sabato, 27 Aprile 2024

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Animalismo, anticapitalismo o salutismo? Cosa si nasconde dietro alla scelta di astenersi dal consumo della carne? Lo scopriamo insieme con loVeg, la rubrica dedicata ai vegetariani e ai vegani, ma anche ai curiosi che, forse, lo saranno un domani

L’ex Blonde Vegan contro la dieta vegana (loVeg)

Un tempo blogger vegana convinta e fonte di ispirazione per centinaia di fan, la venticinquenne Jordan Younger oggi confessa che la dieta veg da lei seguita le ha fatto più male che bene. Dopo il successo conseguito grazie al suo blog The Blonde Vegan, dove mostrava fiera il suo lifestyle vegano ed elargiva consigli a quanti volessero intraprendere a propria volta questa scelta, la giovane californiana ha gradualmente abbandonato il veganismo per poi svelare, a un anno di distanza, i pericoli legati a un’alimentazione “così limitata” al New York Post, in un’intervista a proposito del suo ultimo libro in uscita dal titolo ‘Breaking Vegan’.

Jordan era diventata vegana all’ultimo anno del college che frequentava a New York e all’epoca presentava dei dolori addominali per i quali non era riuscita ad ottenere una diagnosi medica, così intraprese un regime alimentare iper-sano che potesse aiutarla – e, in effetti, così fu sulle prime. “All’inizio, è stato un processo depurativo e disintossicante. Sentivo salire dentro di me una grande adrenalina e una grande energia, perché i miei problemi allo stomaco sembravano essersi risolti“, ha detto la Younger. Un mese dopo essersi diplomata, lanciò il suo sito e il suo account Instagram, raggiungendo una grande popolarità con più di 70.000 follower. In qualità di ‘Blonde Vegan’, documentava la sua alimentazione salutare e condivideva ricette e consigli, un hobby che la rese pian piano più attenta anche a ciò che lei stessa ingeriva.

L’ossessione per la mia dieta cominciava non appena mettevo piede giù dal letto. Mi impediva di vivere una vita normale, ricca di interazioni sociali e interessi di ogni sorta“, prosegue Jordan. All’epoca, la sua intera esistenza ruotava attorno a cosa potesse mangiare e cosa no. Divenne, allora, dipendente dalle tisane depuranti, mentre stava attenta a tenersi alla larga dai cibi fritti, dallo zucchero raffinato, dal glutine e da salse e condimenti. La rigidità con cui limitò le sue scelte alimentari significò cominciare a pianificare dettagliatamente ogni pasto: uscire a pranzo o a cena fuori era un’ipotesi del tutto irrealizzabile.

Più in là, spiegò sul suo blog: “Quando mia madre e mia sorella vengono a trovarmi, credo di non riuscire a godermi neanche un solo pasto assieme a loro. Mangio prima di vederle o dopo averle viste, perché vado in panico soltanto all’idea che il cibo servito nei ristoranti dove andremo a sederci possa farmi sentire da schifo e rovinare tutto quello a cui ho lavorato finora“. Nonostante non se fosse consapevole, Jordan all’epoca era ortoressica, una persona sostanzialemnte affetta da una rigorosa fissazione per il mangiar sano, cosa che provoca un’attenzione patologica nei confronti di cosa e quanto si mangia, così come rispetto ai propri ‘strappi alla regola’.

La cosa diventò un vero problema soltanto quando gli effetti benefici del suo stile di vita vegano cominciarono a svanire: i problemi allo stomaco riapparvero e, insieme con loro, molti altri fastidi. Si sentiva molto stanca e si affaticava in men che non si dica: una sola lezione di yoga bastava a farla sentire stanca per tutto il resto del giorno. Dopo qualche tempo anche i capelli cominciarono a caderle e iniziò a farsi male con più facilità. Dimagrì moltissimo: perse più di 11 kg, arrivando a pesarne 47, cosa che non fu troppo pericolosa ma le fece comunque cominciare a sentire freddo per la maggior parte del tempo.

Poi, a distanza di un anno da quando aveva deciso di darsi al veganismo, e dopo soli sei mesi dal lancio del suo blog, le si interruppe il ciclo. E continuava comunque a ignorare quello che il suo corpo tentava in tutti i modi di dirle: e che cioè ciò che pensava fosse salutare per lei in realtà non lo era affatto. Ci vollero altri sei mesi prima che lo realizzasse: parlando con un’amica ricoverata in clinica a causa di alcuni disturbi dell’alimentazione, Jordan iniziò a intravedere delle somiglianze con la sua stessa esperienza.

L’amica le suggerì di mangiare del pesce, cosa che fece con molta riluttanza. Due giorni dopo, le mestruazioni riapparvero facendole capire, chiaro e tondo, che il suo corpo moriva dalla voglia di rimettersi in sesto. Poco dopo, la Younger andò a farsi visitare da un medico, il quale le disse che i suoi valori nutrizionali erano decisamente bassi e che avrebbe dovuto re-introdurre pesce e uova nella sua dieta. Mentre ascoltava, però, pensava anche alle migliaia di persone che la ritenevano un’ispirazione per il proprio stile di vita vegano, cosa che le dava non poche preoccupazioni.

Fu a giugno dello scorso anno che Jordan scrisse un post intitolato “Perché sto gradualmente abbandonando il veganismo“: qui, la giovane spiegava come all’inizio aveva intrapreso questa strada, quanto inizialmente le sembrasse un bene per il suo organismo. Eppure, nel seguire attentamente le regole alimentari che si era imposta, aveva del tutto ignorato i segnali che il suo corpo cercava di darle per dirle che la dieta vegana non stava affatto funzionando. “Il mio corpo ha cercato di parlarmi per mesi – ha detto Jordan – ma io non ascoltavo. Il risultato è stato che ho sviluppato una grave carenza di tutta una serie di vitamine e di ormoni, provocandomi un grosso squilibrio“.

Allontanarsi dal veganismo e cercare una soluzione sottoponendosi a una giusta terapia, questo era quello che aveva intenzione di fare: molti dei suoi lettori, allora, le hanno dato grande supporto, anche se qualcun altro non è stato altrettanto gentile, e le ha lasciato commenti spiacevoli in cui l’accusava di fare del male agli animali. “Come si può smettere di mangiare cadaveri e poi, come se niente fosse, tornare a mangiarli?“, ha scritto uno di loro. Jordan ha rapidamente perso un migliaio di seguaci: “Questo mi ha fatto realizzare quanto snob possano arrivare a essere le persone che appartengono a questo mondo“.

Eppure, non è che non abbia mai vacillato nel prendere la sua decisione. Da quel momento, comunque, ha scelto di tenere aperto il suo blog, diventato oggi The Balance Blonde, sito incentrato su un’alimentazione complessivamente sana. Una scelta, questa, che l’ha ripagata: i lettori sono tornati ad aumentare, e adesso sono più di 121.000. Jordan ormai mangia pesce, uova e all’occasione persino carne rossa, pizza e pasta. È sempre molto attenta a seguire un’alimentazione sana e spesso posta foto in cui consuma prodotti privi di lattosio o integrali, ma è assolutamente meno rigorosa di prima e ha capito che quest’elasticità non può che giovarle. “Le etichette, così come le scelte alimentari, possono essere davvero molto pericolose: e io ne sono un esempio lampante“.

Vegani in Italia, sempre più incisivi (IoVeg)

Credits: veganlife-blog.com

In Italia i vegani e i vegetariani aumentano a un ritmo incredibile: sono 1.600 al giorno gli italiani che intraprendono la scelta veg. Nel 2013 erano il 6%, nel 2014 già il 7,1%, per poi diventare l’8% nel 2015: a dirlo è il rapporto annuale Eurispes, ‘Bistecca? No, grazie’. E, così, eccone sempre di più a meravigliarci: che sia sul posto di lavoro o in famiglia, quella che era stata ritenuta una ‘moda’ si sta attestando sempre più come un vero e proprio fenomeno di massa. Per di più, non si sta assistendo ad alcuna polarizzazione tra chi mangia verdure da una parte e chi preferisce la carne dall’altra: si sta assistendo, in realtà, a un cambiamento trasversale delle nostre abitudini alimentari.

Ad avere inciso in maniera significativa è stato l’allarme a proposito della carne rossa e degli insaccati: “Si tratta di cibi che aumentano il rischio cancro“, ha dichiarato nell’ottobre 2015 l’OMS, l’Organizzazione mondiale della sanità. Subito dopo, le vendite di carni e salumi sono calate del 10%. Di recente, però, anche a fronte di un ridimensionamento dello stesso allarme, le carni hanno riguadagnato terreno. Eppure, niente sarà più come prima: “È dal 2010 che i consumi di carne diminuiscono al ritmo del 5% l’anno“, puntualizza Nicola De Carne di Nielsen Italia. D’altro canto, le vendite dei prodotti caratteristici della tavola veg, come bevande sostitutive del latte (quelle a base di soia, riso o mandorle) o formaggi di soia e zuppe di verdura pronte, hanno registrato un netto aumento nel 2015.

Anche nel mondo della ristorazione, si fanno largo sempre più catene come Veggy Days e Universo Vegano, proliferano le pasticcerie veg e nei supermarket si è calcolato che il fatturato annuo prodotto grazie alla vendita di prodotti vegetali ammonti a 320 milioni. Persino la Findus ha lanciato gli hamburger vegetariani. E che dire del più grande nome del latte, quello della Granarolo? “L’anno scorso abbiamo lanciato la linea Granarolo vegetale (bevande a base di soia, riso, mandorla) e in nove mesi abbiamo fatturato per 14 milioni. Molto oltre le attese“, ha dichiarato il presidente Gianpiero Calzolari che aggiunge: “A marzo lanceremo burger, polpette e piatti pronti a base 100% vegetale“.

I supermercati, nello specifico, si sono tenuti al passo con le nuove tendenze: la Coop ha introdotto già dal 2013 la sua linea ViviVerde, l’Esselunga ha, invece, quella VeganOk. A rifornirli, sono aziende che producono per conto dei marchi privati della grande distribuzione: una tra tutte, la Zerbinati di Alessandria, che conta 33 milioni di fatturato sulla vendita di zuppe e verdure confezionate, cui a breve andranno ad aggiungersi gli hamburger vegetariani. E, ancora, il settore dell’editoria: i volumi ‘veg’ pubblicati in Italia sono stati 41 nel 2013, 98 nel 2014 e 193 nel 2015: “La gente si avvicina per gradi“, dice Antonio Monaco delle Edizioni Sonda.

Non si tratta, ad ogni modo, di una scelta che va a ledere le finanze di casa: l’acquisto di qualche prodotto meno comune e quindi più costoso viene compensata dall’abolizione della carne. Stando alle parole di Monaco, l’Italia è sul punto di strappare alla Germania il titolo di Paese più vegetariano dell’Unione Europea: “Hanno una percentuale di vegetariani compresa tra il 7 e l’11% anche Svezia e Austria. Seguono a discreta distanza Russia, Usa, Francia, Spagna, Giappone e Cina, tra il 2 e il 4%. Poi ci sarebbe l’India con il suo 30%: ma qui influiscono fattori economici e religiosi e il paragone, perciò, non sussiste“.

Le migliori città veg in Europa? Sono 5 (IoVeg)

Credits: love2fly.iberia.com

Mangiare veg: un tempo una scelta difficile per i viaggiatori, ora non più. Sono sempre più numerosi i ristoranti nel mondo il cui menù ha subito notevoli variazioni proprio per andare incontro alle esigenze di un’utenza che, come quella vegetariana e vegana, diventa sempre più incisiva: e le diete vegetariana e vegana, del resto, non sono neanche più soltanto inquadrabili nell’ottica del ‘salutismo’ o dell’animalismo, ma stanno diventando dei veri e propri campi di sperimentazione per i grandi chef di fama internazionale.

La piattaforma online Wimdu, perciò, ha deciso di pubblicare la classifica delle città europee in cui la cucina vegetariana e vegana vengono preferite alle altre, una top 5 realizzata in base al maggior numero di hashtag ‘veggie’ utilizzati dagli utenti di Instagram.

5. Roma: la carbonara non è tutto

Al quinto posto, ecco la capitale italiana: nonostante gli innumerevoli piatti a base di carne presenti nella cucina italiana, la nostra dieta si presta in maniera ottimale ad essere declinata in senso vegetariano e vegano, dato l’uso massiccio che tra i nostri fornelli si fa di pasta e verdure. A Roma, nello specifico, si raccomanda un giro da La Capra Campa, ristorante e bistrot dove non solo si possono gustare piatti veg, ma si possono anche seguire corsi di cucina vegetariana e vegana.

4. Bruxelles: non solo istituzioni europee

La capitale belga non ospita solamente il grigiore della politica e della burocrazia di tutta Europa: Bruxelles è, invece, una città marcatamente veg e, qui, uno dei ristoranti più frequentati dai vegetariani è lo Tsampa, i cui locali si trovano nel retro di uno shop di prodotti biologici. La parola d’ordine, anche piuttosto efficace, è la semplicità: unire salute e sapore nelle pietanze per dimostrare che uno stile di vita alternativo non significa per forza fare sacrifici.

3. Berlino: capitale del mondo veg

Al terzo posto troviamo, invece, Berlino che proprio di recente è stata nominata ‘Capitale vegetariana nel mondo’ dalla nota rivista di cucina Saveur. Tantissimi i locali qui dedicati alla cucina veg, tra i quali però merita una menzione speciale il ristorante Samâdhi: portato avanti da ex rifugiati vietnamiti, il ristorante serve piatti tipici del sud-est asiatico, dai meno ai più piccanti.

2. Parigi: le super veg, c’est magnifique

Sul secondo gradino del podio c’è Parigi: una vera e propria sorpresa, se si pensa che la cuisine française si serve essenzialmente di carne e di foie gras. Ma per fortuna, qualcosa è cambiato: ora, nei bistrot degli Champs-Élysées si gustano spuntini vegani, sorseggiando ottimi bicchieri di vino. Tra i migliori di questi, la cantina Sol Semilla, dove tutte le portate in menù sono di una qualità talmente alta che persino il celeberrimo chef Alain Ducasse le ha raccomandate.

1. Londra: rock’n’veg

In vetta alla classifica troviamo la mitica capitale del Regno Unito: Londra, che si attesta definitivamente come la città europea più all’avanguardia anche nel settore del food. Qui, l’incontro di miriadi di culture diverse si riversa inevitabilmente anche nei piatti serviti nei ristoranti, tanto onnivori quanto veg. Elencare tutti quelli presenti a Londra sarebbe impossibile: guardandoli, però, da una prospettiva ‘rock’ (genere musicale di cui Londra è madre) è il Green Note il miglior locale vegano, che offre anche spettacoli di musica dal vivo. È qui che si sono esibiti grandi nomi della musica del calibro di Leonard Cohen o di Amy Winehouse.

Apre a Milano il primo asilo nido vegan (IoVeg)

Credit: tooraktimes.com.au

La politica del nuovo asilo nido Naturà di Milano è cristallina come l’acqua: “Amiamo e rispettiamo tutti gli animali, perciò non facciamo uso di alcun alimento originato dal loro sfruttamento (non solo carne e pesce, ma anche uova, latticini e miele). Le nostre pietanze sono quindi vegan al 100%“. Un’iniziativa del tutto inedita in Italia, la prima del suo genere, che mette al centro della propria proposta educativa non solo la filosofia vegana, ma anche la particolare attenzione rispetto alla provenienza dei cibi utilizzati per piatti e merende, tutti bio e a chilometro zero.

Ma non è finita qui, perché l’asilo Naturà declina il veganismo anche sotto altri aspetti, quali le problematiche ambientali e l’impiego di materiali riciclabili. La creatrice del nuovo asilo nido di Milano, aperto pochi mesi fa nella zona di Città Studi e concepito per ospitare – per ora – cinque bambini, è Federica Ferrobianchi: con una laurea in Scienze dell’educazione e della formazione, Federica è un’insegnante di massaggio infantile e ha già maturato esperienza nelle comunità per bambini sotto i sei anni allontanati dai propri familiari. Una dedizione rara, quella della Ferrobianchi, che è tutta ereditata dai suoi genitori, i quali hanno avuto bambini in affido fin da quando lei era in giovane età, e che hanno successivamente aperto un asilo nido a Pietra Ligure.

Seguendo il loro esempio, Federica ha fondato a sua volta un asilo, incentrando però il suo progetto educativo su principi vegani: un trend che sta prendendo piede anche in diverse scuole pubbliche italiane, dove è possibile seguire una dieta vegetariana già da qualche mese. A Bologna, per esempio, è da febbraio che il comune ha inserito tra i menù le ricette vegane, che possono essere scelte a patto che la decisione venga presa da entrambi i genitori dietro autorizzazione del pediatra che ha in cura il bambino.

Naturalmente la cosa ha immediatamente destato polemiche, come quelle di certi neuropsichiatri che hanno ammonito circa la possibilità di un rischio di anoressia, sebbene non scientificamente provato, sconsigliando ai servizi pubblici di intraprendere la strada veg: i bimbi di Naturà vengono educati sin dalla più tenera età a mangiare esclusivamente determinati cibi e a privarsi di altri alimenti che vengono ritenuti fondamentali per una crescita sana. Secondo gli esperti, perciò, le famiglie non dovrebbero riversare sui propri figli le proprie scelte alimentari perché un bambino di quattro anni, per crescere in salute, avrebbe bisogno di tutti gli alimenti.