giornalismo mi sono immolato in varia misura nell’ufficio stampa dell’Università degli Studi di Verona, in un quotidiano locale sempre nella città scaligera, in una rivista edita da una ONG in Sudafrica. Marco Allegri, il fondatore di NonSoloTuristi.it, mi ha adescato un paio d’anni fa. Da allora scarico le mie manie di protagonismo sul web e impongo la mia tracotante autorità sui nostri collaboratori. Insomma sono il responsabile dei contenuti di NonSoloTuristi.it.

Come nasce NonSoloTuristi.it?

NonSoloTuristi.it nasce come un diario di viaggio, un travel blog personale della coppia italo-britannica Marco e Felicity. I due-cuori-e-un-biglietto-aereo erano partiti nel 2010 per un viaggio intorno al mondo e ne narravano le tappe sul sito e sulla sua versione anglofona ThinkingNomads.com. Quando si sono accorti di avere un certo seguito – complici anche le loro esperienze passate nel marketing online e nel social media management – si sono detti “col cavolo che torniamo a lavorare in ufficio!”, e da allora hanno fatto della nostra piccola zattera virtuale un luogo in cui condividere esperienze, consigli, immagini, racconti e notizie.

Il successo sul web è notevole, quasi 12 mila mi piace: come vi spiegate questo successo?

Dei 12.000 contatti su Facebook siamo ovviamente molto orgogliosi, così come dei 3000 che ci seguono su G+ e degli 86.000 su Twitter. I numeri, però, servono solo per mandare avanti il carrozzone, senza di essi non potremmo presentarci ai nostri sponsor con il petto dovutamente in fuori per esigere le scarsissime risorse che ci consentono di andare avanti. Il vero successo è l’interazione con i nostri lettori, la fiducia che ci dimostrano quando ci chiedono consigli per i loro prossimi viaggi, l’affetto che ci sorprende nel leggere un commento ad un articolo appena pubblicato, il contributo generoso e spontaneo di decine e decine di viaggiatori.

Si tratta di un rapporto delicato ma molto importante che è stato costruito giorno dopo giorno puntando sulla passione che ci anima in viaggio e davanti alla tastiera; sulla coerenza e l’impegno nel cercare di dare voce a tutti; sulla trasparenza – mai abbastanza, ma sempre inseguita – nel riportare fatti e giudizi con onestà e coraggio; sulla scelta spesso criticata di favorire un approccio più professionale, che valorizzi anche linguaggio e forma, senza indulgere in toni troppo emotivi o accentuati personalismi.

Quali destinazioni, mete, Paesi vi hanno colpito maggiormente e perché?

Questa è l’eterna domanda a cui probabilmente non sapremo mai dare una risposta soddisfacente. Ogni luogo ha in sé un po’ di magia che si rivela al momento opportuno a chi ha gli occhi e il cuore per coglierla. Di recente Marco è stato nel freddo Nord, in Islanda e Norvegia, tra ghiacciai, aurora boreale, sole di mezzanotte ed altre incredibili meraviglie. Ci ha portato immagini e racconti capaci di far venire la pelle d’oca anche a Thor e a Ragnar Lothbrok. Io solitamente preferisco mete più calde, anche perché i giacconi nello zaino non troverebbero proprio posto.

Amo molto il mondo arabo, Paesi dal fascino inesplicabile che si caratterizzano con un profondo senso dell’ospitalità e – purtroppo – anche con profonde controversie che nei casi più drammatici portano a quei conflitti di cui abbiamo spesso notizia. Sono stato a lungo in Marocco, dove la cultura araba si confonde con quella berbera e sahrawi. Ho assistito alle elezioni presidenziali in Egitto, un altro Paese centrale nella cultura dei viaggiatori che in questi anni ha subito profonde e inquietanti trasformazioni. E ho raggiunto il Libano, dove la crisi siriana e l’occupazione israeliana continuano a tracciare segni profondi e dolorosi sulla società multietnica di questa incredibile nazione.

C’è un posto che consigliate di vedere almeno una volta nella vita?

Certo, molti a dire il vero. Ma invece di tediare inutilmente i lettori su questa pagina preferisco indicare un elenco dettagliato che include tutte le principali mete che andrebbero assolutamente viste almeno una volta nella vita. Si chiama atlante.

Meglio viaggiare da soli o in compagnia?

“Meglio” forse non è il termine più adatto. Ogni scelta ha i suoi vantaggi e svantaggi. Certo che viaggiare da soli è molto, molto più semplice. Viaggiare insieme è peggio di coabitare. In casa almeno ognuno ha i suoi spazi, esce per andare a scuola o al lavoro, si lascia ipnotizzare per ore dalla televisione. In viaggio invece si è davvero a contatto l’uno con l’altro per 24 ore su 24. Ogni scelta si ripercuote sul gruppo, e se l’esito non è quello sperato la frustrazione di uno alimenta quella degli altri. Io sono molto felice quando incontro qualche compagno di viaggio, ma sapere di poter tagliare la corda in qualunque momento è fondamentale.

Il giorno che troverò una persona con cui io possa viaggiare, non avrò altra scelta che sposarla. Inoltre viaggiare da soli rende più aperti e socievoli, ci si lascia più facilmente assorbire dalla cultura locale, si fanno incontri inaspettati e si vivono più avventure.

“Non solo turisti”: che differenza c’è tra un turista e un viaggiatore?

E chi lo sa? Di solito chi si definisce “viaggiatore” lo fa sempre con una punta di presunta superiorità, come se arrivato in un paese sconosciuto non debba anche lui superare barriere linguistiche e culturali, o non cercasse anche lui le attrazioni più popolari o i souvenir più bizzarri. Certo che se per qualcuno viaggiare significa prenotare una vacanza all inclusive sul Mar Rosso una volta l’anno, allora è davvero un turista e nient’altro.
Ecco perché “non solo turisti”. Turisti lo siamo tutti quando visitiamo per la prima volta un posto nuovo, non c’è niente di male. Ma sforzarsi di capire, di conoscere, avvicinarsi al diverso con rispetto e umiltà… ecco, questi atteggiamenti possono talvolta renderci qualcosa in più che semplici visitatori di passaggio, possono permetterci di catturare l’essenza di un luogo e portarne un pezzettino con noi. In modo che il viaggio fisico sia anche un viaggio interiore verso la persona in cui ci stiamo trasformando crescendo.

Ci lasci con tre consigli per chi si appresta a fare un viaggio importante?

Fare una copia digitale di tutti i documenti importanti e inviarsela per email; cenare un’ultima volta con tutti gli amici più cari, gustando i piatti preferiti della propria cucina regionale; se possibile, evitare di comprare il biglietto di ritorno.

Ritals: essere italiani a Parigi (INTERVISTA)

Crisi, carenza di lavoro, mancanza di prospettive sono tra le più valide ragioni che, da un bel po’ di tempo a questa parte, spingono sempre più italiani a fuggire all’estero, sperando di trovarvi erba più verde della nostra. Ma quella dei nostri cugini francesi lo sarà davvero?

Lo scopriremo seguendo le avventure di Svevo e Federico, i due trentenni protagonisti di Ritals, nuova web series ambientata a Parigi: nell’episodio pilota, apparso in rete un paio di mesi fa, i due espatriati si confrontano con uno delle più drammatiche privazioni cui si va incontro abbandonando il suolo natio, l’assenza del bidet.

Prendendo a prestito il titolo dall’appellativo dispregiativo che francesi e belgi solevano un tempo affibbiare agli immigrati provenienti dall’Italia, Federico Iarlori, caporedattore delle sezione italiana del sito francese Melty.it, e Svevo Moltrasio, sceneggiatore, regista e critico già da una decina d’anni, giocano con i più rinomati cliché sui francesi, senza mai smettere di fare ampia autoironia anche sui luoghi comuni che ci investono quando “gli altri” diventiamo noi.

In vista dell’imminente uscita del prossimo episodio, in onda a partire da domani 14 settembre, noi di Blog di Lifestyle abbiamo incontrato Svevo per scoprire qualcosa in più su questi due Ritals e per capire quanto ci sia da ridere e quanto da prendersi sul serio quando si va a vivere, da italiani, nella capitale più francese che ci sia.

A giudicare dalla complicità che si evince dalle immagini si direbbe che tu e Federico siate nati come coppia comica già nello Stivale. Com’è successo?

Invece no, io e Federico ci siamo conosciuti a Parigi. Tre anni fa credo, più o meno. Abbiamo lavorato per un periodo in un call-center a Parigi: facevamo chiamate in italiano in Italia. D’altronde tutta l’équipe di Ritals viene da quel call-center, ci siamo conosciuti tutti lì.

L’idea di girare la serie, perciò, non vi è venuta a priori, ma deve essere sorta in itinere: cosa vi ha dato l’ispirazione?

Oddio l’ispirazione viene da molto lontano. Intanto dal quotidiano: qui, io, noi amici italiani a Parigi, passiamo tutto il tempo a sottolineare le differenze tra l’Italia e la Francia, tra gli italiani e i francesi. Continuamente, anche con i francesi, tanto da portarli allo sfinimento. Quindi, l’idea di raccontare tutte queste differenze c’è quasi da sempre, da quando sono qui. Al livello artistico, diciamo che si tratta di un’esperienza che fa seguito a un mediometraggio, Intibah, realizzato un anno e mezzo fa e girato con la stessa squadra di Ritals. Ci siamo divertiti, c’è piaciuto il risultato, quindi abbiamo voluto ripetere l’esperienza, ma cercando ‘sta volta di farne un prodotto più “vendibile”.

Avendo già vocazioni ed esperienze di tipo artistico, com’è stato ritrovarsi all’estero a lavorare in un call-center?

Il call center non è stato troppo traumatico, affrontarlo qui ti porta a dire “Ok, è un lavoro di merda, ma io lo faccio perché qui non è casa mia“. E poi, ad esempio, mi ha permesso di scoprire l’atteggiamento diverso che hanno i francesi verso il lavoro: qualunque esso sia, c’è un rispetto diverso che da noi. Insomma, in Italia se lavori in un call-center sei un poveraccio, qui sei comunque qualcuno che si dà da fare.

Hanno tutta un’altra etica i cugini francesi. “Cugini”, poi, di quale grado? Stando alle parole di Cocteau, per citare qualcuno di autorevole, i francesi sono degli italiani di cattivo umore: insomma, è vero che questi francesi non hanno senso dell’umorismo? E, viceversa, sarà proprio il senso dell’umorismo a dare sollievo agli italiani?

Mah, francamente anche noi italiani siamo spessissimo di cattivo umore, io per primo. Diciamo che abbiamo un modo diverso di esprimere i nostri umori. Di certo, pur sapendo che sono generalizzazioni, hanno un senso dell’umorismo e un’ironia decisamente differente. Potremmo anche dire che non ce l’hanno per niente, possibile. Eppure ho visto francesi ridere! Noi, vuoi che ridiamo, che litighiamo o che semplicemente ci confrontiamo, abbiamo meno freni, meno strutture fisiche e verbali che facciano da filtro ai nostri sentimenti, questo mi sembra abbastanza evidente. L’ironia e soprattutto l’autoironia italiana sono qualità che andrebbero salvaguardate dall’Unesco.

La vostra web series gioca, in maniera evidente, sui luoghi comuni che abbiamo sui francesi per auspicabilmente smontarli e superarli: all’inverso, quali cliché i francesi dovrebbero abbandonare nei nostri confronti?

In realtà, non per forza per smontarli, a volte sì, altre volte magari per confermarli e, di conseguenza, ironizzare sul nostro pregiudizio e sulla nostra incapacità ad accettare la diversità. Io penso che i cliché siano spesso discretamente veritieri. Che cliché hanno su di noi? Parliamo ad alta voce: vero. Siamo mammoni: sicuramente molto più di loro. Non siamo fatti per il lavoro: per come lo intendono loro, no, è vero. Facciamo sempre la commedia: vero. Insomma, non credo che debbano abbandonare i cliché, piuttosto dovrebbero conoscerci meglio, perché quello di cui mi sono reso conto è che la stragrande maggioranza dei francesi è terribilmente ignorante riguardo alla cultura, alla storia e all’attualità italiana. Ho sentito certe cose dai francesi sull’Italia che ci faremo un episodio, giusto per dirtene qualcuna: “Ah, ma perché a Roma ci sono ancora resti visibili della Roma antica?”; “Ma voi nel Mediterraneo avete zone di mare bello?”; “Ma voi coi secoli fate un conto diverso, tipo ve ne manca uno, per cui il XV secolo corrisponde al vostro XVI”.

A proposito di episodi, qualche anticipazione sul primo, che lunedì andrà in mondovisione?

Guarda posso dirti che ‘Il bidet’ l’avevamo messo online giusto per gli amici. Non c’aspettavamo un ritorno del genere. L’idea era di far cominciare la serie a inizio 2016. Questo successo c’ha costretto a cambiare strategia e accelerare i tempi. I prossimi tre episodi saranno evidentemente collegati tra loro per capire meglio chi sono i due personaggi e cosa ci fanno a Parigi. Perché oltre agli sketch puntiamo a raccontare anche una storia sui due protagonisti che si sviluppi di puntata in puntata.

Aspettiamo di scoprire quali saranno le altre avventure dei nostri eroi italo-francesi, allora. Vi auguriamo un grande in bocca al lupo, ché dopo questa lunga chiacchierata ti abbiamo già “ammorbato” abbastanza.

Ma sì, tranquilla, c’ho gli anticorpi: 6 anni a Parigi, voi mette!

Andrea Cisternino: “Bisogna imparare ad amare gli animali” (INTERVISTA)

Discutere di salute alimentare diventa sempre più importante, specialmente in questi mesi, in cui nel nord della nostra penisola, a Milano, si celebra la fiera del cibo, l’Expo. Lo sanno bene anche gli organizzatori del Salone internazionale del biologico (Sana), che per l’edizione 2015, inaugurata proprio ieri a Bologna Fiere, hanno dedicato 4 dei padiglioni dell’area al biologico e in particolare ad alimentazione, cosmesi, benessere, sport e tanto altro. Scopriamo gli elementi salienti della prima giornata.

Inaugurato dall’attuale vice ministro alle Politiche agricole con delega al biologico, Andrea Olivero, il Sana si è rivelato un successo sin dalle prime ore della giornata di ieri, sabato 12 settembre. Accorsi da ogni parte d’Italia, ma anche d’Europa, i visitatori si sono affrettati verso l’ingresso portando anche le valigie con sè per assistere ad una vera e propria festa del bio.

Dai padiglioni 31 al 35, c’era l’imbarazzo della scelta: per citare alcuni esempi, si potevano gustare i prodotti di Val Venosta e Girolomoni per l’agricoltura, nel mondo dei prodotti per viso e corpo e della cosmesi si trovavano Germoglio, Artes Quaero, Parobio Cosmetics e biotiful. Per l’area benessere benessence e tanti altri.

Ma a catturare l’attenzione dei visitatori è stato soprattutto il Vegan Fest, adibito nel Padiglione 35, che si presenta come un grande complesso di stand che di anno in anno diventa sempre più grande e più frequentato. Chi intraprende questa strada lo fa per due ragioni: da una parte c’è chi rinuncia a carne, pesce, latticini per motivazioni scientifiche. Essere vegani, infatti, farebbe bene alla salute del nostro organismo e ad affermarlo sono anche Giorgio Fabbro, nutrizionista e vegan coach e Alberto Leonardi, campione di arti marziali. Questi ultimi però sono l’emblema della seconda motivazione e più conclamata motivazione per essere vegani, quella etica.

L’essere vegani è per questo gruppo di persone frutto di un pensiero empatico e sensibile nei confronti degli animali. Tutti dovrebbero essere rispettati e vivere in serenità, senza dover essere uccisi o maltrattati per scopi egoistici come la nutrizione degli essere umani. Un cuore nobile non si nutre di un animale che ritiene di amare – secondo quanto affermato da diversi sostenitori del movimento “Essere animali”, ma soprattutto da Andrea Cisternino, presidente della Fondazione International Animal Protection, che cerca di trovare la soluzione al problema dei maltrattamenti in prima persona.

Da fotografo di moda a fotografo di animali, Andrea Cisternino presenzia al Veganfest per ricevere un award per il suo impegno con la sua associazione che da anni lotta affinché soprattutto in Ucraina non ci siano più uccisioni di cani randagi (lo scandalo era scoppiato nel 2012 in occasione degli Europei di calcio a Kiev). Ma lasciamo che sia lui stesso con le sue parole a raccontare meglio questa esperienza.

Lei è presidente della Fondazione International Animal Protection League Onlus e si occupa della protezione degli animali e anche dei rifugi in Ucraina, ci spieghi cosa fa, come ha iniziato e per quale motivo ha fatto questa scelta così rischiosa.

Io ho iniziato perché sono sempre stato animalista però lo sono stato sempre per conto mio (andavo negli allevamenti) poi quando sono stato con Vlada sono andato in Ucraina e devo dire che, per quanto riguarda la Uefa e il governo ucraino, sono arrivato nel momento sbagliato per loro perché poi ho iniziato a vedere cosa stava succedendo, a denunciare l’abuso sui cani, a denunciare la Uefa ma anche canili di proprietà. Io e Vlada (la vicepresidente) abbiamo visto con i nostri occhi cosa stava succedendo: anche il mio cane che si chiama Cucciolo è stato avvelenato. Perciò io e Vlada abbiamo iniziato a denunciare e dopo di che non potevamo più tornare indietro. L’essere animalista mi imponeva di denunciare e di cominciare questa battaglia. Dovevamo rientrare in Italia a Como e invece io e Vlada ci siamo guardati in faccia e abbiamo deciso di restare lì anche se la situazione era molto complicata.

Che cosa avete fatto esattamente?

Innanzitutto abbiamo iniziato a cercare volontari e poi purtroppo ci siamo messi contro dei delinquenti che si chiamano dog hunters che arrivavano dalla Russia. Purtroppo si trovano anche in Ucraina e uccidono ancora. Da lì abbiamo deciso di costruire una struttura dove mettere i cani. Abbiamo iniziato così a salvare dei cani. Abbiamo costruito Rifugio Italia, che abbiamo chiamato così perché tutte le donazioni arrivano dall’Italia. L’Ucraina non ci ha mai aiutato. Questo rifugio accoglieva 96 cani e purtroppo il 12 aprile del 2015 il rifugio è stato dato alle fiamme ed è cambiata un po’ tutta la storia.

Come siete riusciti ad andare avanti dopo l’incendio?

Dopo tre giorni ho chiamato i ragazzi che lavoravano al rifugio, abbiamo messo via i nostri cani, abbiamo avuto tutte le televisioni ucraine, giornalisti che piangevano durante le riprese. Addirittura ci hanno chiamato dalle zone di guerra. Quando poi abbiamo seppellito i corpi dei nostri poveri animali, ho chiamato i ragazzi e ho detto “basta piangere, dobbiamo ricostruire per noi e anche per loro”. Devo dire che sono rimasto sorpreso di questa solidarietà che ci è arrivata dall’Italia, anche da New York e da tanti artisti che ci hanno scritto. Per la prima volta ci sono stati ucraini che ci hanno dato soldi. Abbiamo trovato ragazzi a scavare lì tra le macerie. Sono arrivati con le cariole, le pale, il cibo. Questa tragedia ha fatto per un attimo cessare le rivalità tra Ucraina dell’Ovest e dell’est. Spero solo che questi morti servano a far cambiare il paese altrimenti sono stati morti inutili. Però noi sappiano che i nostri 69 cani più una gattina sono lassù, ci aiutano, ci proteggono come hanno fatto da quattro anni e speriamo di andare avanti perché comunque ci sono tanti altri animali da salvare in giro: i cani dei macelli, i cavalli, i pesci. C’è un progetto che racchiude tanti animali, comprese le cicogne e le galline, perché voglio che i bambini si avvicinino a questo lago in cui faremo la oasi.

Che cosa vorrebbe dire alle persone che maltrattano i cani e tutti gli animali sia in Italia sia in Ucraina?

Il maltrattamento degli animali è una cosa molto semplice. Quando uno è arrabbiato se la prende con l’animale perché tanto l’animale non reagisce, però delle volte reagisce perciò istiga l’uomo. Io sto combattendo una guerra contro i cacciatori di cani perciò penso di aver visto la violenza più vergognosa che un essere umano possa commettere sugli animali. Infatti tanti video non li ho neanche postati. Quelli che maltrattano gli animali sono delle persone che non sanno che cos’è il cuore. Bisogna imparare ad amare gli animali perché secondo me quando l’uomo imparerà ad amare gli animali finiranno le guerre, finiranno le violenze. Il diritto alla vita ce l’hanno tutti. Chi nasce deve vivere e nessuno deve arrogarsi il diritto, come fa l’essere umano, di togliere la vita ad animali come ad esseri umani. Siamo nel 2015, non siamo più nel medioevo.

Un contatto per chi volesse intervenire al vostro fianco?

Possono entrare nel nostro sito in cui possono trovare tutto riguardante le adozioni, i nostri cani e tutte le informazioni.

La ringrazio.

Andrea Cisternino ha evitato di aprire una discussione ma attorno all’essere vegano si costruisce un universo che non parla solo di uccisione dei cani, ma anche di vivisezione, modificazione genetica e sfruttamento dell’animale per creare farmaci che in realtà non avrebbero gli stessi effetti sugli esseri umani, caratterizzati da organismi differenti rispetto a quelli dei roditori e di altre specie. Inoltre chi è vegano non accetterebbe questo sistema neppure se fosse convinto dell’itilità dei risultati.

Come afferma Paola Maugeri, giornalista e vegana convinta, “se siamo arrivati su un nuovo pianeta con una sonda, la tecnologia ha sicuramente un altro sistema per sperimentare i farmaci” e soprattutto “acquistare cibo bio e condurre uno stile di vita vegano non può che migliorare la vita”.

Il festival Vegan continuerà ancora sino al 15 settembre a Bologna Fiere. Si tratta di un’occasione per conoscere più da vicino questo mondo anche per chi ne fosse estraneo o la pensasse diversamente. L’informazione è l’unico modo per fare una scelta consapevole.